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  • Giovanna Mancini – giornalista del
    Sole 24 Ore

Instaurare una relazione stretta ed efficace con i propri lavoratori, attraverso politiche e strumenti volti a migliorarne il benessere, la qualità della vita e il coinvolgimento nelle scelte o quantomeno negli obiettivi dell’azienda, è fondamentale per lo sviluppo delle imprese e per la loro competitività. È sicuramente una priorità per le aziende coesive, come dimostrano i dati elaborati nel presente rapporto: anche nel 2024 i dipendenti si confermano i principali interlocutori delle imprese di questo tipo, con il 73% delle coesive che dichiara di aver strutturato rapporti evoluti con i propri lavoratori. Sebbene il dato sia in calo rispetto al 96% registrato nel 2020 — un periodo fortemente influenzato dalla pandemia di Covid-19, durante il quale molte imprese hanno posto i lavoratori al centro delle proprie strategie aziendali —, non si può interpretare come un segnale negativo. Al contrario, la percentuale si mantiene su livelli elevati, in linea con quanto rilevato nel 2023 (76%).

In un contesto di mercato estremamente competitivo, la maggior parte delle realtà produttive, e in particolare quelle coesive, ha ormai compreso che tra le più efficaci leve di successo c’è la capacità di attrarre figure professionali altamente qualificate e specializzate, ma anche di motivare e valorizzare le risorse già presenti in azienda, per garantirsi competenze avanzate e in costante aggiornamento, sempre adeguate alle continue e rapide evoluzioni produttive e commerciali. Una sfida non facile in un Paese come l’Italia, in cui esiste un forte mismatching tra domanda e offerta di lavoro, dovuto a percorsi scolastici e universitari non sempre allineati alle esigenze del mondo produttivo e, soprattutto, alla profonda crisi demografica in corso ormai da decenni: al progressivo calo delle nascite, si aggiunge la crescente fuga di talenti, con migliaia di giovani istruiti e qualificati che, ogni anno, preferiscono emigrare all’estero in cerca di migliori e più gratificanti condizioni di lavoro e di vita. Molti distretti produttivi italiani di eccellenza, spesso concentrati in territori periferici o montani faticano perciò a trovare i profili professionali necessari, e soprattutto a trattenerli. Da qui l’adozione, sempre più diffusa da parte delle aziende, di strumenti incentivanti per attrarre manodopera qualificata (anche dall’estero) e migliorare così le proprie performance, assicurando un futuro all’impresa.

Allo stesso tempo, si osserva anche un cambiamento nel modo di raccontarsi delle aziende: per essere attrattive non basta più, infatti, realizzare prodotti o servizi innovativi e di qualità, ma è necessario anche saper raccontare i propri valori e caratteri distintivi, soprattutto per entrare in contatto e dialogare con la generazione Z, che ha portato nuove esigenze nel mercato dell’occupazione. Lo conferma una ricerca presentata di recente3, secondo cui dieci anni fa le priorità dei giovani che si affacciavano al mondo del lavoro erano sicurezza e stabilità occupazionale, mentre oggi ai primi posti sono indicati aspetti più legati alla soddisfazione e al benessere personali: l’equilibrio lavoro-vita privata, seguito da atmosfera piacevole e da retribuzione e benefit interessanti.

L’attenzione al benessere e alle esigenze personali non è, tuttavia, una prerogativa esclusiva delle nuove generazioni di occupati, anzi: soprattutto dopo l’esperienza della pandemia da Covid-19, sono sempre di più le persone che mettono questi elementi in cima alle proprie aspirazioni professionali, dichiarandosi disposti anche a sacrificare fattori un tempo prioritari (come la stabilità lavorativa, una retribuzione elevata e il prestigio della propria posizione o del datore di lavoro) pur di vedersi garantite le nuove aspirazioni. Nel 2024 l’83,2% dei dipendenti italiani considererebbe l’idea di cambiare posto di lavoro e trasferirsi in un’azienda che offre un miglior pacchetto di welfare4.

Inoltre, il 75% degli intervistati in Italia considera i benefit un elemento essenziale nella valutazione di nuove opportunità lavorative. Un recente studio5 fotografa una situazione analoga: per sette dipendenti su dieci, nella scelta dell’azienda in cui lavorare è decisiva la presenza di un piano di flexible benefit. Le nuove generazioni, inoltre, si dichiarano interessate al sistema di benefit offerto e alla sua capacità di garantire benessere ed equilibrio vita-lavoro, più che alla stabilità o alla remunerazione. Di fronte a tale contesto, risulta evidente che le aziende devono attrezzarsi per affrontare e dare una risposta a queste nuove esigenze, per assicurarsi le competenze necessarie a tutti i livelli, dalle mansioni di base alle posizioni manageriali. Molte realtà, in particolare i gruppi di grandi dimensioni, le multinazionali e le imprese del settore manifatturiero, hanno avviato già da tempo e stanno implementando iniziative in questa direzione, con risultati positivi, sia per quanto riguarda l’attrazione dei lavoratori e il loro mantenimento, sia per quanto riguarda le performance aziendali. Lo confermano diversi studi realizzati negli ultimi anni, nonché gli obiettivi raggiunti da molte aziende che hanno adottato queste misure, come vedremo.

Un’indagine condotta nel 2025, ad esempio, ha rilevato che il 54% delle aziende con piani di welfare strutturati ha registrato una crescita del fatturato superiore al 10%, mentre il 44% ha visto migliorare il margine EBITDA di oltre il 10%. Inoltre, il 52% ha aumentato l’organico di oltre il 10% e il 20% ha ridotto il turnover oltre questa soglia, indicando come il welfare contribuisca alla fidelizzazione dei talenti e alla capacità di attrarre nuove risorse. Ma quali sono gli strumenti più diffusi ed efficaci adottati dalle imprese italiane per rafforzare la relazione e il dialogo con i propri dipendenti? Il presente report ha rilevato una serie di iniziative riconducibili fondamentalmente a tre principali aree tematiche: l’attenzione alla persona, che si traduce in misure di welfare volte a migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavoro; la formazione, che si declina in percorsi volti non solo ad aggiornare costantemente le competenze dei dipendenti, ma anche a creare prospettive di crescita motivanti; il maggiore coinvolgimento dei dipendenti nei processi decisionali o quantomeno nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, attraverso premi di produzione o altri strumenti legati ai risultati e al merito. Più in generale, possiamo parlare di un continuo affinamento e miglioramento dei modelli organizzativi, che hanno per obiettivo una maggiore cura della persona (del suo tempo, del suo benessere, delle sue competenze) e dunque dei risultati dell’azienda, con vantaggi condivisi e reciproci, secondo un modello evoluto di impresa, che ha ormai archiviato come obsoleto il modello ottocentesco e novecentesco di una contrapposizione — o comunque di una distinzione netta — tra datore di lavoro e dipendenti, in favore di una concezione coesiva del fare impresa in base alla quale l’azienda è intesa e vissuta come un organismo unico, in cui tutti gli elementi sono amalgamati e condividono valori comuni, grazie anche a una maggiore autonomia e responsabilizzazione dei lavoratori verso gli obiettivi prefissati.

Questa impostazione delle relazioni ha effetti positivi e porta vantaggi reciproci ad azienda e lavoratori, sia nella quotidianità, sia in occasione di trasformazioni importanti e delicate, come i passaggi generazionali o di proprietà e le riorganizzazioni: il coinvolgimento dei dipendenti nel processo di cambiamento permette di affrontarlo con migliori risultati. È importante sottolineare questo aspetto, in un contesto politico internazionale che, a cominciare dagli Stati Uniti, sta cominciando a mettere in discussione questi valori e tende a smantellare i traguardi raggiunti negli ultimi anni in termini di aziende più attente alla centralità delle persone, all’inclusione e alla sostenibilità. Le politiche di welfare e inclusione non sono infatti misure fini a se stesse (anche se avrebbero comunque senso e utilità di per sé), ma elementi efficaci di competitività. Un lavoratore più sereno e motivato, ma soprattutto più coinvolto nelle attività e negli obiettivi aziendali, lavora meglio e porta migliori risultati all’azienda stessa. L’edizione 2025 della classifica delle migliori aziende in cui lavorare nel nostro Paese7, ha messo in evidenza che un livello elevato di fiducia dei dipendenti ha effetti diretti sul fatturato delle imprese: i migliori ambienti di lavoro italiani hanno registrato nel 2024 una crescita media dei ricavi del 19,5% rispetto al 2023, contro il calo dello 0,92% registrato dalle aziende italiane incluse nell’indice Istat.

