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Il comparto delle Imprese Culturali e Creative (ICC) rappresenta un settore strategico per l’Italia, in grado di coniugare la produzione culturale con la dimensione economica e identitaria del Paese. Le ICC non sono solo importanti per i settori tipici, quali ad esempio il patrimonio culturale o le arti performative, ma incidono profondamente su tutto ciò che riguarda l’eccellenza italiana, dalla manifattura avanzata al packaging, fino all’aerospaziale e al sistema sanitario. La dimensione economica e sociale del comparto è fotografata in numerosi rapporti tra i quali: Federculture, Symbola, Minicifre della Cultura, Istat, SIAE, Banca d’Italia, OCSE, Europa Creativa. Recentemente il contributo offerto dalle Linee di indirizzo relative all’Azione 1.3.1 del Piano Nazionale Cultura 2021-2027, funzionali ad orientare gli avvisi di un fondo di 151,71 milioni di euro, offrono una serie di preziose indicazioni di ordine strategico ai policy maker che si occuperanno di attuare e innovare i dettami della legge in questione. Per lungo tempo le ICC hanno sofferto di una carenza di riconoscimento normativo, risultando spesso escluse dalle politiche industriali e culturali nazionali. Il percorso avviato nel 2023 con il disegno di legge sul Made in Italy e conclusosi, almeno sul piano regolamentare, nel 2025 con l’emanazione degli ultimi decreti attuativi, costituisce una tappa fondamentale nella ridefinizione del quadro giuridico di riferimento. L’obiettivo di questo contributo è ricostruire criticamente le diverse fasi di tale percorso legislativo, evidenziandone i punti di forza, le criticità emerse e le questioni ancora aperte. Verranno inoltre discusse le prospettive future in relazione alla piena attuazione della riforma e all’impatto che essa potrà avere sul sistema produttivo culturale italiano.

LE ORIGINI DELLA RIFORMA: IL DIBATTITO PARLAMENTARE DEL 2023

Il dibattito sulle ICC ha ricevuto un’accelerazione significativa nell’estate del 2023, con la presentazione del disegno di legge “Disposizioni organiche per la valorizzazione, promozione e tutela del Made in Italy”. Il provvedimento, approdato alla Camera nell’agosto dello stesso anno, ha introdotto un insieme di articoli dedicati al comparto culturale e creativo, con l’obiettivo di fornire finalmente una definizione normativa organica. Il provvedimento ha rappresentato un passaggio significativo perché ha introdotto una definizione ampia e moderna di impresa culturale e creativa, non più vincolata ai codici Ateco (almeno nelle intenzioni), spesso troppo rigidi e incapaci di rappresentare la complessità del settore e della realtà economica. In questa nuova visione sono rientrate tutte le attività di ideazione, produzione, conservazione, promozione e gestione di beni e prodotti culturali: dalle arti visive alla musica, dal design alla moda, dall’audiovisivo all’architettura. Sono state riconosciute come parte integrante del comparto anche realtà spesso considerate marginali o meramente commerciali, come le gallerie d’arte o le attività degli artisti organizzati in forma di impresa.

Il disegno di legge ha previsto inoltre la creazione di strumenti concreti per il sostegno e la crescita del settore, quali il Registro delle imprese culturali e creative e l’Albo nazionale; il fondo di tre milioni di euro annui; il Piano nazionale strategico triennale. Contemporaneamente al DDL del Governo erano presenti alle Camere tre proposte di legge, rispettivamente degli onorevoli Mario Occhiuto di FI e Francesco Verducci del PD al Senato e la proposta di Matteo Orfini, PD, alla Camera. I disegni di legge condividevano la necessità di un riconoscimento qualitativo delle imprese culturali e creative, basato su ciò che esse effettivamente producono e non su categorie astratte. Tuttavia, negli altri DDL emergevano alcune differenze tecniche significative. Le proposte parlamentari, ad esempio, introducevano controlli più stringenti sul mantenimento della qualifica di ICC, proponevano agevolazioni per l’utilizzo di immobili pubblici inutilizzati da parte delle imprese culturali, con un canone ridotto o in comodato gratuito, e l’istituzione di Zone franche della cultura con benefici fiscali per la creazione di piccole imprese. Interessante era l’innovazione avanzata dalla proposta Occhiuto di modifica dell’articolo 115 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, in cui si prevedeva di aggiungere alle tradizionali forme di gestione delle attività tipiche di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica (gestione diretta e indiretta) anche le forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati.

