Nel corso degli ultimi venticinque anni, le relazioni tra imprese e mondo della ricerca e della formazione hanno conosciuto trasformazioni epocali. Volendo semplificare, abbiamo lasciato alle spalle un modello di innovazione chiuso, in cui la ricerca e lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi avveniva all’interno del perimetro dell’organizzazione aziendale, per abbracciare un modello aperto al confronto con altre imprese e istituzioni. In due parole: open innovation.
La formula “open innovation”, espressione resa celebre dal libro dello studioso dell’Università di Berkeley Henry Chesbrough[1], ha segnato un nuovo approccio nella gestione di processi di ricerca e sviluppo e nelle dinamiche di innovazione. Le imprese hanno riconosciuto che la conoscenza rilevante per un percorso di crescita sostenibile può e deve provenire da anche da soggetti esterni. L'open innovation coinvolge l'acquisizione di idee, conoscenze e tecnologie esterne attraverso collaborazioni, licenze, acquisizioni. Nella pratica manageriale, l’adozione di una prospettiva di innovazione aperta ha coinciso con l’aumento di collaborazioni e di partnership con altre imprese e soprattutto con il mondo dell’università, della ricerca e della formazione avanzata. Ciò ha contribuito in modo significativo alla formazione di ecosistemi di innovazione in cui diverse entità lavorano insieme per stimolare l'innovazione e affrontare le sfide comuni. Nell’ambito di questi ecosistemi hanno giocato un ruolo essenziale le start-up nate da percorsi di ricerca proiettati verso percorsi imprenditoriali. Le imprese tradizionali hanno iniziato a collaborare con queste start-up per accedere a idee originali e promettenti, spesso sostenendo in prima persona programmi di accelerazione e incubazione.
In Italia, il paradigma dell'open innovation ha preso piede gradualmente nel corso degli ultimi anni. Università, centri di ricerca, associazioni imprenditoriali e istituzioni governative, hanno svolto un ruolo importante nella promozione e nella diffusione di queste pratiche. Un contributo importante è giunto dal governo italiano che ha introdotto incentivi fiscali e finanziamenti per promuovere la ricerca e lo sviluppo collaborativo tra imprese e organizzazioni esterne. Le università italiane hanno svolto un ruolo chiave nella promozione di questo nuovo paradigma. Molte università hanno stabilito centri di ricerca e uffici di trasferimento tecnologico per facilitare la collaborazione tra docenti, studenti e imprese. Queste collaborazioni orientate a promuovere la “terza missione” permettono di condividere conoscenze, competenze e risorse per sostenere l'innovazione congiunta.
Molte imprese italiane hanno colto i benefici dell'open innovation e hanno intrapreso iniziative concrete per andare in questa direzione. Molte imprese hanno creato centri di ricerca e sviluppo aperti alla collaborazione esterna, promosso programmi di co-creazione di conoscenza con clienti e fornitori e stabilito partenariati strategici con start-up e università.
Alcuni casi meritano di essere ricordati. Enel, una delle principali aziende energetiche italiane, ha adottato l'open innovation attraverso la creazione degli Enel Innovation Hub[2]. Questi hub collaborano con start-up, università e partner industriali per sviluppare soluzioni innovative nel settore energetico. Enel ha anche lanciato il programma "Open Innovability"[3], una piattaforma che coinvolge la comunità globale degli innovatori per affrontare sfide specifiche nel settore energetico.
Barilla ha adottato l'open innovation attraverso la creazione di Barilla Innovation Center, un centro di ricerca e sviluppo aperto a collaborazioni con università, start-up e altre aziende. L’impresa di Parma ha sviluppato un programma di attività chiamato "Good Food Makers" che invita innovatori esterni a presentare idee e soluzioni per alimenti sani e sostenibili per accelerare progetti di innovazione nel settore AG-Tech.[4]
Telecom Italia è stata fra le prime imprese a livello nazionale a promuovere l'open innovation attraverso iniziative come il "Working Capital" e "TIM #WCAP"[5]. Questi programmi hanno offerto finanziamenti e supporto a start-up innovative nel campo delle telecomunicazioni, dell'intelligenza artificiale, della sicurezza digitale. Il gruppo, sempre molto dinamico sul fronte della open innovation, si impegna a fornire mentorship e risorse per accelerare la crescita di start-up innovative[6].
Le imprese italiane hanno adottato un approccio “open” (in senso lato) non solo per favorire la ricerca e l’innovazione ma anche per promuovere lo sviluppo di talenti e la creazione di competenze strategiche per il proprio futuro. Il quadro demografico preoccupante e lo scarso interesse dimostrato dai giovani per diverse attività del mondo manifatturiero che hanno spinto le imprese, in particolare quelle della meccatronica e delle filiere del lusso, a sviluppare un dialogo serrato con i soggetti promotori della formazione tecnica di livello secondario e terziario. Nel corso dell’ultimo decennio questo impegno a sostegno della formazione di competenze tecniche è cresciuto in modo sensibile contribuendo alla creazione e al rafforzamento della filiera della formazione tecnica di livello terziario. Gli ITS, gli Istituti Tecnologici Superiori incardinati su fondazioni di diritto privato, sono diventati rapidamente un riferimento per molte imprese che hanno potuto sviluppare un approccio originale alla promozione di competenze.
