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di Domenico Sturabotti e Alessandro Magini

Il marchio Melinda, così come i vostri prodotti, sono ben noti ai consumatori italiani, con oltre 400.000 tonnellate di mele che ogni anno finiscono sui banchi dei supermercati. Meno noto è invece il mondo che si cela dietro al consorzio di produzione. Come siete organizzati?

Fondato nel 1989 a Cles, in provincia di Trento, il Consorzio è costituito dall’unione di 16 cooperative, per un totale di circa 4.000 agricoltori che coltivano 6.700 di frutteti in Trentino, nello specifico nella Val di Non e nella Val di Sole. Tra le varietà coltivate più note possiamo citare le Mele Val di Non D.O.P. come la Golden Delicious, la Red Delicious e la Renetta Canada, le Mele I.G.P. del Trentino come la Gala, la Fuji, o la Granny Smith, oltre a varietà come la Morgana, la Dolce Vita, la Kissabel e la SweeTango. Come consorzio siamo fortemente radicati sul territorio, tanto che il 70% dell’indotto economico ricade nel nostro territorio d’origine, dove diamo lavoro direttamente a oltre 1.300 persone e indirettamente a circa 14.000. Con un fatturato che supera i 300 milioni, una percentuale di export che supera il 30% e un marchio che in Italia raggiunge il 98% di riconoscibilità da parte dei consumatori, possiamo dire di essere uno dei più solidi esempi di cooperazione nel nostro Paese.

Praticate agricoltura in contesti di assoluto pregio paesaggistico e naturalistico, come le Valli di Non e Sole. Come si riesce a conciliare una produzione annua di 400.000 tonnellate con la qualità delle vostre mele, il rispetto dell’ambiente e del paesaggio?

La coltivazione delle mele, qui in Trentino, ha un’antica tradizione, tanto che i meleti stessi fanno parte del paesaggio, integrandosi perfettamente nel contesto naturalistico delle nostre valli. Ogni passaggio della produzione, però, avviene per limitare al minimo l’impatto ambientale e antropico. Nel 97% dei nostri meleti usiamo la tecnica dell’irrigazione a goccia: si tratta di una rete di linee gocciolanti che rilasciano l’acqua in prossimità delle radici. Rispetto ai tradizionali impianti di irrigazione sovra-chioma, questo sistema riduce i consumi energetici, minimizza i fenomeni erosivi del suolo e consente di abbattere i consumi idrici del 30%. Per i trattamenti fitosanitari abbiamo introdotto recentemente il sistema S.O.PH.I.A., ovvero Spray Overcanopy PHytosanitary Innovative Application, dell’azienda Netafim. Si tratta di una tecnologia che viene istallata nei frutteti e consente, in soli 15 minuti per ettaro, di applicare i prodotti antiparassitari esclusivamente sugli organi delle piante in modo mirato, limitando la dispersione dei prodotti nell’ambiente e riducendo l’impatto ambientale. Con Xfarm Technologies, azienda leader nella digitalizzazione del settore agroalimentare, e dss+, società che fornisce consulenza sulla sostenibilità, abbiamo avviato un progetto per l’agricoltura rigenerativa. Grazie a una piattaforma, sarà possibile raccogliere e valutare un gran numero di dati per accrescere l’efficienza e ridurre gli sprechi. Implementeremo anche tecniche di agricoltura rigenerativa che oltre a mantenere la sostanza organica e la biodiversità, favoriscono la capacità di sequestro di carbonio da parte del suolo, mitigando le emissioni.

Per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico dei processi di lavorazione come siete organizzati?

Il 100% dell’energia utilizzata per i processi di produzione, lavorazione e stoccaggio viene da fonti rinnovabili. Nello specifico, acquistiamo esclusivamente energia prodotta dalle centrali idroelettriche del territorio. Tra il 2008 e il 2011 abbiamo installato pannelli fotovoltaici che coprono il 10% del nostro fabbisogno energetico, producendo 4,82 milioni di Kwh all’anno. Attualmente stiamo lavorando a un progetto per produrre ulteriori 4,84 milioni di Kwh, raddoppiando l’ammontare totale. Si tratta di ridurre i costi e al tempo stesso le emissioni, migliorando la qualità dell’ambiente.

E a proposito di riduzione dell’impatto ambientale e delle emissioni di CO2, anche il sistema di stoccaggio delle mele è pensato per essere sostenibile. Come funzionano le celle ipogee di Melinda?

Quello della conservazione nelle celle ipogee è uno dei fiori all’occhiello di Melinda. È una tecnica di conservazione che abbiamo inventato analizzando le caratteristiche del territorio. Qui sulle Dolomiti viene praticata l’estrazione di Dolomia nel cuore delle montagne. Anziché costruire nuovi magazzini, che avrebbero alterato il paesaggio e richiesto una considerevole quantità di energia per la refrigerazione, abbiamo scelto di sfruttare le caratteristiche del territorio per conservare i nostri frutti, realizzando il primo e unico impianto al mondo per la frigo-conservazione di frutta in ambiente ipogeo. L’impianto si trova a 900 metri dall’ingresso delle cave di Rio Maggiore, a circa 300 metri sotto il livello del suolo, ed è costituito da 34 celle, ognuna delle quali riesce a contenere quasi 1000 tonnellate di mele. Abbiamo calcolato che rispetto alla conservazione in superficie, questo sistema ci consente di risparmiare 1,9 GW/h all’anno, pari al consumo annuale di energia elettrica di 2.000 persone. Rispetto alla conservazione in superficie, poi, il sistema ipogeo non prevede l’utilizzo di pannelli coibentati in poliuretano espanso, particolarmente difficili da smaltire. Oltre al risparmio energetico e alla riduzione di emissioni di CO2, questa tecnica di conservazione consente di conservare i frutti più a lungo, poiché temperatura è fissa a 1°C e la presenza di ossigeno e costantemente all’1%. Ad oggi conserviamo nelle celle ipogee circa 30.000 tonnellate di mele ogni anno, ma è prevista un’espansione che ci consentirà di conservare altre 10.000 tonnellate, aumentando del 30% la capacità di stoccaggio.

Se le celle ipogee per la conservazione delle mele rappresentano un unicum a livello mondiale, a breve sarà operativo un nuovo modo di trasportare la frutta, anch’esso unico al mondo. Come funzionerà la funivia delle mele?

Fino ad oggi abbiamo trasportato le mele dagli impianti di lavorazione alle celle ipogee su gomma, ma le cose stanno per cambiare. Recentemente abbiamo vinto un bando per la logistica del settore agroalimentare, classificandoci al secondo posto su oltre cento progetti, grazie alla proposta di una funivia che consentirà un notevole risparmio per quanto riguarda le emissioni di CO2. Accederemo quindi a un contributo di 4 milioni di euro, che coprirà il 40% della spesa prevista di 10 milioni, per realizzare un impianto monofune lungo 1,3 km che attraverso un dislivello di 87 metri trasporterà ogni ora 460 contenitori impilabili dalla sala di lavorazione di Predaia alla miniera di Rio Maggiore dove si trovano le nostre celle ipogee. Abbiamo calcolato che la funivia delle mele permetterà di risparmiare ogni 6.000 viaggi di tir, per un totale 12.000 chilometri percorsi.

 

 

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