L’APPROVAZIONE RAPIDA E L’ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE NEL DICEMBRE 2023

Il disegno di legge ha seguito un iter sorprendentemente rapido: presentato nel mese di agosto 2023, è stato approvato dalla Camera il 7 dicembre dello stesso anno e dal Senato appena tredici giorni dopo, diventando quindi legge. Si concretizza la riforma con la Legge 27 dicembre 2023, n. 206, entrata in vigore dall’11 gennaio dell’anno successivo. L’approvazione è stata salutata come un passaggio storico, in quanto per la prima volta il legislatore italiano ha fornito una definizione unitaria di ICC e ha previsto strumenti specifici per il loro riconoscimento. Dei 59 articoli complessivi della legge quadro, sei (sette con il marchio dei luoghi della cultura) sono dedicati al comparto culturale e creativo, introducendo diverse innovazioni.

L’articolo 25 individua l’impresa culturale e creativa attribuendo la qualifica agli enti, indipendentemente dalla forma giuridica, e ai lavoratori autonomi che svolgono attività stabile e continuativa in Italia o nell’Unione Europea o nello spazio economico europeo, purché siano soggetti di imposta passivi in Italia. Le attività individuate sono l’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la promozione, la conservazione, la ricerca, la valorizzazione e la gestione di beni, attività e prodotti culturali. Tali attività, in forma singola o aggregata, devono essere svolte in via esclusiva o prevalente. Inoltre, si qualifica come impresa culturale e creativa chi svolge attività economiche di supporto, ausiliarie o funzionali all’ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, promozione, conservazione, ricerca, valorizzazione o gestione di beni, attività e prodotti culturali. Nella categoria rientrano a tutti gli effetti gli enti del Terzo settore e le imprese sociali.

La legge demanda a un successivo provvedimento le modalità e le condizioni di riconoscimento della qualifica e di revoca. Sono identificate le start-up innovative culturali e creative e inoltre viene istituito presso le CCIAA una sezione speciale in cui le imprese culturali devono iscriversi con l’obbligo per il sistema camerale di trasmettere l’elenco ogni anno al Ministero della Cultura. Le diciture “Impresa culturale e creativa” o “ICC” diventano un marchio di riconoscimento e di qualità. Viene confermata la doppia iscrizione in un secondo albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale tenuto presso il Ministero della Cultura (art. 26). Anche in questo caso si demandano a un successivo provvedimento le modalità di attuazione dell’albo.

Le principali novità sono contenute negli articoli 27 e 28, rispettivamente per quanto riguarda la definizione degli artisti creatori digitali, i quali sviluppano opere originali ad alto contenuto digitale. Per tali opere è istituito un apposito registro pubblico presso il Ministero della Cultura, ai fini di tutela degli autori (art. 27). Nell’articolo 28 vi è, invece, la previsione di adozione di linee guida per la conservazione e la fruizione anche della versione originale delle opere musicali, audiovisive e librarie custodite nelle discoteche, cineteche e biblioteche pubbliche, al fine di evitare che il riadattamento delle opere con nuovi linguaggi comunicativi e divulgativi sostituiscano l’originale e ne facciano perdere la memoria. È stato istituito un fondo di 3 milioni annui fino al 2033 (art. 29).

