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La bellezza, la cultura e la creatività non come fattori accessori o “decorativi” dell’economia, ma come elementi strutturali e fondamentali per la competitività delle imprese in un’Italia che ha il più alto numero (61) di siti riconosciuti dall’Unesco.

E se questo principio è intuitivo per molti, da 15 anni il Rapporto «Io sono cultura» si occupa di quantificare questo valore e il suo impatto. Un valore che anche nel 2024, nonostante le tante sfide e difficoltà che attraversa la nostra economia, è cresciuto: tra imprese, istituzioni del terzo settore e pubblica amministrazione, questo vasto ecosistema ha raggiunto i 112,6 miliardi di euro di valore aggiunto, con una crescita del +2,1% rispetto all’anno precedente e del +19,2% rispetto al 2021. Se si considerano anche l’indotto e gli effetti indiretti, tale valore sale a 303 miliardi di euro, pari al 15,5% dell’economia nazionale.

«Numeri impressionanti», osserva Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola — che promuove e realizza il Rapporto assieme a Unioncamere, Deloitte e il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, in collaborazione con l’Istituto di Credito Sportivo e Culturale, Fondazione Fitzcarraldo e Fornasetti — anticipando alcuni dei dati contenuti nell’edizione 2025 del Rapporto, che sarà presentato a fine mese. «Questi numeri confermano che la forza della nostra economia deve molto, e in tutti i campi, alla cultura e alla bellezza e anche nel momento in cui si affacciano sfide fondamentali come la transizione ecologica o l’intelligenza artificiale, questa chiave attraverso cui l’Italia è presente nel mondo e nell’economia ci garantisce forza per il futuro», aggiunge Realacci.

Oltre un milione e mezzo di persone lavora in questo settore, tra specialisti, tecnici e creativi attivi anche in ambiti non prettamente culturali, si legge nel Rapporto che fotografa un sistema produttivo costituito da quasi 289mila imprese (+1,8%) e da 27.700 organizzazioni senza scopo di lucro attive nei settori culturale e creativo (il 7,6% del totale delle organizzazioni non-profit in Italia).

È interessante notare che cultura e creatività sono strettamente connesse all’innovazione, come dimostra il fatto che l’intelligenza artificiale permea sempre di più i settori “core” dell’industria culturale (dall’editoria alla comunicazione, dal design all’arte), ri-gerarchizzando priorità e processi produttivi, ma anche trasformando i canali distributivi e i modelli di fruizione.

Inoltre, il settore che genera il maggiore valore aggiunto all’interno dell’ecosistema cultura è quello dei software e dei videogame, che nel 2024 ha raggiunto i 17,7 miliardi (il 28% dell’intero comparto «core», +8%), con 205mila occupati, in aumento del 17,8% rispetto al 2021 e del +2,3% nell’ultimo anno.

Seguono editoria e stampa (11,3 miliardi di valore aggiunto, in calo dell’1,5% rispetto all’anno precedente, e oltre 196mila addetti) e architettura e design, che generano 9,7 miliardi di euro e danno lavoro a oltre 145mila persone, nonostante un calo del 6,3% nel valore aggiunto e del 5,5% nel numero di occupati.

Non solo: sempre più nel nostro Paese la cultura diventa elemento integrante del welfare, in grado di migliorare la qualità della vita, promuovere la cura e il benessere delle persone: lo conferma il «Piano Olivetti per la cultura» promosso dal ministero della Cultura, che assegna 44 milioni a biblioteche, librerie ed editoria, con particolare attenzione alle aree periferiche e svantaggiate, riconoscendo questi luoghi come presidi di prossimità fondamentali.

Non un lusso superfluo, dunque, ma un asset competitivo: «Come diceva John Kenneth Galbraith – conclude Realacci, ricordando le parole del noto economista – lo straordinario sviluppo del nostro Paese nel secondo dopoguerra non fu trainato dalla superiorità della scienza o dell’ingegneria italiane, né dalle capacità della classe politica o dei manager, ma dalla capacità dell’Italia di incorporare nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura e dalla quantità di bellezza presente nelle nostre città, pur carenti di infrastrutture».

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