Le forme di collaborazione tra imprese e istituzioni pubbliche si declinano secondo modalità sempre nuove, segno di come questa relazione stia evolvendo in maniera rapidissima e sperimentando soluzioni del tutto inedite. Ciò che rende possibile questo cambio di marcia sono in primis due fattori: da un lato la consapevolezza di entrambe le parti che sia necessario sperimentare nuove forme di alleanza per rispondere alle grandi transizioni in corso (ambientale, demografica, digitale, etc.) e agli impatti negativi derivanti dalle ripetute crisi internazionali che impongono il dover cooperare in maniera sempre più stretta. Dall’altro lato un’altra importante consapevolezza, ovvero, la comprensione che alimentare circuiti economici slegati dai territori e dalle comunità che li popolano secondo una logica meramente estrattiva e speculativa, finisce per generare un sistema che si autoconsuma in quanto vittima della sua stessa idea di valore declinata unicamente in termini di profitto. Un eccessivo sfruttamento dell’ambiente naturale, della forza lavoro e del desiderio di consumo non danno vita ad un incremento della produttività e competitività che nel medio e lungo periodo siano sostenibili, anzi, finiscono per indebolire gli stessi sistemi produttivi esponendoli a fragilità difficili da rimediare.
Ecco perché la relazione con le istituzioni pubbliche e la dimensione “pubblica” dell’attività d’impresa, cioè le ricadute di carattere sociale, ambientale, culturale e politico, diventano un riferimento imprescindibile che permette di passare da una logica di relazione strumentale ad una intenzionale.
L’intenzionalità delle nuove forme di alleanza tra imprese e istituzioni assume però fin da subito declinazioni differenti che possono portare a nuove opportunità per un concreto miglioramento del benessere collettivo, oppure allo scivolamento in pratiche ancora una volta di carattere meramente estrattivo, seppur meglio mascherate. Rispetto a quest’ultimo elemento, non è un caso che di recente, grazie soprattutto al libro di Carl Rhodes, si sia iniziato a discutere di Capitalismo Woke[2]. Con questo termine ci si riferisce “al numero sempre maggiore di aziende, soprattutto multinazionali, che si pongono a favore dei movimenti sociali e che utilizzano questo loro schierarsi nelle proprie campagne di informazione e pubblicitarie per migliorare il proprio posizionamento rispetto l’opinione pubblica e la platea dei potenziali consumatori”.
Quella raccontata da Rhodes è una forma evoluta di atteggiamento che mescola pratiche di responsabilità sociale d’impresa con modalità sofisticate di “washing”, che portano le imprese a invadere spazi solitamente di appannaggio esclusivo della politica e delle istituzioni pubbliche. La “moralizzazione delle aziende”, il rendersi portatrici di istanze progressiste e cause civili (come la lotta al cambiamento climatico, i movimenti Mee Too e Black Lives Matter), porta ad una distorsione dei rapporti tra imprese ed istituzioni pubbliche che va evitata poiché subordina, ancora una volta, il perseguimento di istanze politico-valoriali a finalità di mercato.
Per quanto riguarda invece le opportunità di nuove partnership pubblico-private, si osservano diversi casi che raccontano di un differente approccio dove è l’impresa stessa a interpellare l’istituzione pubblica per proporle l’attivazione di vere e proprie forme strutturate di collaborazione e che guardano ad investimenti per il lungo periodo. In queste pratiche, che saranno descritte di seguito, si supera il tradizionale approccio della responsabilità sociale d'impresa e si aprono percorsi inediti caratterizzati da una spiccata co-responsabilità nella partecipazione a progettualità imprenditoriali che legano l’aumento della competitività ad un concreto aumento della qualità delle condizioni ambientali e sociali dei territori e comunità circostanti.
Allo stesso tempo molte delle istituzioni pubbliche, soprattutto a livello locale, riconoscono nelle aziende un vero e proprio partner per la co-costruzione di politiche per lo sviluppo territoriale che guardano molto oltre l’ambito meramente economico. I recenti esempi di programmi nazionali come il PNRR, l’Agenda Digitale o la Strategia Nazionale Aree Interne dimostrano come per poter realizzare con efficacia e sortire effetti concreti sui territori, siano necessarie alleanze strettissime tra istituzioni pubbliche e tessuto produttivo locale. Dove arrivano risorse e non trovano reti e solidi partenariati pubblico-privati, quasi sempre le progettualità falliscono o non riescono nemmeno a prendere avvio.
Ecco allora che l’obiettivo del policy maker di costruire nuove reti per lo sviluppo locale incontra l’interesse delle aziende di trovare nuove risorse per fare investimenti di lungo periodo, costruire nuove infrastrutture di ricerca e sviluppo, accrescere l’accesso a nuovi mercati e rafforzare i meccanismi protettivi in caso difficoltà impreviste, tutti elementi che trovano concretizzazione attraverso forme evolute di collaborazione con il soggetto pubblico.
