«Uscire dalla crisi? Solo green e solidali»
Ermete Realacci e il Festival Soft Economy organizzato da Symbola, quest'anno online. «La crisi? Occasione unica per cambiare: come dice Francesco, peggio sarebbe sprecarla». I vantaggi reali del nostro Paese per ripartire, dai legami col territorio al Terzo settore.
Se dovesse riassumere il punto in due parole-chiave sarebbero «opportunità» e «insieme»: la prima dice come considerare la crisi in corso, la seconda la via maestra per uscirne. Ma poi è chiaro che Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola cui si deve l'organizzazione del diciottesimo Festival Soft Economy oggi al via, di parole importanti ne avrebbe tante altre. A cominciare ovviamente da quelle del titolo di questa edizione, per la prima volta interamente online causa Covid: «L'Italia che verrà. Comunità, territori e innovazioni contro paure e solitudini». Altre parole sono «Europa», «green», «sussidiarietà». E hanno tutte a che vedere con il «cambiamento necessario» per accendere il motore della ripartenza dopo la sberla abbattutasi sul mondo e sull'economia con il lockdown. «Ma non c'è alcuna contraddizione - dice Realacci - rispetto a quello di cui il mondo aveva bisogno anche prima del virus e che è sempre la stessa ricetta già contenuta nel manifesto di Assisi promosso dalla nostra Fondazione e dal Sacro Convento: una economia e una società più a misura d'uomo e per questo più capaci di futuro».
E quindi in che cosa, per esempio, questa idea è diversa da altre tipo quella di «decrescita felice»?
«Questa idea è l'esatto contrario di decrescita. Anche se per comprenderla è più utile ascoltare le parole di un uomo forte e gentile che parla sotto la pioggia in una piazza San Pietro deserta anziché aspettare i vaticini di qualche agenzia di rating. La sfida della sostenibilità non incrocia solo una crescente sensibilità dei cittadini ma fa
bene all'economia e alla società».
Adesso però l'economia è a un punto drammatico. E le agenzie magari sbaglieranno ma prevedono, per molte imprese italiane, che a peggio debba ancora venire. Qual la risposta?
«Che sia durissima non c'è dubbio. Ma come dice Francesco la sola cosa peggiore di questa crisi sarebbe il fatto di sprecarla. E la strada è quella che proprio molte imprese italiane, invece, hanno già imboccato da tempo: quelle che dal 2o15 a oggi hanno investito nell'ambiente sono 432mila, il che vuol dire un terzo del nostro settore manifatturiero. Ma non è solo l'Italia: negli stessi giorni in cui lanciavamo il Manifesto di Assisi i grandi dell'economia mondiale riuniti a Davos hanno parlato quest'anno solo di sostenibilità e cambiamento climatico, il fondo di investimento più grande del mondo e cioè Blackrock spinge da tempo nella stessa direzione, gli ultimi impianti per la produzione di energia negli Stati Uniti sono alimentati da fonti rinnovabili e cinquanta centrali a carbone sono state chiuse nonostante Trump. Ripeto: la strada è già stata imboccata, bisogna proseguire».
Questo il bicchiere mezzo pieno. Cosa manca nell'altra metà? Per l'Italia in particolare?
«Coordinamento. Il problema è che tutte queste energie positive si muovono ciascuna per contro proprio. Gli Stati Generali organizzati dal governo, come ho già avuto modo di dire, sono stati un elenco di belle cose. Il punto è che poi vanno messe insieme con una strategia che dia priorità, ordine, logica. In questo senso dobbiamo sperare, parlo per l'Italia, che non vada perduta l'altra grande occasione di questo momento e cioè quella che sta arrivando dall'Europa».
E in cosa consiste?
«Appunto nell'indicare priorità. Sono preoccupato quando vedo che una delle polemiche sollevate da alcuni contro Bruxelles è quella di chi non vorrebbe vincoli su come spendere i soldi. E benedico, invece, il fatto che i tantissimi soldi in arrivo dall'Europa siano legati a quei tre capitoli molto precisi come la sanità, il green deal, il digitale».
E il Terzo settore?
«E l'altra premessa di tutto. La sussidiarietà e la coesione non sono cose che vengono dopo, bensì il cardine: quando si dice che "nessuno va lasciato indietro" non si esprime solo una posizione etica, peraltro inaggirabile se si vuole essere una società "civile", ma si afferma un fattore produttivo formidabile. La solidarietà è motore di sviluppo. La riscoperta dei borghi è motore di sviluppo. La circolarità è motore di sviluppo. E se la prospettiva è quella di una economia a misura d'uomo, come il professor Stefano Zamagni ci ricorda sempre, il nostro Paese è uno di quello con più cose da dire».