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di Daniela Ostidich – Founder e CEO Marketing & Trade

Il dialogo è la sfida più grande nel mondo contemporaneo, che si tratti di integrazione tra culture e religioni diverse, di processi di pacificazione tra stati belligeranti, oppure di semplice gestione di relazioni nella quotidianità della semplificazione dei linguaggi social: l’intesa e l’individuazione di interessi comuni e collimanti in modo virtuoso sono chiavi vincenti.

La solitudine e l’isolamento – in tempi complessi – non premiano.

L'ultimo rilevamento della Meta-Gallup sullo “Stato globale di connessione sociale”[2] condotto in 140 Paesi, ha dato risultati in qualche modo preoccupanti: in media nel mondo il 24% delle persone interpellate ha affermato di sentirsi isolate socialmente. E le percentuali più negative non sembrano essere necessariamente correlate a difficoltà economiche e neppure a età crescente degli individui (anzi sono le fasce di età più giovani che si sentono più “sole” e nella ricca Silicon Valley il tasso di solitudine percepita è del 45%).

Da un altro punto di vista, l’ultimo World Happiness Report (marzo 2023)[3] non solo gerarchizza i Paesi (la nazione più felice è la Finlandia che secondo Meta-Gallup ha anche un tasso di isolamento sociale percepito tra i più bassi) ma permette anche di identificare le determinanti principali della classifica. Oltre all’aspettativa di vita in buona salute, il PIL pro capite, il sostegno sociale e un basso livello di corruzione, tra i parametri troviamo anche la generosità della comunità in cui le persone si prendono cura l’una dell’altra e la libertà di prendere decisioni chiave nella propria vita.

I dati mostrano come nei Paesi più “felici” le connessioni sociali positive e il supporto all’altro siano il doppio più diffusi rispetto alla condizione di solitudine. Connessioni non solo generiche ed emozionali ma anche assolutamente concrete e che coinvolgono soggetti diversi: cittadini, imprese, associazioni, istituzioni.

La diffidenza verso l’apertura a “mondi” esterni è un pericoloso indotto dei tempi contemporanei, regno dell’incertezza e della mutevolezza delle condizioni esogene. La fatica psicologica e culturale di confrontarsi con lo sconosciuto si scontra con la necessità – anche per le imprese e non solo per gli individui – di ridefinire i parametri della propria identità e del proprio significato di senso: solo la flessibilità di pensiero e di azione consentono di cavalcare le onde del cambiamento dinamico dei mercati, dei consumi, delle relazioni.

Già nelle edizioni passate di “Coesione è Competizione” avevamo individuato trend forti e concreti: lo sviluppo del crowdfunding che definisce un nuovo tipo di rapporti tra consumatori e aziende finanziate, la co-creazione che ridisegna le relazioni nelle catene B2B, il co-voting che confonde i ruoli tra marketing e creatività e mondo del consumo, la possibilità di trasformare i clienti in veri e propri testimonial dei valori e dei prodotti del brand.

Oggi ben poche aziende hanno il coraggio di affermare di tenere il timone su una strategia che non sia stata testata, condivisa, costruita con i propri clienti. E per molti aspetti tale affermazione può anche nascondere la paura di assumersi la responsabilità delle proprie scelte: talvolta la “condivisione” non è indice di costruzione di vero valore incrementale.

I consumatori-cittadini tuttavia sono sempre più attenti nelle loro scelte di acquisto e valutano con competenza il “valore” di ciò che acquistano e i brand meritevoli di essere premiati, e quindi anche la consistenza delle iniziative delle aziende.

Malgrado il sentiment di solitudine crescente – o forse proprio a causa di ciò – le persone riconoscono l’importanza del fare “squadra” per il bene comune, che si tratti della tutela dell’ambiente, della comunità, del patrimonio collettivo o della crescita economica e competitiva del territorio.

Non dimentichiamoci che in fin dei conti l’obiettivo di qualsiasi impresa di successo è quello di creare felicità (solo in condizioni di felicità i consumatori consumano) e la felicità – come visto sopra – è fortemente correlata con lo sviluppo di relazioni.

Occorre dunque individuare e sottolineare gli esempi di coesione (tra aziende, tra aziende e consumatori, tra aziende e comunità) che davvero e onestamente sono frutto di una volontà di costruire valore insieme, di mettere a sistema le diverse sensibilità e competenze per costruire un qualcosa di aggiuntivo che possa anche portare ad una rimodellazione del proprio ruolo nel mondo.

