«Rimettere l’uomo al centro». «Coesione». «Solidarietà». «Economia che guardi al benessere dell’uomo e dell’ambiente». «Relazioni». «Comunità». Ascoltando il discorso del premier Conte ieri ad Assisi e ripensando a quelli fatti da leader politici italiani e internazionali dopo la pandemia, è impossibile non notare il cambio di linguaggio. I termini oggi più ripetuti rimandano molto a quelli che Antonio Genovesi aveva scelto nel Settecento per sostenere un modello economico completamente diverso, diventando così il padre dell’Economia Civile: un’idea di business che affondi le sue radici nell’etica e di un mercato ispirato ai principi di fratellanza e di sviluppo condiviso. Mentre nostri esperti economisti e intellettuali,da Stefano Zamagni e Luigino Bruni a Enrico Giovannini ed Ermete Realacci per citarne alcuni, hanno continuato a lavorare e sviluppare il pensiero in questa direzione, il mondo dell’economia e della politica hanno per lo più proseguito su strade «tradizionali» noncuranti dei segnali d’allarme continuamente lanciati in tema di diseguaglianze e danni all’ambiente e alle persone. Ma l’emergenza Covid ha mutato quadro, prospettive e, appunto, linguaggio. I sostenitori della necessità di un cambio di paradigma hanno prodotto documenti che hanno raccolto ampi consensi: pensiamo al Manifesto di Assisi «per un’economia a misura d’uomo» già sottoscritto da 2 mila personalità e alla Carta di Firenze che a fine settembre è stata consegnata al Presidente Mattarella dove in otto punti si articola un modello economico diverso «capace di coniugare profitto ed impatto sociale, dignità e qualità del lavoro, sostenibilità ambientale». Anche l’Europa di Next Generation sta chiedendo progetti e visioni più attente all’uomo e al pianeta. Quello che resta da capire è se documenti, discorsi, dichiarazioni d’intenti resteranno relegate nell’oasi di una splendida Utopia. O se, come auspicabile, troveranno applicazione pratica. Perché le parole contano: ma non bastano.
Elisabetta Soglio | Corriere.it