Sul fronte delle partnership fra imprese e scuola secondaria un’esperienza che merita di essere ricordata è il progetto “Adotta una scuola” promosso da Altagamma in collaborazione con Unioncamere. Un gruppo di imprese attive all’interno del gruppo “Risorse Umane” di Altagamma ha preso l’impegno di adottare un istituto di formazione in ambito secondario per “ridurre il divario tra domanda e offerta di profili tecnici integrando i programmi didattici per rispondere alle più attuali esigenze delle aziende”. Altagamma ha sostenuto ottanta classi sul territorio italiano in due anni. Il prestigio e la notorietà dei brand coinvolti hanno contribuito al successo dell'offerta formativa e a migliorare la percezione di questi percorsi professionali da parte di giovani e famiglie[7].
Rispetto al mondo delle PMI, l’impatto della open innovation suggerisce un bilancio più problematico. L’architettura a sostegno dell’innovazione delle piccole imprese, pur mutuata dai medesimi principi considerati in precedenza, non è stata capace di attivare le stesse dinamiche di innovazione e di mettere in moto ecosistemi stabili di innovazione. Un caso su cui riflettere è quello fornito dai Digital Innovation Hub (DIH) ovvero quelle organizzazioni che offrono supporto alle piccole imprese nell'adozione e nell'applicazione di tecnologie digitali. Questi Hub possono svolgere un ruolo chiave grazie a consulenza e assistenza tecnica, accesso a esperti nel campo di tutte le declinazioni di Industria 4.0, collegamenti a laboratori, attrezzature, software e altre risorse necessarie per sperimentare e implementare nuove soluzioni digitali. Il bilancio di questi Hub e dell’intera architettura costruita per lo sviluppo di un ecosistema a prova di PMI ha dimostrato diversi limiti. Un report della Commissione Europea ha messo in evidenza diverse criticità che confermano la difficoltà nel connettere i soggetti della ricerca con i percorsi di innovazione e di crescita delle PMI[8].
Per ovviare ai limiti messi in evidenza, un’alternativa possibile è connettere le PMI direttamente con l’offerta di formazione tecnica superiore (gli ITS in particolare) per favorire la diffusione di competenze digitali e la promozione di progetti di ricerca applicata e di sperimentazione coerenti con le necessità del tessuto industriale italiano. Questo è l’obiettivo immaginato da piattaforme come Upskill 4.0, spin-off dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, per la creazione di un collegamento stabile fra imprese e ITS attraverso la metodologia del Design Thinking. Le imprese definiscono una sfida progettuale su cui gruppi di lavoro coordinati da Upskill 4.0 si concentrano per un semestre garantendo una serie di rilasci intermedi per arrivare a mettere a punto un prototipo finale[9]. La piattaforma, che negli ultimi due anni ha promosso un centinaio di progetti di innovazione, ha dimostrato la compatibilità fra ITS e piccole e medie imprese e ha messo in evidenza l’importanza di metodologie strutturate per la gestione di percorsi di collaborazione fra impresa e formazione.
Il quadro complessivo che emerge dalla diffusione dei principi dell’open innovation nel nostro Paese offre indicazioni interessanti sulle politiche da adottare nel prossimo futuro. Mentre sul versante delle medie e grandi imprese le formule consolidate a livello internazionale costituiscono buone pratiche ampiamente replicabili nel contesto nazionale, sul fronte della piccola impresa il modello richiede una serie di aggiustamenti che rimandano a politiche ad hoc. Il modello dell’open innovation si applica ai contesti territoriali caratterizzati da filiere frammentate ma a condizione di investire su interlocutori effettivamente interessati al dialogo e su metodologie didattiche e di gestione dell’innovazione compatibili con la cultura e le competenze delle piccole e medie imprese. Alcuni esperimenti già avviati in questi anni costituiscono una buona base di partenza per immaginare la diffusione di strumenti e soluzioni coerenti con le specificità del contesto italiano.
[1] Chesbrough H. (2003), Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology, HBS Press.
[2] https://www.enel.com/it/azienda/il-nostro-impegno/hub-innovazione
[3] https://openinnovability.enel.com/it
[4] https://www.barillagroup.com/it/sala-stampa/comunicati-stampa/barilla-plug-and-play-good-food-makers-2023/
[5] https://www.economyup.it/startup/working-capital-passa-da-telecom-a-tim/
[6] https://openinnovation.gruppotim.it/it/custom/challengesit/directory
[7] Per informazioni sul progetto si veda il sito https://altagamma.it/projects/element_filter/10/
[8] Qui il documento: https://www.eesc.europa.eu/en/our-work/opinions-information-reports/opinions/digital-innovation-hub-facilitator-green-and-digital-transition-industrial-smes-overview-main-experiences?
[9] https://www.upskill40.it/progetti/
> Continua a leggere il rapporto "Coesione è Competizione" p.27