Estratto del capitolo “Televisione sotto attacco: le difese” di Io sono Cultura
L’informazione televisiva in questa annata ha vissuto due stagioni in una: il conflitto in Ucraina ha infatti pesato a tal punto da poter contemplare un pre e un post 24 febbraio, giorno dell’invasione russa. Nella prima parte, l’elezione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato il grande evento in grado di distrarre l’agenda mediatica dal racconto del Covid. Meno di un mese dopo, il 24 febbraio, la televisione ha dovuto fare i conti con lo scoppio del conflitto in Ucraina, la guerra più documentata della storia, quantomeno a livello di immagini a disposizione. Una rivoluzione sottolineata fin da subita anche dal premio Pulitzer Thomas Friedman sul «New York Times»: nelle 24 ore successive all’invasione russa, le informazioni a disposizione sono state addirittura maggiori di quelle giunte nella prima settimana della guerra in Iraq. Ecco dunque una difficoltà presentatasi all’informazione tv: in modo analogo a quanto successo con la pandemia, anche con la guerra l’eccesso di informazioni ha rappresentato un complicato ostacolo nella costruzione del racconto.
Parallelamente – e si tratta di una tendenza nuova che farebbe ben sperare – la necessità di organizzare, verificandole, fonti e notizie ha rinforzato il ruolo informativo della televisione, rinnovando quel patto di fiducia con il telespettatore che negli ultimi tempi era stato sempre più sotto attacco. Non a caso, durante la prima settimana del conflitto la platea televisiva è aumentata e quasi tutti i talk show d’informazione hanno raggiunto in termini di ascolti i propri record di stagione.
Fin da subito la televisione ha scelto una strada informativa parallela alle notizie dal fronte e raramente percorsa in precedenza durante eventi del genere: privilegiare le storie private dei civili travolti dalla guerra.
In Italia, infatti, risiede la comunità ucraina più numerosa d’Europa e anche molti profughi parlano la nostra lingua. Una prossimità culturale che ha aiutato il racconto televisivo del conflitto anche nel resto d’Europa, affiancando all’informazione un’efficace linea emozionale quasi mai strumentalizzata. Addentrandosi nelle best practice nazionali, la Rai si è distinta per due iniziative importanti: un tg in ucraino in onda tutti i giorni su Rainews24 con gli aggiornamenti dalle zone di guerra e l’iniziativa Benvenuti bambini, ossia la possibilità per i più piccoli rifugiati in Italia di guardare su RaiPlay alcuni fra i cartoons più popolari doppiati nella loro lingua. Record di ascolti a parte, i talk show d’informazione sono finiti sotto accusa perché colpevoli di lasciare troppo spazio agli opinionisti russi e alla loro propaganda. In una dinamica che ricorda da vicino il dibattito sulla presenza in tv dei no-vax di qualche mese prima, numerosi talk show hanno infatti costantemente ospitato giornalisti e politici russi, velando di pluralismo l’antica fame di contrapposizione tipica di questo genere televisivo.
Continua a leggere il capitolo da p. 186 a 190 su”Io Sono Cultura 2022″, la ricerca realizzata con Unioncamere, Regione Marche, in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo