Nel 2016 il mercato ha rallentato rispetto agli ultimi anni ma resta in crescita grazie allo streaming, a compensare l’atteso calo dei cd. Anche se in questa fase il comparto non sta correndo, si colgono ovunque segnali della fine di un atteggiamento incerto e passivo di fronte a un mercato in trasformazione a causa di tecnologia ed esposizione a dinamiche globali. Il pubblico pare sempre più diviso a seconda delle modalità di ascolto: i giovani che si nutrono di piattaforme digitali ascoltano quasi esclusivamente artisti della top 50 internazionale, mentre il pubblico più maturo, legato agli album, premia gli artisti nostrani, protagonisti dell’offerta musicale live in tutto il territorio. Sempre più importante la musica nei cinema, sotto forma di documentari a proiezione limitata o diretta via satellite. Anche dove emergono criticità, come nelle controversie legate al secondary ticketing dei concerti o nella debacle della canzone italiana nella domanda giovanile interna come nell’export, si vedono subito gli sforzi per superare i problemi invece che subire gli eventi.
Per il quarto anno di fila, in sintonia con la ripresa mondiale del settore, il mercato discografico interno cresce. Il mercato italiano è al nono posto nel mondo per giro di affari e, dopo i balzi in avanti degli anni scorsi (su tutti il +21% del 2015), il miglioramento è contenuto (149 milioni di fatturato, +0,4%) ma una quasi stabilità è un’ottima notizia per un’industria in rapida riorganizzazione[2]. Del resto è iniziato l’atteso declino del cd, che era inaspettatamente cresciuto in controtendenza rispetto al resto del mondo. E tuttavia, è più che compensato dalla crescita dello streaming (+30%), che vede i ricavi da abbonamenti crescere del 40% rispetto al 2015, per un giro di oltre 35 milioni di euro. Sempre nel digitale il download di file mp3, mai realmente decollato per varie cause (dalla pirateria a una certa impraticità) è sempre più in calo (-24%) ma a sua volta è bilanciato dall’ulteriore crescita del vinile (+52%) che con quasi 10 milioni di ricavi si prende il 6% del mercato. Grazie al più antico dei supporti, malgrado un calo dell’8%, il fisico continua a prevalere, anche se per poco (54%) sul digitale. In salute anche i diritti d’autore, per i quali non a caso Soundreef è intenzionata a dare battaglia per infrangere il monopolio: al momento il Decreto legislativo che ha recepito la direttiva Barnier salva l’esclusiva di Siae, ma la società italiana con sede a Londra intende dare battaglia dal punto di vista legale – ed economico, visto che si parla di un aumento di capitale da 20 milioni. Che i diritti d’autore siano sempre più fruttuosi è testimoniato dal sempre maggiore interesse delle major per gli autori di canzoni, ricercati e ingaggiati con contratti in esclusiva, a volte pubblicizzati come quelli dei cantanti: molto attivo il gruppo Sugar che ha “tesserato” come autori Tiziano Ferro, Fortunato Zampaglione e Salmo, liberi di incidere come musicisti per altre etichette.
Analizzando le vendite, gli appassionati di musica italiani paiono divisi in due partiti a seconda del tipo di fruizione e, in parte, della fascia anagrafica. Le vendite dei cd premiano come sempre la musica italiana: 9/10 della top ten, proprio come nel 2015, sono italiani. Tra i 20 album più venduti del 2016, solo tre sono stranieri. Si conferma il predominio delle major: tra i 50 dischi più venduti del 2016, 43 sono pubblicati o distribuiti dalle tre multinazionali (erano 45 nel 2015). La migliore performance è di Sony (17), che oltre a superare Universal (16) e Warner (10) occupa le posizioni più alte (8 album in top 20). Tra le etichette italiane il miglior risultato è di Sugar (2 album in top 50) con un calo del gruppo Baraonda/Ultrasuoni/RTL 102,5: un solo disco tra i primi 50 rispetto ai 4 del 2015. Anche se i grandi numeri sono lontani, interessante la performance di Carosello (Emis Killa, Levante, Thegiornalisti, Nesli) che appoggiandosi alla logistica di Artist First (gruppo Log Service Europe) salta diversi passaggi della filiera distributiva, portando il prodotto dove serve (grandi store più che piccoli negozi) a costi contenuti anche per il pubblico. Impatto importante anche per 42 Records, fondata nel 2010 dal giornalista musicale Emiliano Colasanti e Giacomo Fiorenza, tecnico e produttore: 42 ha portato all’attenzione della critica e del pubblico hipster nomi irrilevanti per le grandi multinazionali: I Cani, Colapesce, Cosmo rispecchiano la nicchia intellettuale e appassionata in cui soprattutto Colasanti si muove dopo esser diventato un riferimento critico attendibile per i lettori.
Album dell’anno è Le migliori di Mina & Celentano, con vendite poco sotto le 200mila copie in due mesi (è uscito l’11 novembre 2016). Sul podio anche gli album di Tiziano Ferro e Ligabue, che erano nella top 10 anche nel 2015 (con album del 2014). Anche loro usciti nelle ultime settimane del 2016 a conferma del dato FIMI secondo cui le vendite natalizie rappresentano il 30% del mercato. Nessun album legato a Sanremo 2016 ha ottenuto un disco di platino o d’oro. L’unico album piazzatosi in top 30 è di Ezio Bosso (n.29), al Festival come ospite. Solo cinque artisti in top 50 sono usciti da talent show (tre da Amici, due da X Factor). Solo il 20% sono donne (percentuale bassa rispetto al mercato mondiale ma comunque in aumento). Su 21 dischi di platino assegnati (oltre 50mila copie), 15 sono andati ad artisti di età superiore ai 35 anni. Interessante rilevare, per valutare il reale peso dei social, che ancorché immensamente compiante su twitter e facebook, le tante rockstar decedute nel 2016 non hanno fatto aprire molti portafogli: l’unico a entrare in top 50 (al n.16) è quello che di fatto ci sarebbe entrato in ogni caso: David Bowie con il suo album Blackstar, uscito nel gennaio 2016. Blackstar è stato anche il vinile più venduto, seguito al n.2 da Mina & Celentano e al n.3 dall’emblema stesso dal 33 giri classic rock, The dark side of the moon dei Pink Floyd, in versione ristampata. Le vendite del vinile, come suggeriscono il n.2 di Mina & Celentano e il n.4 di Zucchero, in parte rispecchiano la classifica dei cd, ma per metà sono molto ricettive nei confronti di vintage e ristampe: al quinto posto c’è Back to black di Amy Winehouse e al settimo Led Zeppelin IV, ma questo piazzamento non è abbastanza consistente per mandare l’album nella top 100 complessiva di CD+LP.
Ma laddove l’acquisto dei supporti fisici rimane un atto di fiducia verso l’artista (specie quelli dalla lunga carriera, pur non trascurando l’apporto dei giovani fan alle nuove leve durante i sempre più strategici instore tour) l’ascolto tramite streaming evidenzia uno stato drammatico per la canzone italiana. Per i giovani che ascoltano compulsivamente le hit internazionali sulle piattaforme di streaming la canzone italiana sta perdendo ogni attrattiva: i numeri di Spotify, Deezer, AppleMusic e TimMusic sono impietosi. I “successi in laboratorio” del pop americano e la dance elettronica europea (più del pop-rock britannico) permettono solo a due italiani di entrare nella top 30: Vorrei ma non posto (J-Ax & Fedez) e Andiamo a comandare (Rovazzi). Tra i primi 50 brani, solo 6 sono italiani. Evidente l’effetto “globalizzante” delle playlist, soprattutto quelle di Spotify. Nemmeno i brani italiani più programmati dalle radio ottengono riscontri di vendite in proporzione: per EarOne il più trasmesso nel 2016 è stato Ti sembra normale di Max Gazzé, n.98 in classifica; il secondo, No hero di Elisa, è al n.62. Una tendenza interessante che attenua questo campanello d’allarme è il successo senza vendere dischi. Se ne era avuta un’avvisaglia negli anni scorsi col gruppo Il Pagante, forte su YouTube e richiestissimo dalle discoteche; nel 2016 Thegiornalisti sono stati unanimemente indicati come gruppo dell’anno senza mai entrare in top 10 con l’album o nella top 50 dei singoli con la pur notissima Completamente. La trap, variante adolescente del rap ha poi creato il fenomeno Dark Polo Gang, boy-band della Roma-bene che ha pubblicato in free downloading il primo album e si pone come un ibrido tra reality show e una serie tv su YouTube, Instagram e Snapchat. D’altronde gli italiani sono terzi nel mondo nell’uso di YouTube per sentire musica (91%), coi giovani sotto i 25 anni in testa: gli smartphone sono già il mezzo principale per l’ascolto di musica, e l’Italia rientra nella stretta cerchia delle nazioni in cui 2/3 dei possessori di cellulare lo usano a tale scopo (68%, più di Germania, Usa, Svezia e Spagna)[3]. Si è imposto su YouTube grazie a 535mila iscritti al suo canale anche Ghali, 23 anni, una collezione di abbigliamento (Sto Streetwear, presentata il 3 aprile 2016 a Milano davanti a una folla impressionante di ragazzi) e una sua etichetta, Sto Records che si appoggia alla società online americana Believe per la distribuzione digitale ma non ha ancora inciso un album. In verità un disco cui ha partecipato, quello del rapper Lacrim, è andato al n.1 in Francia. Un piccolo trionfo per le nostre anemiche esportazioni, per le quali la Brexit potrebbe rappresentare un’opportunità visto che in Inghilterra, dove si trovano le sedi europee delle major, la musica italiana è sempre stata apertamente disprezzata: è nel resto del continente che il pop italiano ha sempre conosciuto le sue fortune. Una confortante eccezione è data dalla pubblicazione del nuovo album di Lorenzo Senni per la britannica Warp Records, sintomo del buon momento dell’elettronica italiana, cui contribuiscono anche Go Dugong, Godblesscomputers, Capibara, Yakamoto Kotzuga.
