La fine del Covid non ha fermato la costruzione di uffici, seguendo però i nuovi parametri della sostenibilità, specie a Milano. Sempre nel capoluogo lombardo, è esplosa nuovamente la bolla immobiliare che ha generato le prime proteste pubbliche: la richiesta di alloggi è alta e le nuove generazioni di architetti esprimono l’esigenza di andare oltre la costruzione, concentrandosi sulla trasformazione degli spazi esistenti. Ciononostante, molti studi di architettura italiani sono attivi all’estero in progetti di housing e uffici soprattutto, segno che la consueta varietà delle scuole di pensiero architettonico italiano è ancora vitale.
Negli anni Ottanta si parlava di “inflazione galoppante”, termine tornato attuale dopo la pandemia a causa della scarsità dei materiali. La successione degli eventi politici e sanitari degli ultimi tre anni ha contribuito a ingarbugliare il quadro normativo e il mercato edilizio. Resta però un’estrema volatilità di idee: se l’emergenza Covid-19 aveva suggerito di ripensare la quantità di uffici visto l’aumento del lavoro da remoto – e infatti a Manhattan si convertono in massa edifici da terziario in residenziale –, in Italia si ritorna ad aumentare quella quantità, convertendo aree industriali dismesse o costruzioni precedenti: vedi a Milano il recupero dell’ex Fonderia Vedani dello studio Progetto CMR (Milano), la riqualificazione della sede Enel a Roma dello studio ACPV Architects (Milano), la rigenerazione di un intero isolato del quartiere Bicocca di Piuarch (Milano), la nuova sede Luxottica dello studio Park Associati (Milano) nelle aree ex General Electric, sempre a Milano, e il progetto in corso dell’architetto milanese Cino Zucchi nella Ex-Isotta Fraschini a Saronno. In tutti questi progetti l’approccio verso un’architettura sostenibile, con l’attenzione al recupero dell’acqua piovana, l’inserimento di corti interne, aree verdi e alta certificazione energetica, è ormai una pratica assodata. Inoltre, il nuovo governo di centrodestra ha modificato le modalità del Superbonus, che tanto avevano dato slancio all’edilizia corrente, smorzandone però la portata e forse è un bene. Il problema resta perché se il governo Meloni ha ridotto il contributo dal 110 al 65%, la metà delle domande proviene da villette unifamiliari, mentre quelle dei condomini, ovvero chi ne avrebbe avuto più bisogno specie nelle periferie, ammontano solo al 15% delle pratiche; senza contare la persistente assenza di materiali riciclabili (mattoni e fibre a base di canapa, paglia et similia) nei prontuari dove invece prosegue la festa del polistirolo e dei derivati del petrolio per i cappotti termici.
Se Milano è stata inclusa fra le prime cinque città che vantano il maggior numero di edifici con certificazione Leed in Europa, soprattutto dopo le recenti proteste universitarie in tenda, i problemi derivanti dall’aumento dei valori immobiliari e dagli affitti sono finalmente rientrati nell’agenda politica [1]. Se il Covid-19 aveva abbassato quei valori anche drasticamente, in un generale quanto provvisorio clima di fuga dalla città verso la campagna e i borghi montani, nemmeno la guerra in Ucraina ha fermato gli investimenti nel real estate. In Italia ancora pesa il trauma di Tangentopoli: nonostante un nuovo codice degli appalti, dopo trent’anni l’edilizia sociale è ancora ferma e a poco serve prendersela con i sindaci, perché è un tema che non riguarda loro. Le regioni, che ne avrebbero la competenza, invece, hanno i loro bilanci occupati fino al 90% dalla sanità, che include la manutenzione del patrimonio immobiliare relativo, perciò non resta molto spazio. Tardiva, dunque, è l’idea di convertire ex caserme e altri edifici dismessi in residenze universitarie convenzionate, per esempio a Bologna che ne ha circa quaranta. Sarebbe invece il caso di fare una nuova programmazione e una nuova legge nazionale. Solo a Vienna circa il 60% del patrimonio edilizio è pubblico, molti giovani professionisti nonché buona parte della classe media vivono in appartamenti di proprietà pubblica; si tratta però di una capitale, non certo di una piccola metropoli con un hinterland produttivo fra i più grandi d’Europa e al centro di quella “megalopoli padana” che ogni giorno attraversa Milano o comunque ci gravita intorno. Inoltre, il capoluogo lombardo è oggetto d’interesse di investitori internazionali, non solo fondi d’investimento, ma anche di privati che acquistano appartamenti per i figli studenti in una delle tante università private milanesi e questo è un fattore sottovalutato dell’aumento dei prezzi così come a Londra o Lisbona – in quest’ultima ha pesato molto l’afflusso dei pensionati di mezza Europa, attratti dagli incentivi fiscali. Viceversa il sindaco laburista londinese, Sadiq Khan, ha vinto le elezioni nel 2016 ed è al secondo mandato proprio per contenere i costi abitativi ma se qualche progresso è stato fatto in tal senso è più a causa della Brexit che per i pochi nuovi alloggi realizzati.
