Dopo la parentesi negativa del 2017, il comparto è tornato in attivo, anche se in misura minore rispetto ai Paesi con un mercato musicale importante. Lo streaming
è sempre più al centro della discografia, anche se i cd restano in auge. Sempre in crescita il settore dei concerti, ma le esportazioni e in generale l’interesse per quel che succede oltre i nostri confini continua a diminuire. E malgrado il dominio di YouTube, la televisione è ancora molto influente.
Nel 2018 il mercato discografico globale, trainato dallo streaming (soprattutto quello a pagamento, che ha superato i 255 mln di utenti) è cresciuto quasi del 10%, con ricavi a +34%. Anche quello italiano è cresciuto, benché in misura minore (+2,6% e 228 mln di fatturato), ma non si è ripetuto quel preoccupante segno negativo del 2017 in controtendenza col resto del mondo. Anche da noi lo streaming si avvia a coprire, come nei 10 Paesi dal volume di affari più elevato, la metà del mercato (41%); se poi negli ultimi cinque anni la pirateria è scesa dal 39% del 2014 al 20% dell’aprile 2018, il ruolo dello streaming è stato cruciale. Non va trascurato comunque che in Italia, benché il 90% della musica si ascolti su YouTube, il supporto fisico e i negozi contano ancora moltissimo (secondo IFPI, 61,9 mln di €, con 13,6 mln solo per il vinile), un attaccamento quasi simbolico all’oggetto-disco che si riscontra anche in un mercato forte come quello tedesco. Un suo peso lo ha il Bonus Cultura, che nel 2018 ha prodotto oltre 21 mln di fatturato. E gli instore tour o “firmacopie” nei centri commerciali sono sempre più intensi: un cantante di medio successo di norma si presenta per firmare (e vendere) il suo cd in 12 città diverse in una settimana – qualcuno, con una certa attenzione alla logistica (e alla preparazione atletica) arriva a 15.
L’infoltimento dei roster delle major conferma che la quantità dell’offerta è alta; sulla qualità si può discutere. Un dato oggettivo è che pochi riescono a ottenere un successo trasversale e un consenso diffuso: diminuiscono i dischi di platino ed è difficile credere che il primatista di permanenza in classifica (il rapper Salmo con Hellvisback, pubblicato il 5 febbraio 2016, e tuttora in top 100) piaccia alla maggioranza degli italiani. Ma anche in USA solo due album hanno superato le 500mila unità vendute. Sulla latitanza di artisti di presa universale influiscono lo spostamento verso una musica dal dna più urbano e l’ormai esplicito cambiamento di rotta delle case discografiche verso una produzione e un consumo più giovani. Vengono gettati nell’arena molti più artisti, anche non del tutto pronti, e in questa fase non ci sono risorse (o voglia) per prodotti che reggano al passare del tempo: un sintomo sono i sempre maggiori investimenti nei cosiddetti tormentoni estivi.
Costretta a investire per restare a galla, la discografia indipendente che ottiene diversi buoni risultati, tra i quali quello simbolico della vittoria a Sanremo 2018 tra i big e i giovani, grazie a singoli pubblicati da Mescal e Honiro. Ma facendo i conti tra i 100 album più venduti, le tre major passano dagli 88 del 2017 agli 86 del 2018. Le tre multinazionali della musica restano in ottima salute e assecondano le tendenze: una strategia che a livello planetario porta a privilegiare aree geografiche dove i consumi sono in forte crescita. Così, se generi come il reggaeton latinoamericano e il pop coreano vengono strategicamente incoraggiati, da noi alla voce esportazioni c’è ancora pochissimo da segnalare. Sulla mappa della musica contemporanea sono entrati trionfalmente nuovi Paesi; l’Italia è rimasta aggrappata ad Andrea Bocelli e Laura Pausini. Si produce per un mercato interno le cui preferenze sono sempre più marcatamente per artisti italiani (29 nella top 30 annuale) e maschi. Questo dettaglio è una conseguenza degli investimenti nel rap e nella trap, generi cui pertiene una componente misogina, ma forse anche uno specchio di certe dinamiche sociali. Sta di fatto che solo 12 artiste sono entrate tra i cento album più venduti, e la sola Laura Pausini in top 10.
In compenso la classifica FIMI, al netto delle considerazioni sul cambiamento epocale in favore dello streaming a pagamento nelle rilevazioni, testimonia un chiaro ringio vanimento dei ranghi (di ascoltatori e interpreti) e un apparente declino dei cantautori e del pop a favore di un sound metropolitano, con visibile crescita degli artisti nati o cresciuti a Roma e Milano rispetto a quelli provenienti da altre aree. Ma per quanto si sia parlato moltissimo di trap, tra i dieci singoli che hanno ottenuto più ascolti in tutto l’anno trionfano i già citati tormentoni estivi: megaproduzioni con budget altissimi per i video e sostegno di sponsor, che imitano sempre più spesso un sound latino (mossa vincente, visto che in tutto il secolo non si erano mai visti così tanti singoli italiani in alta classifica) e non vengono necessariamente seguiti dalla pubblicazione di un album. Questi ultimi, a proposito di stagionalità, continuano a perdere la loro importanza come regali di Natale: l’abitudine di uscire poco prima delle Feste per piazzare il proprio prodotto tra le strenne è in calo fisiologico. Se certi cambiamenti sembrano seguire naturalmente il progresso tecnico, va segnalato, malgrado la citata supremazia di YouTube come modalità di ascolto della musica, il grande ritorno della tv come base di lancio: i tre nomi emergenti del 2018, ovvero Ultimo, Irama e Maneskin, provengono da Sanremo, Amici e XFactor. Persino il video “non musicale” più visto su YouTube nel 2018 è in realtà l’audizione di Martina Attili a XFactor.