Ad esempio, nel mondo della moda, un caso interessante circa la creazione di valore reale tramite sviluppo di competenze e la loro valorizzazione all’interno di un mondo di relazioni fertili è “l’incubatore” di LVMH Métiers d’Art. Il progetto, da anni sotto l’egida del gruppo del lusso, mette insieme artigiani di eccellenza in cinque continenti e un designer-icona ogni anno diverso, che partecipa alla creazione di stimoli e traduce le competenze sollecitate in un ulteriore stimolo di crescita e valore. Obiettivo finale è consentire agli artigiani coinvolti di entrare a far parte in prospettiva del gruppo LVMH.

Nel dicembre 2023 è quello che è capitato alla Renato Menegatti, una eccellenza di nicchia della provincia di Vicenza, che applica lavorazioni proprie del mondo della gioielleria alla produzione di piccole parti metalliche per accessori, sviluppando in-house l'intero processo: dalla progettazione 3D alla prototipia, dalla produzione vera e propria ai processi di galvanizzazione, anodizzazione, satinatura e lucidatura.

Questa è la giusta risposta a quanto richiesto dai consumatori del brand del lusso: unire un alto livello di qualità e una costante innovazione nei prodotti da grande azienda, con la permanenza all’interno di un mondo di eccellenza artigianale.

Nel food la qualità dei prodotti – per i consumatori – passa attraverso la ricerca e il dialogo costruttivo con tutta la filiera produttiva.

Ad esempio Coop ha inserito nella sua marca privata una nuova linea di pasta di semola a marchio “3 Grani Pregiati Italiani” in collaborazione con eccellenze produttive del settore: per la materia prima il Molino De Vita (uno dei molini di eccellenza italiani che da anni ha al centro della sua missione il rispetto della terra e del DNA dell’agricoltura) e il Pastificio De Matteis (Campania) per la lavorazione. Alla base del progetto congiunto, studiato per oltre un anno con Molino De Vita, è lo sviluppo di una semola mix di tre grani “rustici” diversi, che per questo motivo ha ricadute positive sul mantenimento della biodiversità delle colture e la possibilità di utilizzo anche su ampia scala di varietà di piante che per le loro caratteristiche di “spontaneità” subiscono andamenti produttivi.

Per i consumatori un prodotto di qualità organolettica superiore, rispettoso dell’ambiente, da incoraggiare per la capacità di valorizzare territori e metodi di coltivazione tradizionali, attento alla sicurezza alimentare e con una “storia” da raccontare.

Un caso simile nell’industria alimentare è l’impegno di Ferrero rispetto alla crescita virtuosa della propria filiera produttiva.

Essere un brand famoso vuol dire affrontare i riflettori dei consumatori e la responsabilità di un impatto ambientale importante: si pensi ad esempio alla recente polemica sull’utilizzo dell’olio di palma nei prodotti aziendali e le ricadute su sostenibilità ambientale e condizioni dei lavoratori. Diventa inevitabile investire affinché le affermazioni a difesa non siano solo di marketing ma anche di “contenuto”.

Già da diversi anni Ferrero Hazelnut Company collabora in cinque continenti con partner quali associazioni agricole, produttori di nocciole, istituti e università di ricerca agricola, per supportare lo sviluppo della coltivazione delle nocciole in vari Paesi e permettere che l’impegno di un “approvvigionamento responsabile” nel garantire una catena del valore equa, sostenibile e trasparente sia una pratica reale. Per farlo, ha coinvolto i propri fornitori in un percorso di miglioramento continuo per implementare le migliori e più sostenibili modalità di coltivazione, incentivando lo sviluppo di pratiche agricole rigenerative su terreni troppo sfruttati o non produttivi, investendo nelle comunità locali e diffondendo know-how per la gestione dei parassiti, controllo biologico incluso.

Coop, Ferrero, ma non solo. Si potrebbe anche citare Lavazza che parallelamente al suo impegno trasversale su tutta la produzione, ha sviluppato una linea di prodotti (Tierra) basata su un rapporto particolarmente intenso con piccoli coltivatori per la loro crescita, benessere, e tutela dell’ambiente e delle qualità del prodotto.

