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“Ritorno al Territorio. Neopopolare per Rigenerare” è il titolo che Fondazione Symbola ha scelto per la XII edizione del Festival della Soft Economy tenuta a Treia dall’11 al 13 ottobre scorsi. Lo ha fatto “per renderla concreta e imporla nel discorso pubblico e nell’agenda della politica” come ha presentato e argomentato il suo Segretario Generale Fabio Renzi nella relazione introduttiva ai lavori. “Neopopolare – ha proseguito – è la condizione preliminare e necessaria per Rigenerare territori che possono e devono diventare protagonisti di un grande ed ambizioso programma centrato sull’economia circolare a partire dalle filiere della bioeconomia”.

Prima ancora di partecipare allo spazio di confronto aperto da Fondazione Symbola insieme a UNCEM e al Progetto Italiane, va sottolineato il coraggio inedito che questa scelta (gesto, manifesto, istanza e proposta tutto insieme) impone ora a coloro che attendono, invocano o producono il futuro dei territori interni.

Dico coraggio perché si sottace troppo spesso e non inconsapevolmente quanto divisiva e controintuitiva sia, malgrado tutto, la parola neopopolamento. Se l’obiettivo di rigenerare è accolto senza controdeduzioni pubbliche di rilievo, dirlo neopopolamento trova ancora reazioni di un certo rilievo politico e in genere le preveniamo evitando di affrontare così decisamente il tema o aggirandolo con maldestre mistificazioni lessicali.

Anche nel dibattito accademico, distanti da orde preoccupate dalla sostituzione etnica delle montagne, le cautele della nostra proposta vengono in genere dalla contraria intuitività che dovremo fronteggiare senza apparire pregiudizialmente folli o poeti. Non basterà, nemmeno di fronte agli statistici, riferirsi al dato demografico che ha visto nel 2023 la popolazione complessiva delle montagne italiane in lieve crescita. Lo ha opportunamente riferito all’inizio del dibattito di Treia l’economista Giampiero Lupatelli.

Ora che Fondazione Symbola ha preso e dato parola al neopopolamento senza queste riserve, consentendo anche a noi invitati a Treia di farne conversazione e progetto, siamo tutti legittimati – o meglio ancora attesi – ad aggredire esplicitamente la questione, non senza incorrere da qui in poi – sia chiaro – negli stessi rischi. Approfitto subito allora di queste pagine giocando con dieci parole che possono contribuire a individuarne una strategia realizzativa.

La prima è POSSIBILITA’. Il Neopopolamento è possibile.

Il primo grande merito di Treia 2024 è stato di porre gli obiettivi e gli strumenti del neopopolamento nell’area del possibile, liberandoli dalla polarizzazione paralizzante dei territori fra dilemma e sogno. Non v’è dubbio, infatti, come proponevo in premessa, che dire neopopolamento porta una parte dell’agone a brandire il pericolo dello snaturamento delle montagne (il dilemma) e l’altra a neutralizzarne la credibilità attribuendolo all’utopia o all’ingenuità (il sogno).

Non a caso la parola “possibilità” è stata ripresa nel dibattito da Marcella Cipriani, vicepresidente della cooperativa di comunità Fanesia, perché gli artefici di questa forma ancora nuova di cooperazione sono fra i testimoni più interessanti di un fare possibile. La cooperatrice e il cooperatore comunitari sono notizia proprio quando il loro fare supera l’attesa delle loro ragioni. Fu così per la prima cooperativa della storia moderna a Rochdale. Per la sua costituzione i primi tre soci fondatori, di fronte al rifiuto dei grossisti di vendere loro la merce per consentirne l’accesso agli operai senza speculazioni di filiera, camminarono per 25 chilometri, spingendo una carriola, fino a trovare dove approvvigionarsi. Occorre che il neopopolamento sia un fare visibile e intraprendente.

La seconda parola è COMPETENZA. Volendola qui diffusa e partecipabile la tradurremo con perdonabile approssimazione in CAPACITÀ. Il neopopolamento possibile esige capacitazione diffusa.

Non basterà l’attesa fra le montagne di nuovi residenti in fuga da metropoli o altre aree senza pace della terra. Attratti da ciò che le aree interne offrono in superficie a chi guarda anche da solo e per sé. Non basta perché, anche qui, “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Non ci interessa il banale richiamo aforistico al passo di Antoine Saint- Exupery dal suo e noto “Il Piccolo Principe”, ma tutto il dialogo sull’addomesticamento che introduce fra il protagonista e la volpe. Rileggiamolo tutto e tutti. Troveremo una descrizione più che realistica del processo di attesa e relazione necessario fra la montagna e chi la cerca. Il darsi la possibilità di una casa che ti riconosce e puoi riconoscere a occhi chiusi Più che destinazioni, le persone si mettono in viaggio cercando provenienze.

