È impalpabile ma muove risorse e capitali. È legata ai territori ma è visionaria. È il passato ma ha lo sguardo puntato verso il futuro. È made in Italy per eccellenza ma di quanto si crea e nasce in Italia è il segmento produttivo con la vocazione internazionale più marcata. È il “Sistema Produttivo Culturale e Creativo” che nel 2017 ha generato il 6% della ricchezza prodotta in Italia, ovvero oltre 92 miliardi di euro. E soprattutto ha dato lavoro grazie all’impiego di 1,5 milioni di persone, numero che equivale al 6,1% del totale degli occupati. In crescita sia in termini di valore aggiunto (+2%) e di occupati (+1,6%). Un motore importante soprattutto perché oltre agli effetti diretti innesta un circuito virtuoso con importanti ricadute sugli altri settori. Cultura e creatività hanno un effetto moltiplicatore sul resto dell’economia: l’intera filiera produce 255,5 miliardi (16,6% del valore aggiunto nazionale), col turismo come primo beneficiario.
È possibile infatti stimare l’apporto della componente culturale alla spesa turistica: 30,9 miliardi, nel 2017, pari al 38,1% della spesa turistica complessiva, un valore in crescita di altri due decimi di punto rispetto a quanto stimato per il 2016 (37,9 per cento). A tracciare questa mappa, il Rapporto “Io sono Cultura” (ottava edizione) sintesi di un
progetto di ricerca tra Unioncamere e Fondazione Symbola, che analizza il ruolo delle filiere culturali e creative nell’economia italiana. Rapporto di cui si parlerà al Festival della Soft Economy in programma a Treia in provincia di Macerata dal 3 al 5 luglio, che sarà concluso il 6 e il 7 dal seminario estivo dal titolo “Coesione è competizione - Sfidare paure, solitudini e disuguaglianze per costruire il futuro”. Nel dettaglio, cosa analizza lo studio?