Insomma, inevitabile che di fronte a grandi temi come quelli della tutela dell’ambiente e dei lavoratori siano necessari la collaborazione e l’impegno di tutta la filiera produttiva, e forse il messaggio per i consumatori sia più forte e rassicurante rispetto a trovate pubblicitarie di volatile respiro.

Nella stessa direzione si muovono le attività di cooperazione e co-marketing tra brand di stampo industriale (quelli appunto che più hanno bisogno di parlare a consumatori sempre più sospettosi rispetto alle pratiche delle grandi imprese) e realtà certificatori di impegno e sostenibilità.

Altromercato – ad esempio – ha avviato progetti di co-packaging con Parmalat, proponendo ai propri clienti bevande a marchio Zymil con caffè e cacao provenienti da coltivazioni sostenibili.

La qualità, la sicurezza e la sostenibilità di ciò che si compra sono fattori chiave per le decisioni di acquisto, ma ci sono altri elementi che – sempre nella logica del creare felicità e non solo protezione – sono determinanti per parlare con il consumatore: la costruzione di esperienze di acquisto straordinarie è altrettanto importante.

Se non è focalizzato sulla filiera produttiva o sulle partnership industriali, i progetti di coesione possono passare attraverso un coinvolgimento diretto tra aziende e i propri clienti.

L’ascolto della voce dei consumatori infatti può andare oltre la progettazione di campagne di marketing ed essere la base per la costruzione di valore incrementale, dando un peso importante alla voce dei propri clienti e non solo un loro utilizzo strumentale.

Il coinvolgimento e l’ascolto dei consumatori può portare allo sviluppo di nuovi prodotti, al ripensamento di packaging, al miglioramento o integrazione di servizi esistenti.

Anche se l’esempio non è italiano, è opportuno citarlo: una delle insegne retail a maggiore crescita per fatturato (+5% in volume e +1% in quota mercato) e marginalità (+40% nell’anno scorso) è la spagnola Mercadona che ha avviato un progetto chiamato Co-Innovation Model dove “Co” sta per “insieme”. Mercadona si avvale di 23 centri di ascolto coordinati da 200 specialisti che gestiscono ogni anno 11 mila giornate di ascolto con i clienti. Nel 2023 queste giornate hanno prodotto 500 azioni di miglioramento, 314 nuovi prodotti e 20 innovazioni su prodotti esistenti.

Altro esempio, nel settore delle attrezzature sportive da sempre coinvolto in attività di co-progettazione con i propri clienti, è quello di Decathlon che ha istituzionalizzato questa attività creando un canale di ascolto fisso che lancia progetti di indagine e raccolta di pareri con i propri clienti su temi vari (dai penumatici da bicicletta alle tende per campeggio) chiamato Decathlon Co-Creation[4]. La partecipazione dei consumatori a questo progetto di ascolto permette anche la costruzione di una comunità di persone interessate a condividere pareri e consigli sui loro hobby sportivi, con vantaggi individuali ma anche di branding e fidelizzazione per l’Insegna.

Il coinvolgimento dei clienti può anche concretizzarsi in operazioni di crowdfunding ed essere la molla per una nuova competitività di impresa.

È il caso ad esempio di Baladin, noto produttore piemontese di birra artigianale, che tramite la piattaforma italiana di equity crowdfunding, ha raccolto 5 milioni di euro per realizzare un ambizioso piano di sviluppo al 2028 che prevede una crescita significativa del fatturato, la creazione di un ciclo dell’acqua circolare attraverso la costruzione di un pozzo e l’avvio di Open Hub, un nuovo polo innovativo per gli addetti al settore.

Insomma, le sfide del mondo contemporaneo, che siano quelle della tutela di ambiente o comunità o quelle del proporre ai consumatori prodotti sempre più in linea con i loro volatili desideri, rendono sempre più necessaria la collaborazione all’interno di filiere o tra imprese con know-how convergenti o tra imprese e clienti.

Non solo perché, come evidente nei risultati economici producono marginalità incrementale e valore, ma in quanto permettono la inevitabile flessibilità ed evoluzione dei significati di senso delle aziende che i tempi impongono.

[2] https://www.gallup.com/analytics/509675/state-of-social-connections.aspx
[3] https://happiness-report.s3.amazonaws.com/2023/WHR+23_Ch0.pdf
[4] https://cocreation.decathlon.fr/it

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