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Tutto partì da una famosa frase, attribuita all'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che in seguito negò di averla detta: «Con la cultura non si mangia». Da allora, oltre 10 anni fa, il confronto tra mondo dell'economia e della politica sul valore da attribuire al comparto cultura-arte-bellezza, volendo usare tre parole simbolo, è sempre stato acceso, se non altro perché è riconosciuto nel mondo che il valore dell'Italia in campo culturale e creativo è unico. Ma basta questo, insieme all'altro ramo dedicato che è il turismo, a poter guidare le sorti economiche di una nazione che rimane una delle grande potenze mondiali, con un prodotto interno loro, cioè la ricchezza prodotta ogni anno, pari a oltre 2200 miliardi di dollari? Evidentemente no, visto che la nostra forza, nonostante i dubbi, è il manifatturiero. Eppure il comparto ha numeri importanti, in continua crescita, come segnala ormai da 14 anni uno dei report più completi redatti nel nostro paese, presentato alcuni giorni fa da fondazione Symbola, Unioncamere, Centro studi Tagliacarne e dalla società di consulenza Deloitte. I numeri e i luoghi Il dato de12023 segna valori positivi: crescono valore aggiunto e occupazione nel sistema produttivo culturale e creativo, rispettivamente 104,3 miliardi di euro (+5,5% rispetto al 2022) e 1,5 milioni di addetti (+3,2% rispetto al 2022). Cultura e creatività, in maniera diretta o indiretta, secondo lo studio generano complessivamente un valore aggiunto per circa 296,9 miliardi di euro. Una filiera complessa e composita in cui si trovano ad operare quasi 284 mila imprese (in crescita del +3,1% rispetto al 2022) e più di 33 mila organizzazioni non-profit che si occupano di cultura e creatività (i19,3% del totale delle organizzazioni attive nel settore non-profit) . Il sistema culturale e ricreativo, tra imprese, pubblica amministrazione e no-profit, supera il 5 per cento sul totale dell'economia, sia per valore aggiunto che per addetti, e da ogni euro prodotto da culturale e creatività se ne ricavano quasi due. Lombardia e Lazio le regioni che producono più ricchezza con la cultura, mentre Sardegna e Calabria le regioni con la crescita più forte rispetto al 2022. Milano la città prima per valore aggiunto e occupazione Torino, Trieste, Arezzo, Firenze e Bologna nella top ten delle province. I settori Lo studio definisce e quantifica le due anime del sistema culturale e ricreativo: quella core (architettura, comunicazione, audiovisivi, video giochi, editoria, arti visive e patrimonio storico) e quella che usa competenze culturali e creative per accrescere i prodotti (moda, arredamento, agroalimentare, ad esempio). La parte core, produce il 55 per cento del valore aggiunto ma con il 57 per cento degli occupati, la parte creativa, vede questi dati più contenuti, con il 44 per cento di valore aggiunto sul totale ma solo il 42 per cento per occupati. Core Cultura Ne12023 ha prodotto un valore aggiunto pari a 56 miliardi con 886mila occupati in 283mila imprese. Tutti i settori sono in crescita rispetto al 2022: videogiochi (+10, con 16,7 miliardi), editoria (+2,7), architettura (+6,6), audiovisivo (+1,7, con 6,4 miliardi), comunicazione (+5,1 con 5,8 miliardi), arti visive (+5,1), patrimonio storico (+4,2). Da sottolineare come in quest'ultimo campo l'occupazione, che vale il 3,7% sull'intero sistema culturale, continua a crescere (+6,9%) e a recuperare, seppur non completamente, le perdite di posti di lavoro registrate dopo il 2019. I creativi Occupano un settore trasversale rispetto a quello tradizionale: 46 miliardi di valore aggiunto oltre 660mila dipendenti ipotizzati. Chiaramente qui sono poche le aree dove si produce la ricchezza: solo la Lombardia copre un quarto del totale, seguita da Lazio, Veneto, Emilia e Piemonte queste regioni da sole fanno due terzi del dato nazionale. Addetti giovani, la metà ha meno di 50 anni, con una presenza femminile contenuta, solo al 36,2%, come se le donne incontrino maggiori difficoltà ad accedere a ruoli che richiedono l'applicazione delle competenze creative in altri settori economici. Maggiore rispetto all'altro settore la presenza di stranieri, anche se il dato relativo è sotto il 6 percento. In entrambi i settori l'istruzione, formale o no, non è l'unico fattore determinante. La creatività, la capacità di innovazione e le esperienze lavorative pratiche giocano un ruolo cruciale. I dati dimostrano che poco meno della metà degli addetti al polo culturale creativo ha la laurea: un dato che comunque è il doppio se si prende ad esempio l'intera economia nazionale. Il settore presenta una forte presenza di liberi professionisti, che costituiscono il 17,1% dei lavoratori, nettamente superiore alla media nazionale pari al 5,8%.

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Imprese culturali e creative un settore che vale 300 miliardi - Giuseppe Centore | La Nuova Sardegna

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