L’ultimo articolo dei sei specifici (art. 30), prevede la realizzazione del Piano nazionale strategico triennale per la promozione e lo sviluppo delle imprese culturali e creative, di concerto tra il Ministero della Cultura, il Ministero delle imprese e del Made in Italy e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentita la Conferenza tra Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. L’art. 22 riguarda la registrazione di marchi per i luoghi della cultura. Difatti i musei e non solo hanno la possibilità, secondo quanto previsto dall’articolo 19, comma 3 del Codice della proprietà industriale, di registrare come marchio il segno distintivo che li identifica. Questa facoltà non è soltanto uno strumento di riconoscibilità, ma anche un’opportunità concreta per rafforzare la conoscenza del patrimonio e accrescere la capacità di autofinanziamento degli stessi istituti. Infatti, il marchio può essere concesso in uso a terzi dietro pagamento di un corrispettivo. Le somme così raccolte confluiscono innanzitutto nel bilancio dello Stato e vengono successivamente riassegnate, tramite appositi decreti del Ministero dell’economia e delle finanze, ai capitoli di spesa del Ministero della cultura, affinché possano essere destinate alle finalità previste dalla norma. Si aprono, quindi, nuove possibilità commerciali e operazioni in stile Louvre Abu Dhabi e Victoria Albert Museum a Shenzhen per i grandi musei italiani come il Colosseo o le Gallerie degli Uffizi.

I PRIMI MESI DEL 2024: DECRETI ATTUATIVI E CONFRONTO CON GLI OPERATORI

La legge per il Made in Italy ha previsto che per gli articoli 25, 26, 27, 29 e 30 fosse necessaria l’adozione di decreti attuativi da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge e quindi entro l’11 aprile 2024. Data la disposizione stringente e la volontà del Governo di coinvolgere gli operatori del settore, l’inizio dell’anno scorso ha visto l’avvio del processo partecipativo per la scrittura dei provvedimenti. Il Ministero della Cultura ha convocato rappresentanti di categoria [1] in una serie di incontri (febbraio-aprile 2024), in cui sono emerse richieste convergenti, come: l’aumento del fondo a disposizione, l’estensione dell’Art Bonus, la riduzione dell’IVA sulle transazioni artistiche, maggiori tutele per la proprietà intellettuale nel settore videoludico e il sostegno al ricambio generazionale nella moda. Le associazioni hanno inoltre chiesto una distinzione tra imprese culturali e imprese creative, la valorizzazione delle filiere verticali (formazione-produzione-distribuzione) e orizzontali (contaminazioni tra settori), nonché l’inserimento di realtà come botteghe storiche, archivi e fiere.

Tuttavia, già ad aprile 2024 è emerso un forte ritardo: i decreti previsti per l’11 aprile non sono stati pubblicati, alimentando malumori e incertezze tra gli operatori. Il Ministero ha mantenuto un atteggiamento prudente, probabilmente influenzato anche dalle dinamiche elettorali, ma la percezione diffusa è stata di una riforma incompleta. Nel luglio 2024 le principali organizzazioni cooperative e del Terzo settore hanno inviato una lettera ufficiale al Ministero della Cultura lamentando i ritardi e il mancato coinvolgimento.

L’AVVIO DEI DECRETI ATTUATIVI: FINE 2024

Repertorio opere creatori digitali

A ottobre dell’anno scorso si avvia la macchina di emanazione dei decreti attuativi. Il primo provvedimento riguarda l’art. 27 della legge in questione che istituisce il registro pubblico generale delle opere protette (RPG) il “Repertorio delle opere dei creatori digitali”, individuato dall’acronimo RCD che accoglie le opere originali ad alto contenuto digitale protette ai sensi dell’articolo 1 della L.d.A. (Protezione del diritto d’autore) “ ” . Il deposito è accompagnato dall’istanza di registrazione e dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, da presentare, previo versamento dell’imposta di bollo, all’Ufficio incaricato della tenuta del RPG presso il Ministero della Cultura, accedendo alla piattaforma dedicata.

L’Ufficio inserisce nel RPG il contenuto della dichiarazione, indicando il giorno della sua presentazione il numero d’ordine assegnatole nel registro e l’appartenenza dell’opera al “repertorio delle opere dei creatori digitali”, certificando al richiedente l’avvenuta registrazione dell’opera. La registrazione fa fede, sino a prova contraria, della esistenza dell’opera e del fatto della sua pubblicazione. Gli autori e i produttori indicati nel registro sono reputati, sino a prova contraria, autori o produttori delle opere che sono loro attribuite.