I festival di architettura italiani sono oltre venti, spesso itineranti, dalla Sicilia alle Alpi. L’irrilevanza della figura dell’architetto nelle logiche del PNRR va di pari passo con il suo festeggiamento da intrattenimento. Alla 18esima Mostra Internazionale di architettura della Biennale di Venezia, diretta da Lesley Lokko con il titolo Laboratorio del futuro, il padiglione italiano quest’anno è curato dal collettivo milanese composto da giovani architetti millennials Fosbury, nome che viene dal saltatore in alto inglese recentemente scomparso. I cinque componenti (Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi) hanno scelto il titolo Spaziale – Ognuno appartiene a tutti gli altri a sottolineare con questa frase dello scrittore Aldous Huxley la loro visione disciplinare: per questo hanno selezionato nove progetti rappresentativi, tutti giovani e più votati verso un’idea allargata di architettura, didattica e collaborativa, in ogni caso più comunicativa che costruttiva [2].
Già nel 2011 la Biennale diretta da Aaron Betsky proponeva un’architettura oltre la costruzione, così come nello stesso anno Yona Friedman presentava una mostra Architettura senza costruzione ispirata dal principio che il sovraffollamento edilizio del mondo nasce da un fraintendimento, che vede l’architettura concentrata troppo nella costruzione e troppo poco nell’organizzazione dello spazio. A questa precisa visione si rifà la nuova generazione italiana coagulata attorno al Padiglione Spaziale della Biennale di quest’anno: (ab)Normal, BB (Alessandro Bava e Fabrizio Ballabio), Captcha Architecture, HPO, Lemonot, Orizzontale, Parasite 2.0, Post Disaster, Studio Ossidiana, Giuditta Vendrame. Le intenzioni però, per quanto buone, non sono sufficienti e occorrerà raccogliere qualche risultato che duri più del tempo di una mostra, pena l’irrilevanza.
Eppure, nonostante tutto, gli architetti italiani continuano a lavorare all’estero e non solo gli studi più celebri, anche molti progettisti d’interni e di residenze private. Renzo Piano ha da poco inaugurato l’Istanbul Modern Museum; Stefano Boeri, il Bosco verticale Trudo a Eindhoven – il primo all’interno di un programma di edilizia sociale; lo studio fiorentino Archea Associati con l’Alban tower a Tirana, in Albania, dove lo stesso Boeri e altri architetti hanno vari progetti in corso; lo studio di Bologna e Milano MC Architects (Mario Cucinella), ad esempio, ha due torri in costruzione (Met ed Ekspozita); C+S (Treviso e Londra) ha un paio di progetti residenziali in corso a Kortrijk, in Belgio; Carlo Ratti (Torino e Boston) è l’unico italiano dei cinque progettisti del gruppo europeo che ha vinto il concorso per Europarc, la sistemazione del palazzo Spaak e il nuovo Parlamento Europeo di Bruxelles; Alfonso Femia un complesso immobiliare a Massy, in Francia; ACPV Architects con vari progetti di uffici in Germania e a Dubai; Lo studio Fuksas (Roma, Parigi, Shenzen) hanno completato il nuovo terminal dell’aeroporto di Gelenzdhik in Russia e sono gli unici italiani invitati per la controversa città lineare The Line in Arabia Saudita. Il veneziano Sergio Pascolo invece ha costruito cento nuove abitazioni sociali nell’ex caserma Zieten-Kaserne a Göttingen, in Germania.
È sbagliato pensare di raccogliere tutti questi progettisti in una medesima banda di pensiero, di certo la varietà delle singole linee di ricerca è notevole. Il plurilinguismo architettonico italiano corrisponde alle tante anime diverse (regionali, ideologiche, tecniche, editoriali) che ancora compongono la disciplina nella penisola, segno che la tanto temuta omologazione è di là da venire. La recente riscoperta dell’opera di Gio Ponti e Alberto Rosselli in Pakistan [3] o di Marco Zanuso in Sudafrica [4] segnala che quest’attività all’estero ha una lunga e solida tradizione alle spalle e che solitamente avviene in sordina nonostante un discreto successo.
Suggerimenti per il lettore:
- Lesley LokkThe Laboratory of the Future, La Biennale di Venezia 2023;
- Fosbury Architecture, Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri, Humboldt Books 2023
- Lucia Tozzi, L'invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, Cronopio 2023.
BiM, render piazza e pavillon, credits WOLF
Paolo Rosselli, courtesy of Stefano Boeri Architetti
Biennale Architettura 2023, Fosbury Architecture, la presentazione del padiglione Italia al Ministero, Margherita Villani
[1] Lucia Tozzi, L'invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, Cronopio 2023.
[2] Fosbury Architecture, Spaziale. Ognuno appartiene a tutti gli altri, Humboldt Books 2023.
[3] Alberto Rosselli. Architettura, design e «Stile Industria», a cura di Paolo Rosselli, Elisa Di Nofa e Francesco Paleari, Quodlibet 2022.
[4] Edna Peres, Andrea Zamboni, Creating Coromandel. Marco Zanuso in South Africa, Artifice Press, 2022.