Italia contro resto del mondo. La partita finale per tenersi (o strappare) le centrali idroelettriche, che sono il vero tesoro energetico del Paese, entra nel vivo e questa settimana si capiranno quali sono gli schieramenti. In campo ci sono la big Enel, e gli altri maggiori concessionari come A2a, Alperia, Edison, Dolomiti Energia e Cva, che detengono complessivamente oltre il 70% delle dighe. Dall'altra parte, gruppi e fondi stranieri interessati a mettere le mani sulla nostra acqua, l'unica tra le fonti rinnovabili a essere «programmabile». E qui nelle due gare bandite dalla Regione Lombardia sono già scesi in campo gruppi del calibro di Eph (in consorzio Slovenské elektrkn in cui Enel è socio di minoranza) che fa capo al miliardario ceco Daniel Kretinksy ed è presente in Italia con il gruppo Ep Produzione, che gestisce centrali a gas. Ma anche la svizzera Bkw e il fondo australiano Macquarie. Alla gara stanno partecipando anche società italiane come tra gli altri le multi-utility Acea e Ascopiave. Per ora si tratta di due piccole concessioni già scadute, le centrali di Codera Ratti-Dongo e Resio, che valgono 23 megawatt, poca roba. Ma in futuro potrebbero calare da Oltralpe anche i tedeschi o i norvegesi e fondi internazionali in partnership con piccoli operatori industriali. Perché la posta in gioco è molto alta. La stragrande maggioranza delle concessioni scadrà nel 2029. E qui si tratta di quasi 23 gigawatt, vale a dire 23 mila megawatt. Per chi se ne intende, è tanta roba. Ed è tutta gestita in regime concessorio, assegnata dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano. L'idroelettrico è un asset strategico: con 4.80o impianti, rappresenta la principale fonte di energia rinnovabile in Italia: a seconda della piovosità, contribuisce tra i130 e il 40% (l'anno scorso anche di più) della produzione elettrica rinnovabile. Il rischio, sostengono gli operatori italiani, non è tanto (o soltanto) che una parte significativa della produzione di energia pulita che sarà sempre più importante per raggiungere gli obiettivi della transizione e della decarbonizzazione passi sotto il controllo di aziende estere, quanto che queste siano più interessate a fare profitti piuttosto che investimenti. E di investimenti c'è bisogno, per ammodernare e rendere più efficienti gli impianti: servono 15 miliardi complessivi per ammodernare e rendere più efficiente un parco impianti che ha oltre 4o anni, ma in alcuni casi arriva anche al secolo di età. Lo hanno scritto nero su bianco le associazioni che riuniscono gli stakeholder del settore, insieme ai sindacati Cgil, Cisl, Uil e ad associazioni come Fondazione Symbola e Kyoto Club, nel Manifesto «Uniti per l'idroelettrico italiano», pubblicato i123 dicembre 2024. Si tratta di una questione di sicurezza energetica nazionale e la gestione deve restare nazionale. Ma qual è il problema? Che le concessioni andranno tutte e gara, con bandi internazionali. E l'Italia, dove già le concessioni hanno una durata tra le più basse d'Europa (30-50 anni), sarà l'unico Paese europeo dove questa grande partita per l'idro si giocherà con un campionato aperto al resto del mondo. La messa a gara era uno degli obiettivi della terza rata del Pnrr, che è stata già erogata. La partita non è soltanto economica ma anche politica, tra Roma e Bruxelles. Quindi, cambiare le regole del gioco non è così facile. Esclusa la richiesta di una «proroga» o di un «rinnovo», ora il mantra è la «riassegnazione» senza gara pubblica, ma a fronte di piani di investimento sul territorio. E in Parlamento proprio questa settimana arrivano i primi tentativi per tenere l'idro in mani italiane. Il primo è un emendamento al decreto Milleproroghe che si dovrebbe votare questa settimana e che congelerebbe le gare fino a dicembre. Altri tre emendamenti al decreto Emergenze, anche questo in calendario dei lavori parlamentari questa settimana, prevedono la riassegnazione basata su regole e criteri rigidi e a fronte di piani economico-finanziari presentati dai concessionari uscenti. Un emendamento presentato da Azione (non un partito della maggioranza) prevede di assegnare parte dell'energia idroelettrica a un prezzo calmierato per le aziende energivore. Ma - osservano i sostenitori delle gare - l'obbligo di fare investimenti può essere inserito nei bandi. E poi di stranieri nelle centrali idroelettriche in Italia ce ne sono già stati. L'esempio sono gli impianti di Temi, gestiti in passato prima dalla spagnola Endesa e poi dalla tedesca Eon, che hanno investito oltre 35o milioni nella ristrutturazione. Ma proprio a ridosso dell'inizio della partita in Parlamento, è intervenuto il ministro degli Affari europei Tommaso Foti che ha detto apertamente che con Bruxelles dobbiamo trattare e trovare un punto «di accordo». «Invece di stare in ambito nounativo che sarebbe fatalmente oggetto di situazione di grande difficoltà per gli obiettivi del Pnrr, bisogna cercare di fare un discorso molto più diplomatico con la Commissione Ue per vedere quali possibilità ci possano essere in una situazione che ha un'anomalia in Europa, perché molti Paesi hanno prorogato la concessione e noi le abbiamo a gara». Osservati speciali Da sinistra, in senso orario: Flavio Cattaneo, amministratore delegato di Enel; Renato Mazzoncini, numero uno di A2a; Nicola Monti, al vertice di Edison; Daniel Kretinsky, ceo e proprietario di Eph, il più grande gruppo energetico dell'Europa Centrale La mappa L'Italia ha circa 23 gigawatt di capacità installata per la produzione di energia idroelettrica, che nel 2024 (anno molto piovoso) ha garantito oltre il 40% di rinnovabili. Gli impianti sono gestiti in concessione, assegnata dalle Regioni. Oggi, sette operatori nazionali operatori detengono oltre il 70% delle centrali idro. Alcune concessioni sono scadute, altre scadranno nel 2029 Esclusa la richiesta di una «proroga» o di un «rinnovo», ora il mantra è la «riassegnazione» Servono investimenti per ammodernare e rendere più efficienti gli impianti: 15 miliardi complessivi.