Negli ultimi dieci anni, le imprese che operano entro i confini dell’Unione europea hanno mostrato segnali di evidente miglioramento in termini di sostenibilità. Le motivazioni di tale spinta sono molteplici e in continua trasformazione. In un primo momento, infatti, normative ambientali sempre più stringenti hanno indotto le aziende a ripensare il loro modo di operare, al fine di non incorrere in sanzioni o per evitare di essere esclusi dalla possibilità di operare in un mercato importante come quello comunitario. Negli ultimi anni, invece, sembrerebbe prevalere un orientamento maggiormente proattivo delle stesse aziende, teso ad aumentare il proprio livello di sostenibilità per acquisire vantaggi competitivi.
Analizzando il percorso di questi processi tramite l'indicatore sintetico di eco-efficienza, che misura l'impatto ambientale dei sistemi produttivi dei 27 Paesi UE, l’Italia - tra i Paesi dotati di un sistema industriale strutturato - appare tra i più green, con un vantaggio stimabile in oltre 30 punti percentuali rispetto alla media comunitaria. Nonostante il vantaggio strutturale che caratterizza la nostra Penisola, si registra una dinamica sulla frontiera della sostenibilità tutt’altro che favorevole, tramite l'indicatore di eco-tendenza che misura la velocità con cui ciascun Paese migliora complessivamente. L’Italia procede positivamente in termini di riduzione dell’impatto ma ad un ritmo inferiore a quello dei 27 Paesi dell’Unione europea. [1]