Qualifica impresa culturale e creativa

Dopo un mese dal primo decreto, a seguito della registrazione da parte della Corte dei conti del decreto interministeriale attuativo della Legge sul Made in Italy, prende finalmente forma il quadro normativo dedicato alle imprese culturali e creative. Si tratta di un passaggio atteso, che offre per la prima volta una cornice chiara al riconoscimento di chi opera professionalmente nei settori della cultura e della creatività (art.25). Il decreto stabilisce che società, professionisti, enti del Terzo settore, fondazioni e start-up innovative possano ottenere la qualifica di ICC, a condizione che svolgano in modo prevalente o esclusivo attività legate all’ideazione, produzione, conservazione, promozione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali. L’iscrizione in una sezione speciale del Registro delle imprese, istituita presso le Camere di Commercio, consentirà non solo di fregiarsi ufficialmente della denominazione “Impresa culturale e creativa”, ma anche di entrare a pieno titolo in un sistema di riconoscimento e monitoraggio gestito annualmente in collaborazione con il Ministero della Cultura. Le categorie individuate dal decreto sono 14, e spaziano dall’architettura alle arti visive, dalla musica all’audiovisivo, dal design alla moda, includendo settori come editoria, fotografia, artigianato artistico, patrimonio culturale e perfino videogiochi e software [2]. Tale classificazione seppur ampia è comunque collegata ai codici Ateco, i quali definiscono e indirizzano le categorie previste. L’intenzione del legislatore è di rivedere periodicamente le categorie e le sottocategorie al fine di aggiornare la legge alle mutate condizioni economiche e sociali.

Albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale

Il decreto ministeriale n. 460 del 18 dicembre 2024, attuativo della legge sul Made in Italy, istituisce presso il Ministero della Cultura un nuovo Albo delle imprese culturali e creative di interesse nazionale (art. 26). Si tratta di un ulteriore tassello nel percorso di riconoscimento e valorizzazione delle ICC, che già possono ottenere la qualifica tramite la sezione speciale del Registro delle imprese presso le Camere di Commercio.

L’iscrizione all’Albo consente di fregiarsi della dicitura “di interesse nazionale” e comporta, per le imprese con archivi riconosciuti di particolare valore storico, anche la registrazione al Sistema archivistico nazionale. Possono accedervi le imprese che abbiano già ottenuto la qualifica di ICC e che operino da almeno cinque anni contribuendo in modo significativo all’identità culturale ed economica del Paese, o che sappiano valorizzare il territorio in cui sono radicate. L’Albo accoglie inoltre automaticamente i titolari o licenziatari esclusivi di marchi storici di interesse nazionale. La registrazione ha durata quinquennale, con pubblicazione e aggiornamento a cura della Direzione Generale Creatività Contemporanea. È importante sottolineare che l’Albo nazionale non sostituisce la sezione speciale del Registro delle imprese presso le CCIAA, ma si affianca ad essa, configurando così un doppio sistema di riconoscimento.

Secondo il Ministero e gli esperti, questo doppio binario non rappresenta un appesantimento burocratico, bensì uno strumento per dare maggiore forza e coerenza a un settore che incrocia cultura, innovazione e imprenditorialità. L’obiettivo è infatti quello di consentire politiche mirate di sostegno, attrarre investimenti e rafforzare un comparto strategico per l’economia e l’identità italiana.