Non basta quindi la quantità di persone e una relazione anonima fra queste, nuovi residenti e territori di residenza. La quantità – insegnava Osvaldo Piacentini – è condizione necessaria ma non sufficiente. Occorrono corpi di qualità, non perché più buoni o volenterosi, ma perché più consapevoli e capaci. Non è sufficiente che in tanti tornino a stare sui territori con il loro interesse o la funzione loro propria, addendi di una somma. Occorre che li abitino e occorre che la loro abitanza sia efficace nell’ottenerne fatti percepibili nell’individualità: per le persone un distintivo benessere; per le imprese un’originale competitività e per la pubblica amministrazione uno sviluppo equo e visibile dei rispettivi territori. Se fosse matematica l’immagine sarebbe quella di fattori per un prodotto, ove già possibile accelerato in potenza con rigorose e certe esponenzialità. Il neopolamento possibile è fattoriale. Non c’è tempo. Il tempo sulle spalle dei soli e pochi abitanti ora è faticoso, debito, fallimento annunciato. Occorre fattorialità matematica di un certo numero di abitanti messa politicamente a potenza.

Dobbiamo tornare a studiare e imparare i modelli speciali di vita, impresa e amministrazione che è necessario e maggiormente efficace applicare sui territori interni. Usare qui ciò che funziona altrove, magari più approssimativamente e grazie a managerialità metropolitane replicate per inerzia, generosità o pensionamento da altro non li garantiscono. “Fare di necessità virtù” cambia qui il suo segno dal consolatorio, come ci siamo adagiati a pensare, all’antifragilità.  Non approfondirò qui oltre alla sua introduzione il concetto di antifragilità ma lo legherò, per argomentarne la possibilità e l’efficacia, a quello di implicazione. Non v’è competenza che possa contribuire sui territori interni a risolvere in opportunità innovativa una fragilità o uno stress se non implicandosi pienamente al contesto e alla scena dei fatti.  La terza parola quindi, di mezzo, per il neopopolamento possibile è IMPLICAZIONE. La introduco non senza una critica al termine “impatto” che, privo di questa condizione, mi pare oltremodo insidioso. Dobbiamo essere disponibili a considerare l’impatto solo dei soggetti qualificati per implicazione. Sui territori non sono sufficienti e potrebbero addirittura fuorviare attività e risultati quantificabili, occorrono soggettività qualificabili. Casi-fenomeno di mountainwashing o communitywashing sono già fra noi.

Specifico ulteriormente i campi dell’implicazione indicandola come necessariamente biografica (producendo rappresentazione), di intessitura sociale (producendo relazioni e le rispettive gratitudini), ambientali e paesaggistiche (producendo bellezza, fruibilità, comunanze visibili) ed economiche (non potendo prescindere da scambi sul posto).

È interessante stare con più pazienza, osservazione e studio su questo snodo e sui processi di engagement che innesca e alimenta. La valutazione e gli indicatori di politiche e strumenti finanziari trovano su output e, per i più sofisticati, outcome loro piena soddisfazione quando invece è nel come, nel prima e nel dentro che possiamo valutare la qualità del corpo e la sua affidabilità. Dare fiducia è più importante che chiedere conto e indica bene peraltro la necessità di un’anticipazione della relazione di sostegno che diventa così compartecipazione (shareholder). Nessuna terzietà è possibile in chi, con chi li abita – persone e imprese -, dichiara di sostenere lo sviluppo delle aree interne e il suo neopopolamento. I territori non hanno bisogno di aiutanti ma di abitanti, anche di quelli distanti o non presenti fisicamente sul posto. Anche delle parti interessate che di mestiere fanno altro.

La quarta parola è TRASFORMAZIONE. Il neopopolamento possibile sarà solo trasformativo.

Chi si attende che questa parola porti immediatamente una verticalizzazione tecnica deve ap-portare pazienza. Per inciso. Che la pazienza sia valore e vada ap-portata ai processi di sviluppo territoriale è un passaggio a dire il vero incidentale ma con questa didascalia vorrei farne la quinta parola: PAZIENZA. Il neopopolamento possibile deve essere paziente. “La fedeltà, i legami e i vincoli sono prassi impegnative. Il degrado delle architetture temporali stabilizzanti, alle quali appartengono anche i riti, rende instabile la vita. Per stabilizzarla c’è bisogno di un’altra politica temporale. Tra le prassi impegnative c’è anche l’indugiare.” Questo estratto da “Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale.” di Byung-Chulhan consente applicazioni dense al nostro caso e ci ricorda la natura istituente dei processi di neopopolamento.

