Quando nel 2013 il Distretto Culturale Evoluto è stato lanciato dalla Regione Marche, come strategia di politica regionale per lo sviluppo territoriale a base culturale, l’intento era quello di scommettere sulle opportunità occupazionali, in particolar modo giovanili e qualificate, che innovazione e cultura avrebbero potuto garantire nel rigenerare, pur parzialmente, un tessuto economico regionale manifatturiero segnato dalla crisi.
Quella scelta è stata allora e resta oggi coraggiosa e tempestiva, anche in ambito nazionale ed europeo, dove proprio nello stesso periodo si ragionava del peso delle imprese culturali e creative nello sviluppo delle economie locali. Non a caso il programma fu appoggiato sul fondo regionale straordinario per l’occupazione e il lavoro in misura pari a circa 5 milioni di euro, con un effetto moltiplicatore di risorse in cofinanziamento per circa il triplo.
L’anno 2016 ha visto quindi la piena maturità dell’esperienza del Distretto Culturale Evoluto delle Marche ed i dati di output sono assai soddisfacenti anche se purtroppo il sisma ha ora imposto una battuta di arresto a molte attività in ampie zone del territorio. Con 13 progetti di iniziativa territoriale, 4 progetti regionali, oltre 400 partner pubblici e privati, il Distretto Culturale Evoluto delle Marche si è qualificato come esperienza unica in ambito nazionale, per la diffusione policentrica che ha inglobato e collegato città e territori creativi, e per la quantità di intersezioni e connessioni create tra istituzioni, competenze, luoghi, persone.
Nei primi tre anni pieni di attività, si sono svolti circa 300 eventi dedicati e manifestazioni di animazione territoriale con una buona capacità dei progetti di integrarsi positivamente con gli eventi e le iniziative in corso a livello locale.
Positivi i riscontri sul coinvolgimento attivo del sistema imprenditoriale: oltre 200 le imprese che hanno partecipato economicamente, 500 quelle coinvolte a diverso titolo.
Un ruolo strategico lo ha svolto il settore formativo pur in modalità diversificate, con più di 240 momenti che hanno coinvolto circa 5.800 partecipanti con una media di 21 utenti ad evento e 31 nuove borse di lavoro/ricerca.
Buoni i dati relativi all’occupazione mantenuta e creata, ed alle nuove imprese avviate considerato che nello stesso periodo si moltiplicavano le opportunità di ulteriore sostegno pubblico alle start up nel settore dell’innovazione culturale e tecnologica, la maggior parte delle quali, peraltro, di più facile e diretta accessibilità. Le attività hanno portato alla realizzazione di oltre 200 prototipi, mentre 49 prodotti sono stati immessi sul mercato, 11 brevetti depositati e 5 marchi sono stati registrati. Tutti i progetti hanno attivato specifici canali di comunicazione utilizzando sia media tradizionali che canali e reti sociali.
Un primo fenomeno interessante rispetto allo sviluppo del DCE ha avuto luogo nel momento in cui è stata lanciata la Strategia nazionale per le aree interne, nell’ambito della elaborazione di una strategia articolata di sviluppo atta a contrastare processi di progressivo spopolamento e abbandono dei territori. Quando si è trattato di confrontarsi con gli attori e gli stakeholders dell’area che è partita per prima, ovvero quella del basso Appennino pesarese ed anconetano, la proposta di strategia è risultata incardinata sul patrimonio culturale materiale e immateriale, ed in larga misura integrata a progetti che erano già stati avviati nell’ambito del DCE. Nell’ambito di una visione volta alla valorizzazione integrata delle risorse naturali, culturali e del turismo sostenibile, del sistema agroalimentare, delle filiere di produzione di energia pulita e del saper fare artigianale, il tema degli ‘asili’ come ambienti residenziali di accoglienza, produzione culturale e lavoro artistico ha caratterizzato e in qualche modo identificato la strategia di questa area. Per quel che concerne le altre due aree, dell’Alto maceratese e di Ascoli Piceno, si deve tener conto che entrambe attualmente risultano coincidenti e inglobate nella più ampia definizione del cosiddetto ‘cratere’ del sisma.
Della crisi sismica del centro Italia e delle Marche si è molto parlato e si parlerà a lungo: un evento devastante, che ha sconquassato i territori e il tessuto sociale delle aree montane in particolare, ma anche di città d’arte e centri di cultura e conoscenza come, tra i tanti, Macerata, Camerino, Ascoli Piceno. È ovvio che attività così delicate come quelle sviluppate all’interno del Distretto Culturale Evoluto ne abbiano sofferto, anche perché molte delle iniziative sono partite proprio dalle Università impegnate in prima linea nella realizzazione dei progetti. Ma è altrettanto evidente che proprio dall’humus che l’esperienza del Distretto Culturale Evoluto ha saputo generare (e su cui, a sua volta, è cresciuto) possano nascere molte delle risposte più significative per il futuro dei territori che e soffrono oggi le conseguenze del sisma.
Il modello del distretto culturale evoluto si presenta come una opportunità già percepita per i territori interni e le città d’arte colpite dal sisma, un modello flessibile e leggero di concezione e sviluppo di attività economiche di innovazione tecnologica e non, compatibile con i territori di montagna e capace di generare nuove opportunità di lavoro con particolare riferimento ai giovani.
Fino ad ora l’attività del DCE si è sviluppata fondamentalmente lungo due direttrici: l’una diretta a sviluppare un’offerta turistica fortemente innovativa centrata sul settore culturale e fortemente coadiuvata dalle nuove tecnologie (anche interpretate in funzione di conservazione e restauro del patrimonio); l’altra finalizzata a potenziare l’industria culturale e creativa della regione anche in connessione con il settore manifatturiero, basandosi sulla riorganizzazione del sistema ed il potenziamento degli attrattori culturali del territorio e la sua accessibilità dal punto di vista infrastrutturale.
Mai come in questa occasione il patrimonio culturale materiale e immateriale, anche inteso in senso antropologico, come rete di relazioni, abitudini, costumi, è stato percepito dai cittadini dei centri più colpiti dal sisma come valore assoluto. Mai come in questa occasione, l’avvio di nuove opportunità lavorative appare legata ai modelli di imprenditoria promossi e sostenuti con il distretto culturale evoluto. Il territorio diviene in questo contesto il fulcro principale della rigenerazione, il valore determinante per uno sviluppo che deve scommettere, grazie alle nuove tecnologie, su innovazione, sostenibilità, valorizzazione del patrimonio paesaggistico, biodiversità, manifattura di qualità e, naturalmente, filiera agropastorale.
Il patrimonio culturale è avvertito oggi dalle persone come l’assicurazione più solida per un ritorno alla vita della città appenninica: questa spinta così forte attorno ai beni culturali, segno tangibile della civiltà e della ricchezza, disinnesca perfino la apparente dicotomia tra politiche di conservazione, valorizzazione e promozione in un’ottica anche di attrazione turistica.
I cittadini sono orgogliosi del proprio patrimonio distintivo, lo custodiscono per vederlo al più presto tornare allo splendore originario; sono consapevoli del fatto che è fonte di interesse e attrazione per altri cittadini, italiani, europei, del mondo e che è capace di intercettare flussi e di creare nuova economia e sviluppo.
Se la visione contenuta nel progetto del distretto culturale evoluto saprà fare parte del rilancio e dello sviluppo dei territori del cratere, nell’ambito di un processo di ricostruzione capace di ripensare il futuro insieme alle comunità e con i futuri cittadini, allora l’esperienza promossa con coraggio dalla Regione Marche sarà andata anche molto oltre le migliori aspettative iniziali.