Come accennato, sono tre le aree di attività in cui l’impresa coesiva costruisce e sviluppa la relazione con i propri lavoratori:

1. Attivazione di strumenti di welfare per migliorare soprattutto la salute dell’individuo e il bilanciamento tra vita privata e lavoro;
2. Creazione di percorsi di crescita professionale e sviluppo di competenze e conoscenze, sia soft che hard skills, attraverso la formazione;
3. Riconoscimento del valore del lavoro svolto e coinvolgimento nelle decisioni e strategie aziendali.

Un primo ambito di relazione tra imprese e lavoratori è dunque rappresentato dal welfare, ovvero tutte quelle iniziative che mettono al centro la cura della persona, finalizzate a migliorarne la qualità e il benessere lavorativo. Tra queste, al primo posto troviamo la leva dell’incentivazione economica, ovvero la prospettiva di incrementi salariali, indicata dal 38% delle imprese intervistate. Seguono la flessibilità negli orari di lavoro (28%); l’offerta di benefit aziendali (21%); la maggiore autonomia nel lavoro (15%); e lo smart-working (12%).

Le prime due modalità sono presenti nell’ultimo contratto integrativo di Feralpi 8 Fonte: 4 Day Week Jobs. , che ha fatto da apripista nel settore siderurgico con l’accordo, siglato nel luglio 2024 con i sindacati, che introduce la sperimentazione della flessibilità organizzativa per il periodo 2024-2027. Nello specifico, sono previste 40 ore di permessi retribuiti per favorire il work-life balance, oltre a permessi per malattie dei figli o visite mediche di figli e genitori. Inoltre, ci sono ulteriori 24 ore di flessibilità organizzativa e i venerdì a orario ridotto, sebbene con alcune distinzioni tra impiegati e operai. Consistente anche la parte economica dell’accordo, che porta il premio di risultato fino a 26mila euro (con un aumento, a regime, del 18% rispetto all’intesa precedente) e introduce un premio di partecipazione fino a 950 euro annui per ogni dipendente.

Anche Lavazza, nell’ultimo integrativo, ha unito la leva economica (con un premio per obiettivo fino a 15mila euro nel triennio di durata dell’accordo) e quella della flessibilità organizzativa, estendendo anche nella fabbrica di Gattinara (sebbene con meccanismi differenti) il meccanismo del venerdì corto già sperimentato con successo negli uffici e fortemente richiesto dai lavoratori. La volontà di coniugare le esigenze di business con il benessere dei propri dipendenti è sempre stata una bandiera del gruppo piemontese e questa scelta è stata premiata dai risultati: Lavazza ha infatti chiuso il 2024 con ricavi a quota 3,3 miliardi di euro, in aumento del 9,1% rispetto al 2023, e un utile di 82 milioni, in crescita del 20,6%. Sebbene non esista ancora in Italia una normativa riguardante la cosiddetta “settimana corta”, la sua sperimentazione sta prendendo piede anche nel nostro Paese. In questo Intesa Sanpaolo è stata pioniera, con un nuovo modello organizzativo del lavoro che integra smart working, flessibilità di orario e appunto settimana corta, richiesta da circa il 70% dei lavoratori che ne potevano fare domanda. A oltre un anno dall’introduzione della possibilità di distribuire l’orario settimanale su 4 giorni anziché 5, una survey di ascolto dei lavoratori ha dimostrato la loro soddisfazione: il 99% di chi ne usufruisce ha dichiarato che continuerà a farlo.