Registro delle imprese culturali e creative

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto del 10 luglio 2025 firmato dal direttore generale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy si chiude il percorso legislativo che definisce in modo organico la normativa sulle imprese culturali e creative (comma 8 dell’art 25). Il provvedimento stabilisce in dettaglio le regole per l’iscrizione alla sezione speciale del Registro delle imprese, nonché le modalità di verifica, mantenimento e revoca della qualifica di ICC. Il decreto chiarisce come le imprese che intendono ottenere il riconoscimento debbano presentare domanda alle Camere di Commercio, dimostrando di svolgere in via prevalente attività culturali e creative, come individuato nell’allegato normativo. Una volta verificati i requisiti, l’impresa ottiene l’iscrizione nella sezione speciale e acquisisce il diritto di utilizzare la dicitura “Impresa culturale e creativa” o “ICC”. Il sistema prevede controlli periodici: il conservatore del registro ha il compito di accertare la correttezza delle informazioni fornite e la permanenza dei requisiti. In caso contrario, l’impresa può essere cancellata d’ufficio, perdendo così la qualifica e l’uso della denominazione. È comunque prevista la possibilità per l’impresa di presentare osservazioni e documentazione a propria difesa prima della decisione definitiva. Il decreto disciplina anche la possibilità di cancellazione volontaria da parte delle imprese che non intendano più mantenere l’iscrizione. Inoltre, per le attività legate all’artigianato artistico, resta l’obbligo di verifica specifica della natura artigiana; le fattispecie sono indicate nell’allegato al decreto. Successivamente il decreto direttoriale del 07 agosto 2025, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 195 del 23 agosto 2025, introduce modifiche tecniche finalizzate alla compilazione delle domande e delle denunce da presentare all’ufficio del Registro delle Imprese per via telematica o su supporto informatico. Dal 30 settembre 2025 è attiva la sezione speciale ICC presso le Camere di commercio, al fine di dare visibilità alla qualifica delle imprese del settore. L’iscrizione avviene esclusivamente in modalità telematica tramite Comunicazione Unica, utilizzando il modulo S5 per società ed enti collettivi iscritti al REA e il modulo I2 per imprese individuali. Ogni pratica deve essere firmata digitalmente dal legale rappresentante o titolare e ha valore di dichiarazione sostitutiva ai sensi del DPR 445/2000. Il riconoscimento delle ICC è legato ai codici ATECO ed è riclassificato dal MIMIT che identifica le categorie incluse. Ogni pratica è gestita da DIRE, il portale delle Camere di Commercio sviluppato per le istanze al Registro Imprese, il quale offre una compilazione guidata. L’allegato A al decreto contiene il dettaglio della procedura.

CONCLUSIONI E QUESTIONI APERTE

La riforma sulle imprese culturali e creative segna un punto di svolta per il riconoscimento e la valorizzazione di un settore che, per troppo tempo, era rimasto ai margini delle politiche pubbliche. Essa ha introdotto una definizione normativa unitaria, ha istituito strumenti di riconoscimento e registrazione e ha creato una cornice strategica di lungo periodo. Rimangono ancora alcune questioni aperte quali:

  • La coesistenza di registri diversi rischia di generare complessità procedurali;
  • Le norme attuative per il Fondo e il Piano Strategico;
  • L’uso controverso dei codici Ateco, specie in comparti industriali che solo marginalmente rientrano nella produzione culturale. Rispetto a questa criticità, si rimarca che nella normativa non sono esplicitamente citati; tuttavia, è importante sottolineare che l’elenco dei settori e sottosettori riportato nel decreto attuativo ricalca di fatto la classificazione ATECO, la quale, peraltro, non risulta aggiornata al 2025 in seguito alla più recente revisione internazionale dei codici NACE. Diversi codici ATECO risultano incongruenti rispetto alle ICC indicate nell’allegato; tra questi, spicca il controverso codice 14.24, relativo alla fabbricazione di abbigliamento in pelle e pelliccia;
  • Le politiche fiscali e di sostegno ancora limitate, che richiederebbero misure più robuste e mirate;
  • L’estensione del PSPP e di forme di governance innovative al patrimonio culturale, con delle previsioni espresse nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio per le ICC;
  • Il maggior sfruttamento del marchio delle istituzioni culturali e integrazione con le ICC. Allo stato attuale vi è un limite culturale e organizzativo delle istituzioni culturali all’attuazione di questa previsione;
  • Nella definizione e qualifica di ICC vi è il concetto di prevalenza di attività culturale. Il legislatore dovrebbe specificare meglio gli indicatori e le soglie di redditività più appropriate. La misurazione del semplice fatturato potrebbe non essere rilevante per le ICC di dimensioni micro.

Allo stato attuale si attendono i decreti attuativi degli articoli 29 e 30, rispettivamente del Fondo nazionale e del Piano Strategico; la sua piena efficacia, quindi, dipenderà dalla capacità delle istituzioni di rispondere alle criticità ancora aperte, garantendo risorse adeguate, semplificazione amministrativa e politiche fiscali più incisive. Solo in questo modo il comparto potrà davvero esprimere il suo potenziale, diventando un motore di sviluppo culturale ed economico per l’Italia contemporanea.

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Le imprese culturali e creative nel quadro della legge per il Made in Italy: evoluzione normativa, criticità e prospettive future | AgCult

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