La sfida che abbiamo di fronte è di natura epocale. Culturale, prima di tutto. E coinvolge per questo l'intera società: la politica, l'economia, le persone. Si tratta di definire un nuovo paradigma di pensiero che condizioni produzione e consumo. E che sappia incidere in profondità nei comportamenti di ciascuno di noi. Parliamo di futuro. Della nostra capacità di interpretarlo e prepararlo, di consegnarlo ai più giovani come loro lo vorrebbero rendendolo più accogliente. Una questione di coscienza e di responsabilità, certo, ma con risvolti non trascurabili di praticità: continuare a consumare più risorse di quante se ne generino non è sostenibile. E di sostenibilità dobbiamo parlare con accenti nuovi rispetto al passato. Non una moda, una formula magica per renderci simpatici, una medaglia da appuntarci sul petto per strappare qualche elogio, ma un modo di pensare e di agire che trasformi in modo radicale il nostro modo di intendere la vita nelle sue tante forme. Compresa e non ultima quella che riguarda il mondo delle imprese che in Italia ha intrapreso da tempo e con grande impegno il percorso del cambiamento. Basti pensare che nel campo dell'economia circolare siamo già i primi d'Europa e che possiamo vantare il primato della sostenibilità in agricoltura. Non a caso Confindustria si è dotata di un decalogo sulla responsabilità sociale d'impresa che per noi diventa l'essenza stessa del fare impresa: che o è responsabile e sostenibile o semplicemente non è.