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Escono dal ventesimo Rapporto annuale di Federculture, presentato nei giorni scorsi, dati confortanti da un lato, preoccupanti dallaltro. La crescita totale del segmento culturale sotto il profilo del pubblico è notevole, non solo nelle visite ai musei e alle mostre (+44% sul 2022), ma anche ai siti archeologici e ai monumenti (+43%), ai concerti (quasi raddoppio), alla musica classica (50%), al teatro (+63%). Quanto all’occupazione culturale, nel 2023 è tornata ai livelli del 2019, con 825mila persone inserite in questo settore (+1,2% sul 2022). Sono certo dati importanti, ma i dati disaggregati mostrano che laumento è concentrato in poche aree e attrattori del Paese, mentre le regioni del Mezzogiorno vedono ancora più diminuire la partecipazione culturale dei loro residenti.

Va benissimo festeggiare questi incrementi, ma non sono certamente significativi rispetto a una crescita culturale che sostenga le transizioni e le grandi sfide della nostra epoca: la crisi ambientale, l’invecchiamento della popolazione, lo spopolamento crescente di intere aree del paese, il declino educativo, i divari nelle transizioni digitali e green. I flussi turistici in aumento verso quei pochi musei e monumenti, considerati i nostri grandi giacimenti appunto, non contribuiranno affatto a quella innovazione, a quella capacitazione di nuove competenze, all’emersione di talenti e creatività e alla costruzione di condizioni abilitanti per uno sviluppo sostenibile e diffuso, che solo una concezione di cultura accessibile, dinamica e anche contemporanea, partecipata, vivificata, multidisciplinare e diffusa potrebbe contribuire a generare.

Nel dibattito si fa strada sempre più un orientamento più attento alla complessità, agli ecosistemi territoriali, alle nuove comunità, alle rigenerazioni sociali e culturali anziché solo riqualificazioni degli abitati, un percorso che coniuga cultura e partecipazione delle comunità, rigenerazione culturale e sociale di singoli luoghi significativi, ma anche dei contesti sociali e ambientali su cui questi luoghi sono inseriti, sperimentazioni dei risultati di ricerche in tanti ambiti multidisciplinari energie, nuova agricoltura, housing sociale, welfare culturale, digital humanities….  Il tutto in un percorso di coinvolgimento e trasformazione che riguardi il patrimonio culturale, i territori, le comunità, le istituzioni locali e centrali, ma anche attori privati come le imprese culturali e in specie quelle delleconomia sociale, ed anche il mondo della ricerca che può trasferire conoscenze e prototipi in moltissimi ambiti innovativi. È necessario, oggi ancor più di ieri, includere e promuovere la ricerca, la sperimentazione, lo sviluppo di nuove competenze con un approccio multidisciplinare (cultura , paesaggio e ambiente, mobilità, nuove economie urbane e rurali, energia, welfare) e costruire infrastrutture di governance multiscala e partecipate, diverse dalle attuali, che alimentino lo scambio, la condivisione di rischi e responsabilità, lempowerment continuo tra i diversi soggetti, le amministrazioni pubbliche, le imprese,  le comunità locali e i nuovi potenziali abitanti, in una visione comune, complessa e integrata del rilancio. Colture resilienti e saperi tradizionali, energia, rigenerazione culturale e sociale dei patrimoni, servizi di prossimità, mobilità e turismo green sono tutti tasselli di un unico mosaico che, se ben incastrati, restituiscono unopera unica e funzionale, nellinteresse del bene comune.

Ed è da qui che la cooperazione - tra i principali attori delleconomia sociale - può dare il meglio di sé. Esistono migliaia di cooperative culturali, sociali e agricole che sono un bacino di competenze diffuse e un potenziale strumento di sviluppo integrato e inclusivo, di occupazione e di welfare. Esistono centinaia di cooperative di comunità che rappresentano una rete diffusa che, negli anni, ha garantito la partecipazione dal basso nella rigenerazione dei beni comuni e nella resilienza delle popolazioni locali. Non solo. Le cooperative hanno promosso per prime i PSPP, una governance partenariale speciale che ha permesso alle amministrazioni pubbliche di acquisire competenze innovative e creative per il riuso di luoghi abbandonati. E sono state in grado di costruire reti di scala territoriale più ampia, cooperando insieme, che includono destinazioni più estese e meno note: luoghi, itinerari, strade di produzioni locali, risorse culturali e naturali, e i diversi soggetti che le animano, e che insistono fuori dai grandi attrattori di cui ogni anno le principali istituzioni del settore si limitano a contare i visitatori, piuttosto che misurarne gli impatti.

Un impegno costante, che si basa su modelli di innovazione sociale e su una visione di lunga durata, ma che - purtroppo - si scontra con i limiti delle attuali politiche pubbliche, e con la storica diffidenza tra pubblico e privato. Un muro che si visualizza con vere montagne di carta, per una burocrazia asfittica, e che mette in difficoltà soprattutto gli innovatori e quelli che credono nella cooperazione.

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Cultura, in aumento pubblico e occupazione. Ma così si continuerà a vivacchiare - Giovanna Barni | Huffpost

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