«Non serve essere economisti per scoprire che la società civile si mantiene da sola. Ma il suo aspetto più importante è che permette alla gente di realizzarsi». Poche frasi come quella di Vaclav Havel riescono a spiegare in modo sintetico il ruolo dell’intelligenza sociale del non profit, espressione organizzativa della società civile, nella vita di tutti noi[1]. Perché, continua la riflessione dell’autore de “Il potere dei senza potere”, «gli esseri umani non sono solo macchine per fabbricare o per consumare, sono anche creature che… anelano a forme diverse di coesistenza e cooperazione».
È questo “di più”, oggi come allora, che le aziende continuano a cercare, perché ne hanno bisogno. Per organizzarsi meglio al loro interno, per perfezionare i propri processi produttivi e per instaurare relazioni positive con il territorio e le comunità in cui operano. Cioè per svilupparsi in modo più armonico e sostenibile. La cinghia di trasmissione tra le imprese e la società civile sono le organizzazioni del Terzo Settore, sempre più interconnesse con il mondo imprenditoriale, non solo per questioni meramente filantropiche – che detengono comunque il loro valore – ma anche e proprio per contribuire ad allargare la propria cultura d’impresa a nuove dimensioni che l’azienda non riesce a esplorare con le sue sole forze e risorse.
Uno degli ambiti in ascesa da questo punto di vista è quello della formazione delle soft skill dei propri dipendenti. La crescente diffusione del fenomeno del volontariato aziendale ne è un’espressione, come mostra, ad esempio, l’esperienza del Gruppo Teddy, azienda della moda (tra i suoi marchi Terranova e Calliope) fondata a Rimini che da alcuni anni ha costruito un vero e proprio programma di Cittadinanza di Impresa. Il programma punta sulla partecipazione attiva dei dipendenti per aiutare chi ha più bisogno, in particolar modo i giovani. Incentivare le esperienze di volontariato di gruppi di dipendenti presso le realtà sociali – 11 le principali organizzazioni coinvolte nel 2023 – non è un’azione fine a se stessa, ma è considerata dall’azienda come una delle leve migliori per promuovere il lavoro come un luogo di crescita e valorizzazione umana anche per chi è più svantaggiato. Le testimonianze[2] dei collaboratori mostrano l’effetto positivo di queste esperienze non solo sul piano personale ma anche su quello professionale, grazie allo sviluppo di capacità relazionali molto importanti nel mondo del lavoro come l’empatia, il saper collaborare con il team e l’attitudine all’osservazione e all’ascolto. La sintesi di questo impegno è quella di un dipendente che ha affermato: «Sono fiero di potermi affidare ad un'azienda dove nessuno viene lasciato indietro».
Quella di ridurre i costi di smaltimento, valorizzando le eccedenze a scopo sociale è una consuetudine che trova nel Terzo Settore l’anello decisivo per realizzare la catena dell’economia circolare. Antesignane di questa attività sono state tutte le principali catene del food. Tra queste vi è Esselunga che, nel videoracconto[3] dedicato alla ventennale collaborazione con il Banco Alimentare, ha mostrato al pubblico come i prodotti vicini alla scadenza vengano recuperati dai negozi del brand e ridistribuiti alle strutture caritative convenzionate. In questo caso, l’intelligenza sociale che il non profit mette a disposizione del profit, oltre a rendere possibile la valorizzazione di merce ancora buona ma non più commercializzabile, con un indubbio vantaggio sui costi di smaltimento, diventa anche l’occasione per un maggiore coinvolgimento dei clienti proprio grazie alla partecipazione in un progetto sociale significativo che si aggiunge al già rilevante valore. Ma la leva del coinvolgimento dei clienti si sta diffondendo anche in altri settori alla ricerca di soluzioni sempre più sostenibili. Una novità, che ci fa tornare al settore moda, riguarda il brand Intimissimi. Nei mesi di marzo e aprile di quest’anno, i clienti hanno avuto la possibilità di portare le proprie maglie e pigiami ancora in buono stato nei negozi Intimissimi per donarli a Humana People to People Italia, un’organizzazione specializzata nel riutilizzo di indumenti usati. I clienti iscritti al programma fedeltà del brand di intimo hanno ricevuto un voucher da poter utilizzare per ottenere degli sconti sui loro prossimi acquisti. Ci sono tanti modi per incentivare le vendite, quello di unire anche la possibilità di recuperare ciò che è ancora indossabile ma non si usa più è un valore che può essere generato solo attraverso la collaborazione con il non profit.
