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  • Angelo Zaccone | HuffPost

Per chi – come chi cura questi post per HuffPost – studia la struttura del sistema culturale da oltre trent’anni attraverso il laboratorio di ricerca indipendente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult, l’appuntamento per la presentazione di “Io Sono Cultura”, il rapporto della Fondazione Symbola promossa da Ermete Realacci, è un’occasione rituale ma immancabile: martedì mattina 25 novembre, nella sede romana di Unioncamere negli Horti Sallustiani, è stata presentata l’edizione n° 15 dello studio, ed è stato riproposto un aleatorio set di dati numerici, associato ad una visione ostinatamente rassicurante delle industrie culturali e creative italiane.“Io Sono Cultura” è realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere, Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, Deloitte, con la collaborazione dell’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale (Icsc), Fondazione Fitzcarraldo, Fornasetti.

Per chi – come chi cura questi post per HuffPost – studia la struttura del sistema culturale da oltre trent’anni attraverso il laboratorio di ricerca indipendente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale IsICult, l’appuntamento per la presentazione di “Io Sono Cultura”, il rapporto della Fondazione Symbola promossa da Ermete Realacci, è un’occasione rituale ma immancabile: martedì mattina 25 novembre, nella sede romana di Unioncamere negli Horti Sallustiani, è stata presentata l’edizione n° 15 dello studio, ed è stato riproposto un aleatorio set di dati numerici, associato ad una visione ostinatamente rassicurante delle industrie culturali e creative italiane.

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Io Sono Cultura” è realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere, Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, Deloitte, con la collaborazione dell’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale (Icsc), Fondazione Fitzcarraldo, Fornasetti.

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Sia ben chiaro: il rapporto annuale di Symbola, giunto alla 15ª edizione, resta assolutamente un testo di riferimento certamente utile per tutti coloro – operatori del settore o ricercatori culturologici – che vogliono analizzare il sistema culturale italiano dal punto di vista “strutturale”, e quindi soprattutto economico ed istituzionale.

Il problema di fondo è – ancora una volta – la numerologia “enfatica” che questo studio ri-presenta, anno dopo anno, senza apprezzabili implementazioni metodologiche: i numeri che “spara” sono certamente efficaci per essere ripresi da media generalisti… basti pensare a cifre impressionanti – sulla carta – come la dimensione complessiva della “filiera” nell’ordine di 113 miliardi di euro di “valore aggiunto”, le quasi 290mila imprese attive (alle quali si affiancano quasi 28mila enti del Terzo Settore), gli oltre 1,5 milioni di “occupati”.

E che dire del… “moltiplicatore”, stimato da Symbola? Complessivamente, ogni 1 euro generato dalle attività culturali e creative attiverebbe ulteriori 1,7 euro nel resto dell’economia, per un valore complessivo di 303 miliardi di euro, corrispondenti al 15,5 % dell’economia italiana: boom!

Molti dati sono basati sui cosiddetti “codici Ateco”, ovvero su uno strumento amministrativo e fiscale non progettato per fotografare la vera natura delle attività culturali e creative.

Tutti numeri e parametri classificatori che meriterebbero maggiore trasparenza e robustezza metodologica e validazione scientifica, perché mettono dentro un “calderone” una molteplicità di attività, certamente tutte “afferenti” in qualche modo al concetto di “cultura”, ma radicalmente diverse tra loro: per esempio, rientra nel perimetro incerto non soltanto la categoria dei “videogame”, ma tutta quella del “software”… rientrano nell’ambito della “cultura” anche gli “studi di architettura”, e tanto altro ancora.

La “cultura” – come è stato ironicamente commentato in occasione della presentazione – finisce per divenire quasi un… “prezzemolo”. Se è pur vero che – in senso lato – permea parte significativa delle attività umane, credo si debba imporre un limite alla sua “pervasività” in questo tipo di analisi, e si dovrebbe ragionare in termini di studi più focalizzati sulla “cultura cultura”, accantonando le valutazioni delle cosiddette “embedded creatives”, ovvero le professioni culturali e creative che operano al di fuori del cosiddetto perimetro “core cultura”. Altrimenti – come suol dirsi – si mischiano mele e pere, come è emerso dalla pur bella presentazione (efficace dal punto di vista infografico) di Alessandro Rinaldi, Vice Direttore Generale del Centro Studi “Guglielmo Tagliacarne”. La questione essenziale non è la dimensione delle cifre, ma la loro affidabilità come strumento di “policy” e la loro interpretazione critica.

Un altro limite del rapporto è l’enfasi sull’equazione ideologica “cultura = bellezza = ricchezza”, con una esaltazione acritica e celebrativa del “made in Italy” tout-court. Leggendo il rapporto, emerge l’impressione che tutto vada per il meglio, con una sorta di autocompiacimento sulle sorti magnifiche e progressive dei vari settori (un cenno critico c’è soltanto su editoria libraria e giornalistica).