La prima argomentazione sulla parola “trasformazione” è bene che sia di ordine culturale. Il territorio non è vuoto, non lo è mai stato, ma è sempre più difficile riconoscerne il paesaggio umano. È per questo che Cesare Zavattini nella pur sua Luzzara portava con sé il fotografo più bravo che conoscesse al tempo – Paul Strand – e lui, proprio perché era bravo, “si dimenticava la macchina fotografica a obiettivo aperto, anche di notte”, anche in strada, a lasciare che fosse la quotidianità a entrarci dentro senza pose. Traiamo così liberamente dalla loro opera “Un paese”, edita da Einaudi nel 1955 e ancora nel 2021. Per lo stesso motivo, Raffaele Crovi nel suo “Le parole del padre” (Marsilio, 1999) ci parla di fragranza del paese e del territorio e pare così anticipare, con una rappresentazione piena e viva il patrimonio territoriale descritto poi da Giacomo Beccattini nel suo “La coscienza dei luoghi” (Donzelli, 2015). Quale immagine più piena potremmo dare di un luogo che non la sua “fragranza”? E quale “impaesamento” (ancora di Zavattiniana memoria) è necessario per poterla assaporare e farne relazione?

Per un progetto di neopopolamento va intuita, colta e considerata questa pienezza. Fino a un tempo non troppo distante da noi, e ancora presente di per sé un po’ ovunque, il territorio era pieno della sua tradizione resistente d’uso, lingua, delle sue date abitudini. Resistente anche del suo lutto e nella sua fatica. A parte qualche fuorilegia narrazione di scontri e fughe dall’interno patriarcale che in letteratura potremmo ritrovare, il conflitto era tra nativi permanenti e foresti d’avventura o di riparo. Il film (documento) “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti è solo del 2005 e non va dimenticato. Al popolamento si resisteva, anche con violenza, sulla linea di quella tradizione ed oggi potremmo definire pull-back (tirare indietro) quel modo di stare vivi e stare al mondo oppure, nei casi più innovativi, pull-in (tirare dentro).

Oggi alle strategie per il neopopolamento e ai corpi che le vogliono intraprendere (persone, imprese e amministrazioni pubbliche) si presenta un contesto molto più interessante, perché il confronto è interno e non riguarda più in buona parte la provenienza e la biografia dei suoi protagonisti. Che siano nativi o alieni, ritornanti o permanenti, la soglia è fra resistenti e trasformatori. INNOVAZIONE è la parola ricompresa qui e il presidente di UNCEM Piemonte Roberto Colombero l’ha ripresa nel dibattito di Treia ponendola dove effettivamente non può mancare, nell’azione educativa dei più giovani nati o che si ritrovano fra le montagne.

È messo in discussione quindi anche il riferimento a una presunta condizione esogena o endogena dello sviluppo delle aree interne. Non può che essere da dentro perché portato da coloro che, stando o non stando sul territorio, di qualsiasi provenienza o cultura, sono interessati ad abitarlo o già si siano sperimentati a farlo crescendone consapevolezza. Hanno partecipato un reciproco addomesticamento, con pazienza, nell’impaesamento, legittimandosi alla trasformazione. Il neopopolamento sarà quindi necessariamente push-out (spingere fuori) o spill-over (di traboccamento da dentro, di salto di specie, di contaminazione interna).

Possiamo ora sottolineare nuovamente la forza del titolo ben im-posto da Symbola con UNCEM e Progetto Italiae introducendo una critica che in realtà vuole provocarlo per una più alta ambizione. Se diciamo neo-popolamento invece di ri-popolamento, allora dobbiamo dire generazione e non ri-generazione. Occorre una nascita nuova e consapevole dei territori: altra, intenzionale, scardinante, dirompente, gioiosa.

La sesta parola è VOLGARIZZAZIONE. Il neopopolamento possibile la esige così come riportata dall’etimo autentico. Lo traiamo dal Vocabolario Treccani.

Volgariżżare v. tr. [der. di volgare1]. – 1. Esporre problemi di scienza e cultura specialistica in forma facile e piana, in modo da renderli accessibili a larghi strati di persone prive di una preparazione specifica.

