Anche il design sta prendendo coscienza che “la Terra è fragile”, come ha affermato Renzo Piano, e che i designer devono incoraggiare nuovi comportamenti, più attenti e consapevoli, e progettare un mondo più sostenibile. Lo dimostrano alcuni progetti di ricerca e nuove alleanze per sperimentare idee e materiali innovativi.
Il 2 agosto 2017 è stato l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui l’umanità ha consumato la quota annuale di risorse naturali rinnovabili del pianeta e ha raggiunto la sua massima capacità di assorbire CO₂. A partire da questo dato, anche il design sta prendendo coscienza che “la Terra è fragile”, come ha affermato Renzo Piano, e che i designer devono incoraggiare nuovi comportamenti, più attenti e consapevoli, e progettare un mondo più sostenibile.
Lo dimostra il concept della XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, che si svolgerà dal 1 marzo al 1 settembre 2019, con il titolo Broken Nature: Design Takes on Human Survival, a cura di Paola Antonelli, curatrice per l’architettura e il design al Museum of Modern Art di New York. Durante la presentazione a Milano, il 13 novembre 2017, la curatrice ne ha annunciato il programma e alcuni casi esemplari, soffermandosi su un punto centrale della sua curatela: “nel design contemporaneo, etica ed estetica possono convivere e prosperare. Broken Nature proporrà esempi di design a tutti i livelli il cui spessore morale non comporta una mortificazione estetica e sensuale”.
In questa direzione vanno alcuni progetti di ricerca in corso, come Vegan Design - The Art of Reduction, la personale di Erez Nevi Pana, a cura di Maria Cristina Didero, presentata durante il Salone del Mobile 2018. Da questo precetto alimentare, il designer iraniano ha cominciato a porsi delle domande anche sugli oggetti che utilizziamo quotidianamente: quanto sono vegani? È possibile fare design senza utilizzare alcun materiale di provenienza animale? Ne è nata una collezione di oggetti realizzati con materiali minerali, soprattutto il sale, e di recupero.
Sempre durante la Design Week milanese, sono stati riuniti, nella mostra Future past, i lavori di tre giovani designer: Andrea de Chirico, Matteo Di Ciommo e Parasite 2.0. Tre progetti per riflettere sul rapporto tra uomini, sapere e oggetti. Dalla controcultura americana anni '60 e '70 del Do It Yourself alle nuove tecniche di progettazione basate sulla forza dei network locali, Future past racconta la necessità di cambiare il modo in cui consumiamo e produciamo, sperimentando un nuovo rapporto con il pianeta e le risorse. L’idea di Superlocal, sviluppata da de Chirico nei suoi studi alla Design Academy di Eindhoven, è di realizzare oggetti utilizzando solo le realtà produttive presenti in un territorio circoscritto, e creando così nuovi network locali. Matteo Di Ciommo ha presentato Vivere per sopravvivere, 99 modi per tenere una candela – un modo creativo per dimostrare che dietro ogni oggetto improvvisato esiste sempre un progetto, anche se estemporaneo. Ugly-ism, la proposta di Parasite 2.0 per Future past, è una riflessione sulla negazione di standard e norme, di concetti estetici come simmetria o proporzione, e propone elementi basici assemblabili liberamente.
Significativo, sempre in questo ambito ma dal punto di vista dell’industria, che Kartell e Bio-on (azienda bolognese leader nel settore delle biotecnologie) si alleino per portare le bioplastiche a base PHA (poli-idrossi-alcanoati) nel mondo dell’elettronica organica. La bioplastica si sta rivelando un prodotto piattaforma che ha già dimostrato di poter essere utilizzato in vari settori industriali per creare prodotti ecosostenibili. Bio Chair, per esempio, una seduta progettata da Antonio Citterio e nata dalla ricerca su BIODURA™, materiale innovativo ricavato da materie prime rinnovabili non coinvolte nella produzione di generi alimentari. Kartell per prima ha sperimentato questo tipo di materiale nell’arredo, in particolare nell’iniezione e nello stampaggio.