Anche in un altro ambito apparentemente in crisi si celano una mutazione e una crescita: nonostante le difficoltà delle discoteche (fenomeno europeo), quando la dance diventa evento live fa numeri consistenti. I festival e i concerti in cui i grandi spazi vengono trasformati in megaclub fanno numeri importanti: lo dimostrano il concerto più visto nel primo trimestre 2016 (Paul Kalkbrenner a Bologna, 13.595 ingressi) e il più visto nell’ultimo trimestre, la data finale del Movement al Torino Festival (22.535). A proposito di musica dal vivo, mentre si conferma lo stato di salute del comparto, in cui primeggiano i cantanti italiani “da stadio” (al n.1, il sempiterno Vasco Rossi), aumenta la presenza strategica delle majors in un settore in cui un tempo artisti e manager erano lasciati liberi. Oggi Sony, Universal e Warner entrano direttamente o con società ad hoc nell’organizzazione dei tour. Il settore ha anche patito la “grana” (e qualcuno, le multe) del Secondary Ticketing[4], che in fondo conferma la forte domanda italiana di eventi musicali. E non solo dal vivo: va decollando una tendenza in atto da alcuni anni, quella dei documentari ed eventi a sfondo musicale nei cinema. Nel settore emergono due società milanesi che portano nelle sale spettacoli in diretta in alta qualità audio e video ma anche pellicole la cui proiezione, di solito in programmazione per soli 2-3 giorni, dà risultati cospicui al box-office. Nexo Digital, nata nel 2009, ha sfiorato il primo posto al botteghino con Il tempo resterà, docu-film su Pino Daniele che ha raccolto oltre 600mila euro in tre giorni grazie a più di 55.000 mila spettatori, inchinandosi soltanto al blockbuster La bella e la bestia. Nella proposta di dirette musicali via satellite Nexo è stata anticipata di poco da QMI, che già nel 2008 diffuse in 37 cinema italiani un concerto parigino di Elton John, e ha stretto un accordo col Metropolitan per la trasmissione delle opere liriche nei cinema della rete Stardust (645 sale) creata e controllata dalla stessa QMI. Ovviamente in questo contesto il patrimonio più significativo (anche per l’estero) ci porta di nuovo a Milano, con La Scala, che ha affidato a RaiCom le produzioni espressamente pensate per questo tipo di proiezioni cinematografiche. Da tener d’occhio anche un’altra forma ibrida dei concerti, ovvero il fenomeno degli instore tour, cioè le date nei megastore durante le quali gli artisti (di norma italiani) si raccontano e si esibiscono in un tempo limitato per un pubblico anche ingente, che compra il cd per l’autografo e il selfie, spingendo tangibilmente le vendite.
Per quanto riguarda l’educazione musicale, si contano circa 2mila scuole primarie che propongono laboratori di musica, 1.400 scuole medie a indirizzo musicale e 140 licei musicali. Il piano nazionale per la formazione musicale, in parte recepito nella “Buona Scuola”, dovrebbe portare un budget di 2 miliardi di euro l’anno per lo studio della materia in tutte le scuole. Alcune di queste hanno anche pensato di unire le forze approfittando di progetti come “Musica è Scuola”, promosso dal MIUR e dal Cnapm, Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica: quattro scuole di diverse regioni (Emilia Romagna, Calabria, Lazio e Veneto) hanno condiviso per un anno esperienze e momenti didattici.
Per il settore degli strumenti musicali, i dati di Dismamusica per il 2016 non sono ancora disponibili al momento della redazione di questo rapporto, ma il +4,87% del primo trimestre fa ben sperare, anche sull’onda di un 2014 e 2015 in crescita, con +16,2% e ricavi per 271,3 milioni solo per le esportazioni. Quattro strumenti in particolare hanno aumentato il giro di affari pur diminuendo i prezzi medi, e da soli esprimono il 25% del mercato italiano: chitarre elettriche, strumenti didattici di base, amplificazione del suono e registratori. Basti pensare a dove è arrivato l’amplificatore made in Tuscia di Mezzabarba Amplification, scelto di recente da uno tra i migliori chitarristi al mondo: Joe Satriani, che ha insegnato a suonare a musicisti del calibro di Steve Vai e Kirk Hammett dei Metallica. Ed è solo l’ultimo che l'artigiano del suono viterbese aggiunge a una lista già lunghissima. I rivenditori contano sull’ampliamento del bonus strumenti musicali, uno sconto di 1000 euro introdotto nel 2016 per i soli conservatori e istituti superiori di studi musicali: nel 2017 il Bonus Stradivari avrà un importo maggiore (il 65% sul prezzo di acquisto, fino a un contributo massimo di euro 2.500) e sarà esteso a licei musicali e corsi preaccademici.
Tirando le somme, il mercato musicale italiano conferma uno stato complessivo di dinamismo: le cose stanno cambiando e rispetto ad alcuni anni fa gli operatori non rimangono passivi ma hanno imparato a leggere i cambiamenti per individuare le opportunità connesse. Il clima generale è di fiducia e anche nei settori più critici l’atteggiamento non è più fatalista. Proprio per questo, è importante non lasciar spegnere ma incoraggiare ulteriormente questa voglia di lavorare sempre meglio con la musica.