Un’azienda vive di relazioni. A cominciare da quelle dei territori in cui opera. Questa dimensione sociale del business ha bisogno di essere alimentata con progetti sempre più complessi, soprattutto quando l’azienda è presente in tante parti del mondo e magari in Paesi in via di sviluppo o comunque caratterizzati da forti squilibri. Molto significativa in merito è l’attività di Brembo, il gigante italiano degli impianti frenanti (e non solo) che da anni ha avviato importanti collaborazioni con varie realtà non profit in India, per realizzare il progetto House of smile, avviato nel 2017. Attraverso un hub e tre centri multiservizio, la casa del sorriso offre istruzione, supporto psicologico, assistenza medico-sanitaria e formazione professionale a donne e bambini nella periferia di Pune, in India, sede di un importante sito produttivo. Nel contesto di questo progetto, Brembo collabora con diverse realtà non profit locali, tra cui Swadhar IDWC Pune che offre i servizi socio-assistenziali alle famiglie delle comunità urbane povere, in particolare a donne e bambini. Molto interessante osservare che la formula con cui l’azienda dà seguito all’intento di favorire il benessere delle comunità locali è quella della co-progettazione con il mondo non profit, che crea le condizioni per far sì che l’impatto desiderato si trasformi in realtà.
I vantaggi competitivi che un’azienda può trarre collaborando con il Terzo Settore non sono tali solo nei Paesi lontani e nei casi di multinazionali. A questo proposito, Lombardini22, società specializzata nella progettazione di spazi urbani e soluzioni architettoniche, ha infatti attivato svariati progetti di Community Investment ispirati al modello della Community Holding, secondo cui gli interessi sono di tutti e si costruiscono insieme. Un esempio è Sottocasa, il laboratorio permanente di rigenerazione del Parco Baden Powell, situato esattamente davanti alla sede della società, che coinvolge il Municipio 6 di Milano e realtà del terzo settore come Save the Planet e Terrapreta. Tra i soggetti attivamente coinvolti figurano anche gli stessi abitanti del quartiere e gli esercizi commerciali della zona. Il progetto punta a generare impatto positivo su persone, pianeta e territorio: propone ad esempio soluzioni di mobilità sostenibile, sicurezza stradale, socialità diffusa, welfare pubblico e verde urbano per ridurre l’effetto isola di calore. Ogni primavera vengono effettuate anche semine di fiori di campo e piantumazioni mirate, per incrementare la biodiversità del territorio e restituire spazi condivisi, accessibili e curati a chi vive ogni giorno il quartiere. Nessuno di questi progetti prenderebbe vita se non vi fosse una realtà non profit che offre una qualche professionalità. Ad esempio, Save the Planet APS si occupa della definizione delle strategie ambientali e delle attività di sensibilizzazione della cittadinanza, mentre Terrapreta APS fornisce competenze agronomiche e progettuali legate alla rigenerazione ecologica, alla gestione del suolo e alla messa a dimora delle specie vegetali. Questa sinergia completa la gamma di competenze necessarie per far crescere il progetto, rafforzando la capacità di Lombardini22 di operare in chiave sistemica e generativa nei contesti urbani. La collaborazione con il Terzo Settore si traduce così in un vantaggio competitivo concreto, che consente all’azienda di differenziarsi nel mercato del real estate come attore capace non solo di progettare spazi, ma anche di generare valore ambientale, sociale e culturale duraturo per i territori in cui opera.