Il design, insomma, si conferma un settore all’avanguardia anche per sensibilità verso la cultura sostenibile, confermando il suo impatto trainante sull’economia del Paese, come dimostrano alcuni dati del rapporto Design Economy 2018 di Fondazione Symbola, a cura di Domenico Sturabotti. In Italia lavorano oltre 29mila imprese di design – primato europeo – e generano un fatturato di 4,3 mld di euro, pari allo 0,3% del PIL. Oltre 48mila gli addetti: 1/6 del totale degli addetti europei. Dati in evidente crescita, soprattutto negli ultimi cinque anni, in piena crisi: +1,5% per occupazione e +3,6% per fatturato. L’Italia si colloca tra i primi tre Paesi per numero di brevetti di design in ben 22 delle 32 categorie aggregate previste nella classificazione ufficiale Locarno. Il nostro Paese, infatti, è primo e secondo per numero di brevetti in 12 categorie tra cui cibo e alimenti; strumenti musicali, tessile; articoli da viaggio, arredamento; articoli per la casa e apparecchi di illuminazione. I numeri certo non restituiscono la complessità del sistema design – fatto anche di numerose innovazioni non codificate e da professionisti che, lavorando all’interno di aziende attive in altri settori, diffondono le proprie competenze e permeando il tessuto economico del Paese in altri ambiti – ma sono un utile strumento per restituire consapevolezza e dimensioni di una filiera così rilevante per il Paese. Il design si conferma così una delle più solide strategie anticrisi.
Lo dimostrano i 6 giovani italiani vincitori dei “Rising Talent Awards” di Maison&Object a Parigi a gennaio 2018, scelti da 6 autorevoli mentori. L’Italia – dicono da Parigi – sta vivendo un momento di effervescenza sul fronte della giovane progettazione: un’identità forte e dinamica, capace di dialogare con l’artigianato locale, ma nello stesso tempo di garantire nuove energie e idee alle aziende piccole, medie e perfino storiche. Una piccola rivoluzione che sta restituendo al made in Italy il suo ruolo di riferimento sul panorama internazionale. Giulio Cappellini ha scelto Antonio Facco (il più giovane, classe 1991), che osserva i comportamenti della sua generazione e da lì trae ispirazione per progetti multidisciplinari, liberi, di ricerca, come la Mondo Lamp per l’azienda svedese Oblure; Piero Lissoni ha selezionato Kensaku Oshiro (1977), giapponese con studio a Milano, il designer collabora con aziende francesi e italiane, cercando un punto d’incontro tra le due culture, “quella semplice/complicata giapponese e quella complicata/semplice occidentale”; Rossana Orlandi ha selezionato Guglielmo Poletti (1987), che realizza oggetti in edizioni limitate, come la serie Equilibrium. Federica Biasi (classe 1989), art director del brand veneto Mingardo e consulente della marchigiana Fratelli Guzzini, non si aspettava di essere “nominata” da Andrea Branzi, le piace la manifattura e la cura del brand, ha imparato tutto dall’autoproduzione; Marco Lavit Nicora, con studio a Parigi, a 32 anni ha già progettato una suite su un albero e le capanne galleggianti a Châteauneuf-du-Pape, ed è stato segnalato come talento emergente da Rosita Missoni; Federico Peri (1983), infine, da Luca Nichetto, che l’ha scelto per la capacità di creare, con i suoi prodotti, un’esperienza. Disegna oggetti polifunzionali e scaffalature industriali, che reinventa con un segno contemporaneo.
Tra i giovani progettisti più interessanti, si segnalano anche Derek Castiglioni, landscape designer, che progetta giardini pensili e allestimenti, e il collettivo Altatto (Giulia Scialanga/Sara Nicolosi/Cinzia De Lauri) che realizza percorsi gastronomici taylor made, anche a domicilio, vegani e vegetariani, come Limitless Co-Existence – l’evento multisensoriale ispirato al design creativo, realizzato per Lexus (marchio di lusso Toyota) durante la settimana del design milanese.
Per concludere, sostenibilità e coesistenza, design, arte e architettura si confrontano quest’anno a Palermo per Manifesta 12, la biennale nomade europea di arte contemporanea, che si sviluppa intorno al tema Il giardino planetario. Coltivare la coesistenza. L’Orto Botanico di Palermo diventa metafora e principale ispirazione di questa edizione di Manifesta, che sceglie di sviluppare l’idea di “giardino”, esplorandone la capacità di aggregare le differenze e generare vita da tutti i movimenti e flussi migratori. “Palermo è una città globale, paradigma delle complessità del contemporaneo, dove convergono questioni trans-territoriali cruciali: dal cambiamento climatico ai processi migratori, dall’impatto del turismo ai traffici illegali”, affermano i Creative Mediator di Manifesta 12, Bregtje van der Haak, Andrés Jaque, Ippolito Pestellini Laparelli e Mirjam Varadinis.