Un primo interessante caso è quello di “Elba 2035”[3], promosso dall’azienda Acqua dell’Elba, il quale nasce come percorso partecipativo in cui si è messo al centro il territorio elbano e dove agli stakeholder che lo abitano viene chiesto di dialogare tra loro per immaginare lo sviluppo sostenibile dell’Isola nei prossimi 15 anni. Il fine ultimo è elevare la qualità della vita dell’isola e dei suoi abitanti, di oggi e di domani ed elaborare il primo manifesto di Sostenibilità dell’Isola d’Elba. Un documento programmatico di sintesi sulla visione di futuro che gli abitanti hanno della propria Isola, incentrato sulla sostenibilità e sulla messa a terra degli obiettivi dell’Agenda 2030. Qui emerge in maniera chiara come la sostenibilità dell’impresa sia strettamente legata alla sostenibilità del suo territorio di riferimento, ma non solo, emerge con chiarezza anche il fatto che il futuro del territorio per essere immaginato e costruito necessiti di uno sforzo corale che coinvolge tutti gli attori locali. Il percorso diventa inoltre un’importante occasione per l’istituzione pubblica attraverso la quale andare a comporre concrete proposte di policy e facendo della sostenibilità un riferimento valoriale che trovando riconoscimento nei cittadini e nelle imprese del territorio, diventa anche criterio per orientare le scelte politiche in una direzione piuttosto che nell’altra. Qui è l’impresa che mettendo al primo posto la sostenibilità del territorio arriva a stimolare le istituzioni locali e numerose altre realtà produttive chiedendo il riconoscimento in una visione comune di futuro del territorio come presupposto e garanzia per rafforzare e orientare l’attività d’impresa. Acqua dell’Elba, legandosi al territorio in maniera così forte tanto da inserirlo nel proprio nome, fa corrispondere quindi ad uno sviluppo dell’Isola anche una maggiore crescita dell’impresa.
Un secondo caso è rappresentato dal nuovo Distretto dei Gas e della Vita a Osio Sopra promosso dal Gruppo SIAD, leader nella produzione di gas industriali, alimentari e medicinali. La creazione del centro è stata possibile grazie ad una collaborazione molto stretta tra l’azienda e la Regione Lombardia che ha permesso la messa in campo di un investimento di 16 milioni di euro, 3 dei quali reperiti proprio grazie al Fondo Crescita Sostenibile in base all’accordo per l’Innovazione tra l’allora Ministero dello Sviluppo Economico e la Regione Lombardia.
La collaborazione con le istituzioni pubbliche però non si è esaurita nel reperimento delle risorse economiche, ma si basa su una visione più estesa legata al territorio: progressivamente infatti si estenderà ad altri soggetti locali come l’Università degli Studi di Bergamo, dove è stato da poco inaugurato il primo corso di laurea triennale in Ingegneria delle tecnologie per la sostenibilità̀ energetica e ambientale, e tra i futuri laureati molti potrebbero trovare possibilità̀ di carriera proprio in SIAD. Questo racconta in maniera chiara di come una progettualità imprenditoriale realizzata insieme al soggetto pubblico e che guarda al lungo periodo, possa inoltre diventare motore per la nascita di una rete più ampia di collaborazioni con altre realtà pubbliche portando anche ad una crescita dell’attrattività di quel territorio in quanto infrastrutturato da solidi circuiti collaborativi che legano la singola impresa ad altre eccellenze locali e alla capacità amministrativa delle istituzioni.
Un terzo caso interessante è quello rappresentato dal progetto del Gruppo Aboca, che si occupa di cura della salute attraverso prodotti 100% naturali, il quale nel 2016 ha acquistato l’80% di Afam, società a cui fanno capo 21 farmacie comunali di Firenze, e il cui restante 20% appartiene alla Comune della città. L’obiettivo è quello di sviluppare una nuova idea di farmacia, fortemente integrata con il sistema socio-sanitario e dove la professionalità diventa la chiave del posizionamento competitivo sul mercato. A ciò si aggiunge l’evoluzione dell’impresa in società benefit, rafforzando ulteriormente la prospettiva aziendale che ha impostato la propria attività secondo un’idea di filiera basata sul coinvolgimento dei partner e sulla possibilità di gestire interamente il processo che parte dalla coltivazione delle piante da cui estrarre le materie prime per i medicinali (possiede oltre 1.000 ettari di coltivazioni biologiche di piante officinali), fino alla gestione diretta dei punti vendita rappresentati dalle farmacie locali. L’azienda delle farmacie comunali fiorentine è stata inoltre la prima società a capitale misto pubblico-privato in Europa e la prima rete di farmacie al mondo a diventare società benefit.
Un tale percorso per funzionare bene deve sviluppare collaborazioni molto strette con le istituzioni locali, così come con il territorio nella sua accezione più ampia, poiché in un settore come quello degli articoli per la salute molto del valore di quanto prodotto deriva proprio dal riconoscimento offerto dagli altri soggetti, in primis le istituzioni pubbliche, con cui ci si relaziona abitualmente. Qui l’impegno verso la sostenibilità e la qualità del lavoro, non sono tradotti in una semplice narrazione d’impresa, ma trovano dimostrazione nel cambiamento sia del modello organizzativo, sia nella strategia imprenditoriale più ampia che lega la propria distintività e competitività in misura sempre crescente a quelli che sono gli impatti positivi sui territori e comunità e le modalità con arrivare a tali obiettivi, ovvero le forme di collaborazione con i vari partner territoriali.
Quanto emerge dal racconto di queste esperienze, sono sicuramente modalità innovative di interpretare l’alleanza tra imprese e istituzioni pubbliche. In particolare sembra emergere un filo rosso che unisce tutte queste progettualità, e cioè il divenire dell’impresa una “neo-istituzione” proprio in virtù di una stretta collaborazione con l’istituzione pubblica con cui si condividono non solo finalità economiche, ma una più ampia responsabilità per lo sviluppo del territorio.
È precisamente la circolarità istituita tra sviluppo del territorio, attività d’impresa e funzione politico-amministrativa a caratterizzare il profilo delle nuove economie coesive.