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di Vittorio De Benedictis

Il digitale è il focus di queste giornate di Stazione Futuro, ma parto da un dato in controtendenza, da una eccezione che conferma la regola: i giornali di carta si vendono poco, le edicole stanno chiudendo, ma i libri e le librerie  no. I libri di carta intendo e gli e-book non sfondano....

Il libro si porta dietro tutta la filiera del libro, si porta dietro la libreria, che è un canale di distribuzione commerciale, che è in salute, aprono librerie, quelle storiche bene o male reggono. Però poi bisogna fare attenzione parlando soprattutto di tecnologie.

Che rischio si corre, secondo lei?

Quello di considerare la tecnologia come nuova tecnologia. In realtà la tecnologia è tutto. Se parliamo di arti visive anche il pennello, lo scalpello e la tela sono delle tecnologie. Quando si iniziò a dipingere in un certo modo, utilizzando determinati materiali piuttosto che altri, ci fu un salto tecnologico incredibile. Per cui poi a un certo punto i quadri duravano secoli e sono arrivati fino a noi quadri dipinti nel 1400 e 1500. Poi si è è iniziato a utilizzare una tecnologia nel pigmento, nella miscela, l'utilizzo di alcuni solventi, di alcuni grassi. E quella è tecnologia, tecnologia straordinaria che non è riuscita in quel caso a farsi soppiantare da una tecnologia più nuova.

Nel caso del libro?

Pensavamo di andare in giro con una tavoletta digitale, di portarci in vacanza tutta quanta la nostra libreria, di averla a disposizione, anche a costi più bassi, di avere a disposizione tutti i libri che volevamo, poterli comprare a basso costo, poter avere quelli che avevamo già comprato a disposizione in qualsiasi momento. Questa cosa a un certo punto è andata contro tutta una serie di resistenze. Una resistenza era quella della tattilità, un'altra era quella dell'olfatto. Chi è che non ha pensato mai all'odore che hanno i libri? Quanto è straordinario? Quella è una tecnologia. Anche quella, la tecnologia quattrocentesca inventata da Gutenberg. Che ha una caratteristica tale per cui non si scarica, si può piegare. Questo non vuol dire che le tavolette digitali siano una tecnologia scadente, vuol dire che però per alcuni utilizzi una tecnologia vecchia diventa una nuova tecnologia, perché è piacevole.

Il giornale di carta invece è destinato a diventare sempre più irrilevante anche se non scomparirà del tutto? Son convinto che serva comunque un intermediatore della notizia, un giornalista soprattutto in un'epoca in cui proprio per la proliferazione di notizie su siti e social digitali ci sia bisogno invece di qualcuno che prenda la notizia e la verifichi.

Sì, non solo per la verifica. Serve anche che ci metta del valore aggiunto sopra. Qui ci possiamo anche riagganciare al discorso dell'intelligenza artificiale. Nel senso che poi le notizie date in un certo modo le può dare chiunque, pure un robot. Ormai sono in grado di farlo, hanno una capacità di imparare, sono generativi, hanno un machine learning tale per cui basta dare in pasto un comunicato stampa a un'intelligenza artificiale e dire: scrivimi una notizia. Quella è in grado di farlo. Il punto è lavorare sul valore aggiunto che è tipicamente una cosa che una macchina non può fare.

Quindi in questo senso la macchina non può sostituirci...

La macchina, non ci sostituisce in questo. Per alcune tipologie di valore aggiunto non possono sostituirsi all'uomo. Se stasera un giornalista volesse raccontare quello che è successo qui, le caratteristiche di questo edificio, documentarsi, redarre un contenuto digitale su una media digitale, sul sito, aggiungerci magari una parte video che lui stesso ha filmato, inserire uno spezzone della nostra intervista,  metterci una gallery fotografica con immagini scattate da lui. Oggi può farlo qualsiasi giornalista. Aggiungere un capitolo sulla storia di questa stazione, oppure mettere due o tre virgolettati dei cittadini, su cosa pensano di questa iniziativa. Nessuna intelligenza artificiale può farlo. Questo articolo diventa così un articolo a valore aggiunto, cioè un articolo che può partire dai contenuti standard che tutti sappiamo, perché Job Centre ha fatto il comunicato stampa, ha cercato di comunicarlo, ha dato delle informazioni standard. Però l'articolo ha degli elementi in più che solo quella persona che ci ha lavorato, che ha approfondito. E quindi anche noi che facciamo tutti i giorni un lavoro di divulgazione di contenuti culturali, cerchiamo ultimamente sempre di più di lavorare in questa maniera. L'unico modo che ci salva quando domani, nel senso veramente domani, probabilmente fra pochissimi mesi, la capacità organica e generativa di questi di questi robot li metterà in grado di scrivere correttamente e di, non farsi riconoscere che sono delle macchine.