Tra i casi più recenti di aziende che hanno adottato questa misura ci sono SIAE, con l’accordo siglato a gennaio 2025 e in vigore dall’1 marzo al 31 dicembre dello stesso anno, e SACE, prima società partecipata pubblica ad adottare questo modello organizzativo. A spingere le aziende in questa direzione sono anche i buoni risultati ottenuti all’estero, dove questo sistema è una realtà da tempo: nel 2022, un monitoraggio8 di sei mesi sulle performance di 61 aziende britanniche con 2.600 dipendenti, ha mostrato al termine dell’indagine che queste imprese registravano un miglioramento del benessere dei lavoratori senza calo dei risultati o della produttività. Anzi, i livelli di stress e burnout si sono ridotti del 39% e 71%, il tasso di assenteismo è sceso del 65% e le dimissioni volontarie sono diminuite del 57%. Tanto che il 92% delle aziende ha confermato la nuova modalità di lavoro anche per i mesi successivi.

Per quanto riguarda invece i benefit aziendali, sono soprattutto le aziende manifatturiere, in particolare quelle di dimensioni maggiori, a proporre pacchetti ai propri lavoratori9. In questo contesto emergono anche prestazioni a favore dell’area ricreativa: in cima alle preferenze ci sono i fringe benefit (come buoni spesa o card acquisto), il sostegno a spese per viaggi e vacanze o per attività sportive e i contributi per l’istruzione dei figli. Aumentano perciò, tra le aziende, le proposte di welfare in questa direzione, come nel caso di Sonego e Poste Italiane. L’azienda di Treviso – famosa per le sue poltrone da cinema, tra cui quelle realizzate per il Festival di Venezia, e per le sue sedute per stadi di
calcio, da San Siro a Milano all’Allianz Stadium Juventus di Torino – sta realizzando una palestra e un campo da padel per i propri collaboratori. Poste Italiane ha invece aggiunto al suo programma di welfare anche la possibilità di usufruire di alcuni alloggi in mete vacanziere con Capri, Favignana, Lipari o Cernobbio. Il secondo insieme di attività per rafforzare il dialogo con i propri lavoratori coinvolge la cura delle competenze e si declina dunque nel tema della formazione. In un sistema produttivo e commerciale sempre più influenzato dalle nuove tecnologie e dalla rapidità della loro evoluzione, avere al proprio interno professionalità sempre aggiornate è infatti fondamentale per la crescita e la competitività delle imprese. L’importanza di questo tema trova riscontro in quanto emerso da una recente survey10: le imprese manifatturiere che hanno investito nel miglioramento delle competenze della propria forza lavoro nel triennio 2021-2023, o che hanno programmato di farlo nel periodo 2024-2026, sono il 77%. In particolare, le attività di formazione hanno riguardato sia l’aggiornamento e il miglioramento delle competenze già in possesso dei dipendenti (upskilling), sia il conseguimento di competenze nuove (reskilling). Nel triennio 2021-2023, il 64% delle imprese ha investito nell’upskilling dei propri dipendenti, mentre quelle che si sono concentrate sul reskilling sono state il 32%. Un terzo delle imprese (il 34%) ha inoltre investito nella formazione sulla gestione dei rischi (con attività aggiuntive oltre a quelle previste per legge), il 19% si è focalizzato sullo sviluppo di competenze trasversali e il 12% sulla formazione manageriale. Ancora limitate, invece, le realtà che hanno avviato programmi di formazione sull’intelligenza artificiale (il 5%). È interessante, tuttavia, osservare che tale percentuale sale al 15% nel triennio successivo.

