Attraversare il Molise significa immergersi in un’atmosfera genuina e autentica, scoprendo una delle regioni meno antropizzate, capace di conservare al meglio gli echi e le tradizioni dell’Italia rurale. Tra le montagne e le colline coperte dai campi di grano si snodano i tratturi, le antiche strade percorse dai pastori durante la transumanza, vere e proprie piste erbose che attraversano valli, fiumi e borghi senza tempo. Agli scenari rurali dell’interno si aggiunge la splendida costa adriatica, che in Molise regala spiagge dalla sabbia finissima e pinete che arrivano fino al mare.
Foreste e boschi
La superfice forestale del Molise è la seconda più piccola d’Italia dopo quella della Valle d’Aosta. Ma come nel caso della regione alpina, questo è dovuto soltanto alle sue ridotte dimensioni. Dei 4.460 kmq che compongono la regione, ben 3.921, ovvero l’88%, ricadono all’interno di piccoli comuni. La superfice forestale del Molise è di 1.733 kmq. Pur essendo molto piccolo, il Molise presenta diversi ambienti e microclimi che danno vita a una flora ricca e diversa a seconda delle zone. Lungo i 35 km di costa molisana si trovano infatti estese pinete come quelle di Campomarino e Petacciato, comuni della provincia di Campobasso, mentre nella fascia collinare l’albero dominante è la roverella. Nella zona più interna, quella appenninica, la vegetazione è tipica degli ambienti submontani e montani, con lecci, faggi, ornielli e aceri. Alle altitudini maggiori, come sul massiccio del Matese, al confine con la Campania, crescono anche alberi tipici di climi rigidi come il pino nero e l’abete. In provincia di Isernia, nel piccolo comune di Pescolanciano, attraversato da due dei tratturi più importanti della transumanza (la pratica della migrazione stagionale delle greggi, riconosciuta come patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’UNESCO), ovvero il tratturo Castel di Sangro-Lucera e il tratturo Celano-Foggia, si trovano i 347 ettari della Riserva MAB di Collemeluccio-Montedimezzo Alto Molise, ad un’altitudine compresa tra i 920 e i 1.284 m s.l.m. Qui il bosco è dominato dall’abete bianco, una delle ultime testimonianze delle grandi abetine che ricoprivano l’Appenino, che oggi sopravvivono isolate in piccoli raggruppamenti in Abruzzo, Calabria e Toscana. Il Bosco di Collemeluccio deve il suo nome a Desiderata Melucci, che lo portò in dote al duca d’Alessandro di Pescolanciano. Esteso per 187 ettari, il Bosco vede nelle zone più esterne l’abete associarsi al cerro, mentre sui pendii esposti a nord, più ombrosi e freschi, troviamo nutriti gruppi di faggi accanto agli abeti bianchi. In misura minore sono presenti anche il carpino bianco, l’olmo e il frassino. Molto ricca anche la fauna, con la presenza di cinghiali, lepri, donnole, volpi e qualche sporadica segnalazione di lupi. Tra gli uccelli invece si segnalano il falco pellegrino, il falco pecchiaiolo e la poiana. Sempre in provincia di Isernia, nel piccolo comune di Vastogirardi, si trova una foresta demaniale, quella di Pennataro, dalla storia particolare. L’intera area forestale di Montedimezzo-Feudozzo-Pennataro era infatti di proprietà della nobile famiglia degli Angioini dal XIII secolo, fino a quando venne donata ai monaci certosini agli inizi del XVII secolo, dopo che un enorme incendio l’aveva bruciata. Con pazienza e tenacia, i monaci provvidero a ripiantare gli alberi andati distrutti dal fuoco e riuscirono a ricreare le originarie formazioni boschive. Oggi la foresta è formata da cerri, aceri e carpini bianchi fino alla quota dei 1.000 metri, oltre la quale si trovano faggete pure. Gli arbusti più diffusi sono invece il biancospino, il nocciolo e la rosa canina. A Patecciato, piccolo comune costiero della provincia di Campobasso, posto su una collina da cui si possono ammirare la Maiella, il Gargano e le Tremiti, c’è invece la pineta più grande del Molise. I 65 ettari di pineta, formati da esemplari di pino domestico e pino marittimo, furono creati negli anni ’50 per assorbire l’acqua della zona paludosa e oggi proteggono il sistema di dune davanti alle acque cristalline dell’Adriatico.
Alberi Monumentali
Sono 180 i monumenti verdi molisani, di cui 162 all’interno di comuni con popolazione pari o inferiore alle 5.000 unità. Il censimento di alberi monumentali locali è dominato dalle specie più comuni nel nostro Paese come la roverella e il faggio, mentre sono ben poche le varietà rare o esotiche. Nel piccolo comune di Pizzone (IS), al confine con il Lazio e l’Abruzzo, si trova un esemplare di acero montano secolare che cresce su un pendio in mezzo a una fitta faggeta sul Monte La Metuccia, a 1.640 metri di altitudine. Alto 24 metri, l’acero presenta un fusto fortemente inclinato, che si avvita nel punto di congiunzione con la chioma, risultando immediatamente riconoscibile per via del suo portamento ben diverso da quello dei fusti dritti e regolari degli alberi che lo circondano. Anche il colore della corteccia, coperta di placche, appare nettamente più scura rispetto ai faggi circostanti. Altro monumento verde molisano è il cerro di Carovilli, piccolo comune della provincia di Isernia attraversato dal tratturo Castel di Sangro-Lucera, che nei suoi 130 km di lunghezza tocca 3 regioni (Abruzzo, Molise e Puglia) e costituiva una delle più importanti direttrici della transumanza. E proprio sotto la chioma del cerro, che cresce in località Campo Lungo, i pastori erano soliti far riposare le greggi durante gli spostamenti lungo il tratturo. L’albero, che cresce isolato all’interno di una proprietà privata e si presenta in un buono stato di salute, è alto 24 metri con una circonferenza di 5 e presenta una chioma regolare ed espansa, grazie allo sviluppo armonico dei suoi rami principali. Presso Sesto Campano (IS), piccolo comune della Valle del Volturno, un’area a forte vocazione agricola, c’è invece un imponente pioppo secolare che cresce isolato tra i campi coltivati. Alto 23 metri e caratterizzato da una chioma verde e rigogliosa, l’albero attira immediatamente lo sguardo, rappresentando un elemento di rottura rispetto al panorama agricolo circostante. Nel piccolo comune di Portocannone, in provincia di Campobasso, troviamo un olivo di oltre 700 anni che è testimone e custode della storia del luogo. Infatti, quando il paese fu raso quasi interamente al suolo da un terremoto nel 1456, fu ricostruito da una piccola colonia di Arbëreshë circa 10 anni dopo: l’olivo era già lì all’inizio dei lavori di ricostruzione e, una volta nato il nuovo paese, ha rappresentato un punto di riferimento per i contadini, che erano soliti ritrovarsi all’ombra della sua chioma.