Ma anche chi ha portato avanti questa tecnologia mette in guardia dai rischi dell'intelligenza artificiale, se non governata...

Probabilmente succederà questo, il giornalista umano inizierà a ragionare nella sua produzione di contenuti proprio in funzione di questo. Cioè cosa posso dare io ai miei lettori che nessun'altra piattaforma artificiale può dare? Quindi inizieremo a ragionare così, i nuovi giornalisti, giovani, inizieranno a ragionare così e facilmente dribbleranno questo rischio. Sul fatto di essere sostituiti è una cosa che esiste già, nel senso che se noi smettiamo di chiamare tutto intelligenza pregresso cosa succede? Che inizieremo a chiamare tutto tecnologia. Pensiamo di dire tecnologia per dire nuove tecnologie, adesso utilizziamo il termine intelligenza artificiale per dire software. I software, l'intelligenza artificiale esistono da decenni, ci aiutano da decenni, ci dicono dov'è il traffico quando vogliamo andare da un punto all'altro, ci suggeriscono la strada corretta per evitarlo e per non rimanere imbottigliati prima magari si chiamava al telefono per avere quelle informazioni.

Alcuni lavori scompariranno, come sempre è stato nella storia...

Veniamo sostituiti, alcuni lavori scompaiono. La fabbrica che produce macchine da scrivere non c'è più, perché a un certo punto si è trasformata in un'altra parte del mondo in fabbrica che ha cominciato a produrre computer e poi neanche più neanche più quelli tra qualche anno, probabilmente: magari avremo solamente tecnologie indossabili. Però non è che veniamo sostituiti perché scompare un'esigenza. in qualche maniera si sposta a livello fluido, a livello globale.

Ma i contenuti, la scuola, le perplessità dei docenti...Ecco, adesso ci sarà qualcuno che farà il compito al posto degli studenti...

Beh, lì c'è un tema, nel senso che può essere facilmente usata la nuova tecnologia, specialmente con questa potenza che ha di prendere scorciatoie. Anche questa, però, è una cosa che esiste ormai da anni e anni. Ai miei tempi lo facevamo sfogliando l'enciclopedia e copiando la ricerca. Poi doveva essere molto bravo il maestro, il professore ad accorgersene. Adesso negli ultimi anni lo si può fare tranquillamente con Google e con Wikipedia, che è un'altra tecnologia straordinaria che ha messo a dura prova tanti docenti.

Un domani lo potrà fare direttamente l'intelligenza artificiale?

Probabilmente sì. Però è anche vero che ci potrà essere un'altra intelligenza artificiale, un pelo più potente di quella che facilmente passandogli, neanche ribattendo il contenuto, ma passandoglielo davanti con il sistema di scan, scopre immediatamente se quel contenuto è stato meno realizzato con l’intelligenza artificiale.

Altro tasto nevralgico, l'algoritmo.

Gli algoritmi sono altre intelligenze artificiali, cioè sono delle organizzazioni dei contenuti che in qualche maniera decidono quali sono i contenuti di articoli digitali che vengono distribuiti di più piuttosto che altri, sia sulle piattaforme digitali più classiche come può essere Google, che poi è quella monopolista, o sulle piattaforme social, Eh, i social cosa fanno? In base a un'analisi di quel contenuto decidono se mandato a 1000 persone, a un milione di persone, oppure a 10 persone. Una volta queste tecnologie erano molto deboli, si facevano fregare. E quindi una volta, 15 anni fa, se su Facebook scrivevi “ clicca qui per saperne di più” oppure se mettevi l'immagine di un gattino simpatico che si rotolava da qualche parte, quelle immagini il sistema le faceva girare tanto perché vedeva che tutto sommato interessavano, erano coinvolgenti e quindi le faceva girare. Sempre di più questo aspetto è venuto meno, nel senso che le piattaforme digitali hanno imparato grazie all'intelligenza artificiale e al machine learning, organico, generativo, a non farsi più fregare. Quindi ho notato negli ultimi anni che c'è una grande attenzione a contenuti ad esempio più lunghi, più articolati, con dentro anche una parte importante fotografica video e grafica, in cui c'è una cura delle interviste. Questi contenuti vengono premiati perché adesso gli algoritmi sono nelle condizioni di analizzare in maniera rapidissima in poche frazioni di secondo quello che si pubblica sulle piattaforme stesse e decidere che contenuti autorevoli decidere.

Capiscono la qualità?