Proprio sull’intelligenza artificiale fa leva la nuova piattaforma di apprendimento di Accenture, LearnVantage, che vede l’Italia primo Paese per il lancio in Europa di questo programma su cui il gruppo ha investito, a livello globale, un miliardo di euro per i prossimi tre anni. La piattaforma, dedicata all’upskilling e reskilling delle competenze in aree strategiche come l’intelligenza artificiale generativa, la cybersecurity, il cloud computing e la data science, coinvolge circa 9 milioni di lavoratori italiani e offre una risposta a una delle principali sfide che interessano (e preoccupano) imprese e dipendenti per i prossimi anni, ovvero l’impatto dell’AI sul mercato del lavoro e la sua convivenza e integrazione con le tradizionali competenze professionali. Altrettanto importante, soprattutto in un Paese come l’Italia, in cui l’eccellenza manifatturiera è frutto dell’integrazione tra innovazione e tradizione, tecnologia e artigianalità, è garantire la trasmissione dei saperi tra generazioni, per salvaguardare e preservare la vitalità di tanti distretti produttivi che rischiano altrimenti di scomparire, e le competenze
che rendono i prodotti made in Italy tra i più ricercati al mondo. Negli ultimi anni sempre più aziende hanno preso consapevolezza dell’importanza di questo aspetto, come dimostra l’avvio di programmi per l’affiancamento di figure senior e junior al proprio interno, ma anche la capacità di affrontare e progettare per tempo il delicato tema del passaggio generazionale, che ancora troppo spesso fallisce ed è tra le cause più frequenti di chiusura o di cessione proprietaria di realtà produttive anche storiche.

In quest’ambito si inseriscono le recenti esperienze di due aziende simbolo dell’eccellenza made in Italy nell’abbigliamento e nell’arredo di alta gamma, Golden Goose e Poltrona Frau. Nel primo caso, l’azienda di Marghera (peraltro vincitrice per tre anni di seguito della certificazione “Top Employers”) ha avviato a inizio 2024 un’Academy all’interno della sua Haus of Dreamers, il polo creativo in cui avvengono le sperimentazioni e le prototipazioni del brand. L’Academy Golden Goose è il luogo in cui artigiani esperti insegnano ai futuri talenti le proprie conoscenze nel campo della moda, del design e anche dell’arte. Dal Veneto alle Marche, nella sua sede di Tolentino Poltrona Frau ha avviato nell’ottobre 2024 il primo «Atelier dei saperi», un corso per modellisti di pelletteria realizzato in collaborazione con Regione Marche e alcune associazioni imprenditoriali del territorio, con l’obiettivo specifico di tramandare e salvaguardare il “savoir-faire” non solo dell’azienda, ma di un intero settore, che fatica a garantire il ricambio generazionale. Per cinque mesi, due “maestri di tappezzeria” di Poltrona Frau, affiancati da alcuni dipendenti, hanno formato una decina di allievi tra i 25 e i 55 anni, alcuni dei quali, al termine del percorso, potranno essere inseriti in azienda. Oltre ad aver reso un servizio al territorio, dunque, lo storico marchio marchigiano ha utilizzato la leva della formazione per intercettare nuovi talenti da portare a bordo, per farli crescere al proprio interno, con vantaggio reciproco.

La leva della formazione è strategica anche per offrire ai dipendenti prospettive di crescita professionale, aumentandone quindi la motivazione e il legame con l’azienda. A questo tema si lega quello del coinvolgimento dei lavoratori negli obiettivi e talora anche nelle
scelte delle imprese per cui lavorano, che presuppone la reale reciprocità del rapporto tra i due anelli del sistema produttivo, ovvero che migliori performance aziendali si traducano concretamente in un miglioramento anche per i lavoratori, attraverso la valorizzazione del merito. Ascolto e inclusione sono, del resto, le due caratteristiche più diffuse tra le aziende che annualmente vengono inserite nella classifica Best Workplaces di Great Place to work. Iniziative di questo genere sono sempre più frequenti anche nel nostro Paese: il 42% delle imprese manifatturiere ha infatti favorito la partecipazione dei dipendenti allo sviluppo di progetti di innovazione e in quasi la metà delle aziende gli obiettivi aziendali sono noti ai lavoratori (nel 30% dei casi solo a una minoranza di dipendenti, mentre nel 18% dei casi alla maggior parte di essi). Tuttavia, rimane ancora limitato il numero di aziende che coinvolgono i lavoratori nelle scelte aziendali (il 12%). E se per il 15% delle imprese è importante promuovere azioni di riconoscimento del lavoro svolto, appena il 6% concorda percorsi accelerati di carriera con i propri dipendenti.