Mi riferisco proprio a questo e posso azzardare su questa sollecitazione fino a dirla DEMOCRATIZZAZIONE. Siamo grandi teorici, siamo visionari eccellenti. Conoscitori di storia e futuro ma non necessariamente disponibili al presente. Non siamo buoni divulgatori. Non sempre buoni compagni di viaggio dei territori.

Per ogni azione di analisi, progetto, sperimentazione, modellizzazione, pur con i tratti e i caratteri che le parole fino a qui hanno suggerito, è necessaria un’analoga e forse addirittura preponderante perme-azione degli stessi nell’universo del contesto territoriale che dobbiamo adottare. Le nostre azioni sono raffinate nella coprogettazione e nel pretendere (facendone anche preventiva selettività di coinvolgimento) rigorose metodiche partecipative; più difficilmente affrontano la questione del coinvolgimento del protagonista nell’azione che pretende di procedere. Più che medici di iniziativa e prossimità, quelli che ci attendavamo dalla specializzazione e integrazione dei buoni vecchi medici di famiglia, siamo perlopiù diventati ospedalieri: anamnesi, diagnosi e terapia seguiti da una definitiva e deresponsabilizzante lettera di dimissione. È chi la scrive il dimesso, in tutti i sensi. Non vorrei essere frainteso rispetto alla determinazione e alla tempestività che richiediamo alle azioni trasformative che volgono al neopopolamento per non incorrere in un’ingenua contraddizione interna. Lo preciso perché l’ingenuità che rischio io qui è insidia presente anche sui territori e in chi ne governa i processi. La decisività delle azioni di sviluppo che devono procedere prescrittivamente non può essere in discussione. Non possiamo essere preda delle inerzie spesso conservative dei territori. Non esonera però da azioni ugualmente determinate di advocacy e tenace propositività all’universo locale e agli interessi rappresentati. Ciò che misuriamo, peraltro, nelle aree interne in termini di effettivo impatto della spesa pubblica straordinaria sullo sviluppo territoriale e di tendenze elettorali è di chiara evidenza e si può riferire anche a questo debito di permeazione.

Luca Santilli, sindaco di Gagliano Aterno, nel portare la sua esperienza, ha introdotto la parola UTILITÀ e ne voglio fare, proprio a questo riguardo, la settima parola. Il neopopolamento possibile deve provarsi in applicazioni di utilità percepita dalla popolazione presente, nuova e ritornante dei territori perché le nostre azioni devono comprendere tutto il corpo di chi abbiamo di fronte dando percezioni palpabili e contemporanee di pertinenza a tre punti del corpo che abbiamo di fronte: tasca, testa e cuore.

Le comunità dei trasformatori hanno così tanti e alti richiami di gratificazione esterna ai territori che rischiano di non cercarne abbastanza e con pari fatica e intensità al loro interno. Respirare fuori e in rete con altre progettualità affini è necessario alla loro restanza ma cresce l’insidia di una meta-comunità sovrastrutturale e autoreferente.

Permeare i territori nell’attesa di neocomunità abitanti di adozione è rilevante anche per prevenire fenomeni di gentrificazione agite da élite culturali o di censo che già vediamo comparire. Silver economy, punk economy, ecovillaggi radicali o glamour, borghi fashion, rural project finance, rural guest farmhouse, rural factory, rural intellectual communities. Da neopopolamento a neocolonialismo il passo è molto breve.

L’ottava parola è GENERAZIONE. Il neopopolamento possibile non può che essere giovane e riguardare anche le più giovani generazioni.

Sono distante, per età e cultura, da facili giovanilismi e non si è necessariamente green e innovativi per l’età che temporaneamente e senza particolari meriti è certificata all’anagrafe. Avendo citato proverbi ugualmente noti ma certamente più nobili non vorrei deludere quasi al termine di questo articolo citandone uno volgare – appunto -. Occorre che il neopopolamento possibile sia “giovane dentro”. L’ho fatto. Non si può dire giovane chi non aspira a nascere, al sé, al superamento di ciò che era, all’esplorazione, alla meraviglia, all’apprendimento, alla conoscenza delle cose, all’innamoramento, all’andare fuori. Al conoscere il mondo a modo suo anche correndo il rischio di qualche contaminazione. Molti giovani d’età, e non solo delle aree interne, non manifestano questi vizi e non ne peccano abbastanza. È l’invecchiamento precoce che le terapie indotte dal geronto, quotidianamente preoccupato del loro arrivo, procurano alle nuove generazioni. Ne ritardano i travolgimenti che subirebbe precocemente, a suo dire, perché vive troppo a lungo e senza altre significative distrazioni che non la gestione del suo potere.