Sì, capiscono innanzitutto che non è copiato. Perché noi lo sappiamo con i giornalisti come funziona alle volte no? Arriva un comunicato stampa. C'è Stazione Futuro a Prà e lo stesso comunicato stampa esce su tutti i giornali, quelli locali, quelli nazionali. Si fa il copia incolla con la stessa foto, con la stessa immagine, con lo stesso testo e si pubblica.

A me hanno insegnato a elaborarlo un comunicato stampa... sarò forse di vecchia scuola....

Questa dovrebbe essere la norma. Ma oggi questo modo di operare è penalizzato, cioè le tecnologie che le piattaforme hanno a disposizione una volta permettevano di far girare dei contenuti di spazzatura, adesso riescono a individuare i contenuti spazzatura, i contenuti copiati, i contenuti eccessivamente divulgati e lì schermano. Passano i contenuti di buona qualità, quelli autorevoli, sempre di più, Sto notando, che si riescono ad avere dei risultati eccellenti con contenuti di alto livello, che una volta magari erano scartati perché troppo lunghi, troppo articolati, non adatti al web. Una volta si diceva che sul web bisognava pubblicare contenuti molto brevi, concisi mentre lasciavi la parte lunga alla carta. Ora è esattamente il contrario.

Al giornalismo serve l'approfondimento con la redazione di long form, cioè inchieste per il web, oltre alla qualità e alla verifica delle notizie...Quindi c'è diciamo una speranza, che questi algoritmi riescano a individuare la qualità. Ma come facciamo a stabilire che l'algoritmo ha scelto la qualità?

Interviene sempre l'uomo. Poi dietro a queste piattaforme ci sono degli enormi uffici che decidono. Cioè c'è un'intelligenza umana ancora molto, molto presente, Migliaia di persone che calibrano questi algoritmi, li controllano. Insomma, almeno nel settore dell'editoria tutta questa paura di una sostituzione delle macchine sull'umano non la vedo, nel senso che chiaramente sono processi che vanno gestiti, però in questo momento io sto vedendo più i risvolti positivi, in direzione della qualità del lavoro. Di divulgazione dei contenuti in particolar modo, ciò che avvantaggia i contenuti culturali, di cui parliamo in queste serate. I siti web italiani e internazionali saranno in qualche maniera spinti ad occuparsi di più di cultura rispetto a quanto hanno fatto fino adesso, specialmente in Italia, perché quel tipo di contenuti hanno uno spessore tale che vengono poi premiati dalle intelligenze artificiali che hanno tutto l'interesse a far sì che le persone rimangano più tempo a leggere i contenuti, anche per motivi pubblicitari, per motivi commerciali

Questa casa delle tecnologie come può agire in questi ambiti?

Innanzitutto è un grande onore stare qui stasera. Sono molto a mio agio, devo dire, rispetto a quello che si sta facendo qui e devo fare grandi, grandi congratulazioni. Da qui il taglio interessante che è stato dato rispetto alle tecnologie, nuove tecnologie in questo in questo caso. Non si è caduti nella trappola di parlare di nuove tecnologie rispetto alla produzione artistica, perché quella è una cosa veramente molto complicata. Gli artisti stanno facendo molta fatica, gli artisti stanno un po facendo come noi quando andiamo a scegliere un libro di carta, un libro digitale, stanno ancora capendo. Hanno provato negli anni passati ad andare sulla parte digitale, ma stanno un po’ ritornando sulla parte più analogica. Quindi tutto il mondo della dell'arte digitale, nel senso della produzione degli artisti digitale, è un mondo che è in difficoltà.

Ma anche per i costi?

Per tanti motivi. Un motivo è anche dovuto al costo di queste tecnologie. Un altro motivo è anche la capacità che queste tecnologie hanno di dare un risultato quando vanno a finire banalmente nelle case dei collezionisti. Ci siamo accorti paradossalmente che è più smart conservare una scultura o un dipinto piuttosto che conservare un'opera di videoarte o un'opera di arte digitale, magari fatta ai primordi dell'arte digitale su supporti che non poi non sono più utilizzabili e sono difficili da convertire, quindi questo rischio si è dribblato. Quanto ai musei, sì alla fruizione digitale non alla produzione della cultura, E' evidente che c'è bisogno di dare maggiori tecnologie nella fruizione dei musei, nell'analisi del pubblico. Per fare in modo che quando le persone vanno a vedere un museo, noi abbiamo dei dati su come queste si comportano, su quanto tempo stanno in una sala piuttosto che in un'altra, sul comfort di quella visita. Occorre lavorare su strumenti che sono ormai desueti e superati, come la didascalia museale. Luoghi tipo questo potranno ospitare startup che si concentreranno su questi aspetti, che sono quelli rispetto ai quali siamo rimasti più indietro e abbiamo bisogno di andare avanti.

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