Sono al momento soprattutto i grandi gruppi industriali ad aver avviato programmi di questo tipo. Barilla, ad esempio, negli ultimi anni ha sviluppato diverse iniziative che coinvolgono i dipendenti in percorsi aziendali di responsabilità sociale e sostenibilità, con effetti positivi sia sul piano dell’immagine, sia sul piano dei risultati economici. Anche l’ultimo integrativo, firmato nel 2023, conferma e rafforza l’approccio partecipativo dei lavoratori nelle scelte strategiche del gruppo.

Interessante è poi il caso di Stellantis, che ha sperimentato di recente un modello di «Factory of the Future», focalizzandosi su laboratori di innovazione che coinvolgono i dipendenti nelle fasi di test di nuove tecnologie e metodi, raccogliendone poi i feedback. Il gruppo ha inoltre lanciato il progetto «Genius Award», che consente ai lavoratori di presentare una propria idea per lo sviluppo di nuovi prodotti in diversi ambiti e settori. Ogni mese vengono selezionate le migliori idee tra cui, ogni anno, viene scelta la vincitrice assoluta. Tutte le proposte vengono comunque prese in considerazione diventare oggetto di brevetto, a favore dell’inventore e dell’azienda. È accaduto alcuni anni fa al progetto di un gruppo di dipendenti europei, che ha proposto una soluzione per un problema legato alle auto elettriche e tale soluzione è stata poi implementata nella Fiat Grande Panda a fine 2024.

Un altro strumento efficace per coinvolgere i dipendenti negli obiettivi aziendali è il cosiddetto Piano di azionariato diffuso (PAD), attraverso cui le aziende offrono ai propri dipendenti la possibilità di acquistare azioni della società, spesso a condizioni vantaggiose, allo scopo di favorirne la partecipazione alla crescita aziendale, condividendo in concreto il valore generato. Sebbene in Italia l’adozione di questo meccanismo sia ancora limitata rispetto ad altri Paesi europei, in primis Germania e Francia, la sua diffusione ha registrato nell’ultimo anno una notevole accelerazione. A fine aprile 2025, ad esempio, l’assemblea dei soci di A2A ha approvato «A2A Life Sharing»: il piano sarà realizzato utilizzando azioni proprie riacquistate dal gruppo e prevede tre cicli, nel corso dei quali i dipendenti che aderiranno riceveranno, gratuitamente, azioni ordinarie di A2A per un controvalore monetario individuale di 1.500 euro nel triennio 2025-2027.

Tra i gruppi che di recente hanno promosso questo strumento c’è anche Fincantieri, che nel novembre 2024 ha registrato un’adesione complessiva del 22% tra i dipendenti delle sedi in Italia, Norvegia e Stati Uniti, percentuale che in Italia sale al 97% tra i dirigenti e al 69% tra i quadri. I buoni risultati hanno convinto i vertici del gruppo a proporre un nuovo PAD nel 2025, con un pacchetto aggiuntivo di azioni. Altro caso significativo è quello di Ferrari, che ha lanciato il PAD a inizio 2024: l’ottima adesione (il 98,7% dei lavoratori in Italia) ha convinto l’azienda di Maranello a estendere l’iniziativa a livello globale.

Tutti questi esempi e l’evidenza dei dati ci dimostrano che costruire relazioni solide e fondate sulla fiducia reciproca tra imprese e lavoratori non è più solo una scelta di responsabilità sociale, ma una strategia imprescindibile di competitività e crescita. Le aziende che investono nel benessere, nella formazione e nel coinvolgimento attivo dei propri collaboratori e ne valorizzano competenze e aspirazioni, non solo migliorano il clima interno, ma ottengono inoltre risultati concreti in termini di produttività, innovazione e capacità di affrontare le sfide di un mercato in continua evoluzione. In un contesto in cui il valore delle persone è la risorsa più preziosa, promuovere modelli organizzativi inclusivi, coesi e sostenibili rappresenta dunque la chiave per costruire imprese più forti, più resilienti e capaci di guardare al futuro con successo.

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