Distraiamoci nel gioco più interessante secondo l’insegnamento dell’artista Maria Lai, la “bambina che gioca”. Consentire ai giovani di indicarci snodi decisivi per il neopopolamento possibile. I giovani che devono arrivare insieme ai giovani che dobbiamo scoprire. Aprirsi e stare al mondo. Intercettare flussi, farsene attraversare. Andare e venire fuori. Mobilità nel terzo tempo oltre quello comandato per la scuola. Connettività. Intrattenimento, divertimento e cultura. Partecipazione ai flussi sociali, di comunicazione e culturali globali. Quanto sono distanti la biblioteca comunale o il bar o la piazza pubblica sotto casa o il bosco e i suoi metati dal mondo fuori e quanto siamo disponibili a renderli parte e attraversabili, da informazioni e da persone? Quanto siamo disponibili a consegnare, iniziare all’adultità aprendo i processi decisionali per fatti veri e pubblici, per l’allestimento dei luoghi, a costo di rinominarne le piazze e le strade per nuove toponimie riconoscibili da chi ci deve stare e non solamente da chi ci muore? L’opera di cancellazione di ciò che era detto con mattoncini costruttivi di ciò che può essere detto nuovamente che Emilio Isgrò propone mi pare una buona indicazione per dare possibilità al neopopolamento. Identità e gonfalone saranno nel progetto/patto e nel disegno – anche nei colori – che sta di fronte alle neocomunità, non alle loro spalle.

La nona parola è CITTA’. Il neopopolamento possibile sarà urbano e d’urbe (a Treia come in tutte le Marche è facile dirlo anche così).

In Italia, ogni area interna ha generato una città alla sua periferia o a valle. Me l’ha insegnato un giorno lo stesso Fabio Renzi. Serviva una città alla continuità delle montagne e serve oggi una montagna alla sopravvivenza delle città. Ho già svelato così il finale della parola che ho proposto. Il neopopolamento esige nuove geografie, alzare lo sguardo per allargarlo. Solo così le aree interne potranno consentirsi un disegno urbano. Se da generare abbiamo un paese, guardiamolo insieme al suo paesaggio; se abbiamo un crinale o un passo, consideriamone le vallate da un lato e dall’altro; se un comune amministrato sarà per tutto il suo distretto; meglio un’intera montagna con i suoi crinali e le sue città in basso, compatendo e accogliendo insieme il bisogno di urbanità per il benessere e l’inclusione delle persone che intendono o devono abitarle. Non c’è disegno urbano e infrastrutturale credibile per le città italiane che possa escludere o non considerare il territorio delle sue aree interne fino a quelle delle sue montagne. Anche viceversa. Un disegno urbano comune per territori metropolitani estesi è forse il più interessante e innovativo disegno infrastrutturale che il nostro paese potrebbe introdurre per investimenti di generatività economica, sociale e politica sperimentali in tutta Europa. Il decentramento e la mobilità come termine di efficienza e attrattività dei territori è la nuova soglia dell’innovazione.

La nona, con tutte le precedenti, mi assiste evidentemente per introdurre l’ultima parola, la decima. 10.COOPERAZIONE. Se fattoriale (il suo prodotto con tutti i numeri che lo precedono dall’1) questo 10 produrrà per 3.628.800. Il neopopolamento possibile non può che essere di cooperazione fattoriale. Facciamone fatto, perché sia anche ragione capace, pubblica e diffusa.

ABSTRACT

“Ritorno al Territorio. Neopopolare per Rigenerare” is the title chosen by Fondazione Symbola for the XII edition of the Soft Economy Festival, held in Treia from October 11 to 13. This choice was made “to make it tangible and to bring it into the public discourse and the political agenda,” as explained by its Secretary-General Fabio Renzi in his opening remarks. “Neopopular,” he continued, “is the preliminary and necessary condition to regenerate territories that can and should become key players in an ambitious program centered on the circular economy, starting with the bioeconomy supply chains.” Now that Fondazione Symbola has publicly embraced and articulated the concept of repopulating rural areas without reservation, allowing us as guests at Treia to discuss and envision it as a project, we are all empowered—or even expected—to address this issue openly, accepting from now on, it should be noted, the same risks involved. Giovanni Teneggi immediately seizes the opportunity in these pages, playing with ten words that could help outline a practical strategy.

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Ritorno al territorio. Neopopolare per Generare | AgCult

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