Al contrario la radio, pur facendo registrare ascolti in crescita, sembra un mezzo incapace di dare supporto alla musica, e a guardare le classifiche a volte risulta quasi controproducente: gli artisti più trasmessi non vengono poi acquistati o selezionati sulle piattaforme di streaming. La canzone più diffusa per radio è stata Non ti dico no di Boomdabash & Loredana Bertè. Al n.2 Who you are di Mihail, al n.3 Una grande festa di Luca Carboni. Nessuna delle tre è tra i primi trenta singoli dell’anno, la n.2 e la n.3 non sono nemmeno tra i primi cento. Il confronto suggerisce che tra tante nicchie il collante della visione collettiva sulla tv generalista mantenga un potenziale importante. In proposito, sono in crescita i diritti connessi, ovvero i ricavi dalle utilizzazioni di musica in radio, TV e nei pubblici esercizi, aumentati del 4,17% e attualmente pari al 22,1% del totale del mercato musicale nel nostro Paese (percentuale che implica il sorpasso su cd e vinili).
Parlando di concerti, il settore dichiara un’ulteriore crescita (7 mln di spettatori, il trend è ormai mediamente del 7% in più ogni anno, per un giro di affari intorno al mld di €). Ma nel 2018 ha avuto luogo una rivoluzione: la tedesca Cts Eventim, multinazionale dei concerti (5mila eventi l’anno, 280 mln di biglietti venduti) ha acquisito le agenzie italiane di promoting Friends & Partners, D’Alessandro & Galli, Vertigo e Vivo Concerti, e già in Italia controlla Ticketone, leader di mercato per il ticketing. Anche questo un indicatore della forte esposizione del comparto ai colossi internazionali. Tuttavia nel frattempo gli sforzi per debellare il secondary ticketing non hanno ancora risolto il problema: Assomusica denuncia maggiorazioni dei prezzi fino a 15 volte quelli originari sui siti Viagogo, StubHub e MyWayTicket. A suo modo, è la riprova della grande richiesta di musica dal vivo, nel cui ambito si è manifestato l’unico lieve calo per la produzione italiana: i live più visti nel 2018 sono stati quelli di star mature (guidate da Eminem a Milano, n.1 con 80mila persone), anche perché nel live il genere rock continua a difendersi: alle spalle di J-Ax & Fedez sempre a Milano, dal terzo posto in giù ci sono Guns’n’Roses, Foo Fighters, Vasco Rossi, Imagine Dragons e Pearl Jam.
Per la parte fredda dell’anno, da ottobre a marzo, in 19 casi su venti la maggiore affluenza si è verificata in due soli luoghi: Unipol Arena di Casalecchio di Reno (oltre 15mila spettatori) e Forum di Assago (oltre 12mila). Per quanto riguarda invece le venues estive, aumentano le preferenze per luoghi diversi dagli stadi, in particolare scenari storici e suggestivi, sui quali l’Italia è avvantaggiata rispetto ad altre nazioni, anche se ovviamente necessitano di particolare attenzione. L’Arena di Verona, le Mura Storiche di Lucca, il Teatro Antico di Taormina, le Terme di Caracalla e il Circo Massimo di Roma sono un incentivo per convincere gli artisti internazionali a esibirsi in Italia, in qualche caso abbassando le pretese sul cachet.
Da sottolineare la crescita dei Festival, anche di nicchia, e i numeri relativi alla ricaduta sul territorio. Firenze Rocks ha mosso per l’economia toscana circa 42,1 mln e quasi la metà di coloro che hanno pernottato nei dintorni sono anche andati in un museo cittadino o hanno effettuato una spesa culturale per un valore di 585mila €. Umbria Jazz porta al territorio umbro 5,8 mln41 e, durante il festival, il Pozzo etrusco registra il 34% in più di biglietti staccati, Palazzo Sorbello il 49% in più, la Galleria Nazionale dell’Umbria il 30% in più. Soddisfazione anche a Torino, specializzatasi nella musica elettronica grazie all’ormai fondamentale ClubToClub invernale, il cui pubblico è per il 25% straniero, e al Kappa FuturFestival estivo, che porta 50mila ospiti provenienti da 81 nazioni.
Per quanto riguarda il mondo dei diritti d’autore, Soundreef, la collecting privata con sede a Londra che si pone come alternativa a Siae, ha deliberato un aumento di capitale a completare una raccolta complessiva nel 2018 pari a 3,5 mln. Siae intanto ha ritrovato un suo dinamismo, specialmente nel sostegno ai giovani e all’export italiano: nel suo primo anno di vita, l’ufficio Italia Music Export ha fornito supporto economico a 100 persone, e per il 2019 le iniziative Call Artisti, Call Operatori e Supporto Showcase vedranno un aumento di budget. Nel frattempo tra Siae e Soundreef la guerra pare finita; con quali effetti, si vedrà nel prossimo futuro. A proposito di divergenze, dal punto di vista normativo l’emendamento Battelli sul biglietto nominale per concerti con pubblico superiore a 5000 unità ha visto in disaccordo Siae (a favore) e Assomusica (contraria), ma il testo dell’Europarlamento sulla riforma del copyright, dal quale ci si aspetta una spinta per riequilibrare il value gap di cui si avvalgono alcune piattaforme (prima fra tutte, YouTube) ha suscitato condivisa soddisfazione tra Siae, Soundreef, IFPI, FIMI e AFI. Per una volta, un fronte unito.