Curiosamente l’edizione 2025 dello studio ha come sottotitolo “L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, ma non si comprende bene a quale “crisi” si riferisca, dato che nelle 280 pagine del rapporto la parola “crisi” emerge con assai pochi risultati, e peraltro non riferiti alle industrie culturali e creative. Quel che Symbola definisce “il Sistema Produttivo Culturale e Creativo” avrebbe registrato nel 2024 una crescita del 2 %, ed addirittura del 19 % rispetto al 2021.

Tutto sembra andare a gonfie vele, insomma, e mancano soltanto la premier Giorgia Meloni, il ministro della Cultura Alessandro Giuli e il presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone a benedire il successo dell’operato del governo a guida Fratelli d’Italia (da notare che nessun esponente politico è stato coinvolto nella presentazione dello studio).

In verità, tanti e variegati sono i segnali di crisi ed emerge l’asimmetria tra “narrazione” e “realtà”: basti pensare al calo di occupazione nel settore cinematografico e audiovisivo, basti pensare ai cinema, alle librerie, alle edicole che vanno morendo. Per non dire delle conseguenze terribili che sta producendo anche in Italia la diffusione dell’Intelligenza Artificiale anche nell’ambito dell’occupazione culturale (giornalisti inclusi).

Trovo nelle chiavi di lettura dei tanti contributori al rapporto una sorta di ostinata positività d’approccio, un volontarismo (interpretativo) così intenso che vede soltanto le luci, ignorando le ombre.

Insomma, quello stesso “ottimismo della volontà” che ha caratterizzato patologicamente, nel corso degli anni, l’operato della sottosegretaria delegata al cinema, all’audiovisivo, alle industrie culturali e creative (appunto), la senatrice leghista Lucia Borgonzoni, che fino a pochi giorni fa decantava le lodi del settore “cinema” italico e la bontà della sua riforma della “Legge Franceschini” del 2016 e che improvvisamente (inaspettatamente, sorprendentemente…) giovedì 20 novembre ha dichiarato che quella norma che regola l’intervento dello Stato nel settore va cestinata, e che dal 2026 ci sarà una nuova (non meglio identificata) legge. Sconcertante “u-turn”.

Il problema di fondo è sempre lo stesso: nonostante gli apprezzabili sforzi di Symbola (pur viziati di pervicace ottimismo) e degli altri soggetti che contribuiscono ad analizzare il sistema culturale italiano (da Federculture a Civita, che – con i loro rispettivi rapporti annuali, giunti nel 2025 rispettivamente all’edizione n° 21 e 16 – pure offrono approcci meno acritici), il sistema culturale italiano non dispone ancora di una strumentazione cognitiva e tecnica adeguata al suo buon governo.

Durante la presentazione del rapporto Symbola, è emerso come la finanza e in generale gli investitori esterni al settore procedano con grande prudenza, proprio perché sono deficitari studi seri sulle ricadute dell’intervento (pubblico e privato), mancano valutazioni di impatto accurate, non esiste ancora un “sistema informativo” che consenta di disporre di dati certi ed affidabili sull’economia delle industrie culturali e creative.

Giocando sui “moltiplicatori” (per il settore cinema e audiovisivo, Cassa Depositi e Prestiti - Cdp si è inventata addirittura un “x 3,54” euro per ogni 1 euro investito…), si alimenta alla grande la retorica del “soft power” nazionale, ma, in assenza di dati attendibili e di analisi approfondite, diviene impossibile anche soltanto ipotizzare una “strategia Paese”.

Basti pensare a come è debolmente stimolata la promozione internazionale del nostro cinema e della nostra cultura: l’Italia non ha un’agenzia specializzata per l’export culturale. Basti pensare a come sono stati gestiti i fondi del Pnnr destinati alla cultura attraverso i 155 milioni di euro assegnati ai bandi “Transizione Organismi Culturali e Creativi”, alias “Tocc”.

Mancano dati, mancano analisi, manca trasparenza, manca strategia.

E si continua a operare con questo deficit di conoscenza e questa diffusa opacità. Una riprova recente: giovedì 20, il Ministro Giuli e la Sottosegretaria Borgonzoni hanno presentato un nuovo bando, “Cultura Cresce”, che attinge altri 150 milioni di euro per le imprese culturali e creative del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia), nell’ambito del “Programma Nazionale Cultura 2021-2027”. Il bando “Cultura Cresce” segue in qualche modo la falsariga del precedente “Tocc”.

Nessuno – a parte chi scrive – ha denunciato che, dei circa 2.000 progetti sostenuti dal Ministero della Cultura (attraverso Invitalia) con il bando “Tocc”, non si dispone di informazioni pubbliche: sono state sì rese note le graduatorie dei vincitori, ma indicando soltanto il nome del beneficiario del contributo, l’entità della sovvenzione, la sede legale dell’impresa. Non è pubblico, non dico una sinossi del progetto (si chiederebbe troppo…), ma nemmeno il titolo dell’iniziativa. Cosa hanno prodotto realmente quei 2mila progetti? Non è dato sapere. Ciò basti.

Così si (mal) governa in Italia l’intervento pubblico a favore della cultura.

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Rapporto Symbola “Io Sono Cultura”. Tra retorica della bellezza e debolezza metodologica - Angelo Zaccone | HuffPost

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