Un altro campo in cui la presenza delle organizzazioni di Terzo Settore sta diventando sempre più importante per lo sviluppo delle aziende è quello della stabilizzazione della manodopera. Gli strumenti messi in campo da molte Regioni grazie all’articolo 14 del dlgs 276/2003 sono un caso di scuola che ha facilitato l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate attraverso partnership tra aziende profit e cooperative sociali. A ciò si aggiunge la creatività degli attori in campo che, in molti casi, hanno trasformato l’obbligo di legge in un’opportunità superiore alle aspettative. Oniverse (Calzedonia), ad esempio, ha instaurato una collaborazione ormai storica con Progetto Quid, impresa sociale nata nel 2013 e molto cresciuta negli anni, che ha unito una mission legata all’inclusione lavorativa dei più fragili, in particolare donne, all’utilizzo di materiali di eccedenza provenienti dalle aziende del made in Italy e del lusso per produrre abbigliamento e accessori. Fin dalla sua fondazione, il gruppo Oniverse ha sostenuto Quid, dapprima con una donazione di stoffe e tessuti e poi instaurando con l’impresa sociale veronese una stabile collaborazione anche in virtù dell’art.14, permettendo l’avvio di numerosi percorsi di inserimento lavorativo. Questo modello è risultato vincente e la stessa Progetto Quid (che oggi sfiora i 160 dipendenti) ha intensificato le collaborazioni su scala nazionale, diventando partner etico per altre aziende riguardo alla fornitura di abbigliamento da lavoro, accessori e merchandising, grazie al recupero di eccedenze tessili. Le collaborazioni cross settore e le rinnovate partnership con il profit permettono così di incrementare l’impatto sociale delle iniziative e di promuovere una cultura di “ethically made in Italy” che si traduce in un rafforzamento dell’identità di tutti i brand che vi partecipano. A tale approccio hanno infatti aderito oltre 100 diversi brand italiani e internazionali quali Costa Crociere, Dolce e Gabbana e Ikea, mostrando anche in questo ambito la natura win-win del rapporto tra profit e non profit.
Queste best practice, pur nella loro diversità di genesi e operatività, mostrano nel loro insieme quanto sia cresciuta l’interdipendenza tra mondo profit e non profit negli ultimi anni. Prospettive come la coprogettazione, la reciprocità di interessi e l’integrazione della sostenibilità sociale (in aggiunta a quella ambientale) nelle strategie del business stanno ad indicare che gli steccati sono ormai caduti e che la necessità di aprirsi a nuove forme di collaborazione porta risultati concreti, altrimenti irrealizzabili. Esempi da tenere a mente soprattutto in questa fase, in cui l’Europa, sulla spinta del cambio di rotta degli Stati Uniti e del difficile contesto internazionale, dopo anni di rapido avanzamento, ha iniziato a rallentare le lancette della misurazione degli impatti generati dalle realtà aziendali. Ma, indipendentemente dalle regole sulla trasparenza e la rendicontazione, la collaborazione tra i mondi profit e non profit resta un elemento chiave, da un lato, per consentire alle imprese di distinguersi su scala europea e mondiale per un approccio innovativo e rispettoso dell’ambiente e delle persone – che migliora anche la competitività aziendale – e, dall’altro, alle organizzazioni del Terzo Settore di svolgere il compito che le ha fatte nascere e svilupparsi dal basso, ossia di «permettere alla gente di realizzarsi».
[1] Riccardo Bonacina, scomparso di recente, l’aveva citata in un editoriale su Vita del 2 giugno 2000, “ripescandola” da un intervento dell’ex Presidente della Repubblica Ceca su El Pais datato 21 maggio 2000.
[2] L’azienda ha permesso di visionare una significativa raccolta di commenti lasciati dai dipendenti dopo l’esperienza di volontariato di impresa presso alcune delle realtà coinvolte nel progetto, tra le quali l’associazione Papa Giovanni XXIII e Fondazione Cetacea.
[3] https://www.youtube.com/watch?v=6RY-dYsYqU0