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Redazione

Nello stemma della Regione campeggia contornato dalle otto torri di Castel del Monte una sorta di monumento-cabala: un albero d’ulivo. Simbolo di pace di perseveranza, l’albero della luce che i mediterranei consideravano sacro agli albori della civiltà perché è insieme medicamento, energia e nutrimento. Ma è anche l’elemento agricolo-paesistico unificante di questa infinita striscia di terra montuosa – e in Italia è un’eccezione – che si stende per quasi 400 chilometri da Poggio Imperiale a Santa Maria di Leuca il finisterre d’Italia! Sono 850 chilometri di coste dacché la Puglia è abbracciata da due mari che definiscono una terra plurale e plurima. Tant’è che se ne voleva fare due regioni: la Puglia e il Salento e così doveva essere sennonché gli interessi baresi prevalsero sull’idea di fare di Lecce un altro capoluogo. Resta il dato geografico però e quello antropico con pluralità di dialetti che si traducono anche in vocazioni agricole differenti e in inflessioni gastronomiche varie. L’elemento che tutto tiene (teneva?) insieme è l’ulivo che per centinaia di chilometri segna l’orizzonte occidentale della Capitanata, del Salento, della Murgia.

Ed ecco che l’“epidemia” di xilella che ha decimato gli ulivi prima salentini e poi è risalita su fino a lambire Andria, non solo è un enorme danno economico, ma prima di tutto è un’offesa all’identità di queste terre che non a caso fino a metà del ‘900 si designavano come Puglie per descriverne la complessità territoriale. È senza dubbio questa la regione giardino d’Italia quella dove l’agricoltura, che pure ha mutato nell’ultimo mezzo secolo profondamente il suo profilo sia sociale che economico, resta uno dei pilastri dello sviluppo. Sol che si consideri che qui si producono la metà dei pomodori italiani, che circa il 60% dell’oli extravergine di oliva veniva (prima della xilella) da queste olivete, che qui si produce quasi un terzo del grano duro, che il 60% dell’uva da tavola prodotta in Italia è pugliese, il che assicura con circa un milione di tonnellate (è il totale della produzione nazionale di fatto spartita tra il tavoliere, la Sicilia e la Basilicata) all’Italia il primato europeo, che con 500 mila quintali qui c’è la leadership nazionale di produzione di ciliegie con una cultivar, la Ferrovia, che è diventata un must internazionale. I primati agricoli di questa immensa pianura (il Tavoliere misura 3mila chilometri quadrati è la più estesa pianura d’Italia dopo la Padana, solo che questa è racchiusa in una sola regione) che rappresenta il 53% dell’intera superfice regionale sono tanti e in parte sorprende che i prodotti a certificazione europea siano relativamente pochi. Così come va considerato che a fronte di una così estesa superfice coltivata vi sia una forte concentrazione di popolazione nei centri urbani. Solo 88 piccoli comuni in una così vasta estensione. Ma la ragione c’è ed ancora una volta agricola. In Puglia il latifondo era estesissimo, l’eredità sono le masserie diventate oggi attrattori turistici di altissimo valore e che hanno, soprattutto in Salento e in parte nella murgia tarantina, affiancato l’attività ricettiva a quella agricola.

I contadini pugliesi erano quasi tutti braccianti e solo la riforma agraria del 1950 modificò in parte l’assetto delle campagne pugliesi anche se oggi di quella riforma si misurano effetti anche negativi con l’abbandono, soprattutto tra Gargano e Capitanata, di molti manufatti rurali. E come braccianti erano “pendolari” del campo: andavano al lavoro all’alba e rientravano in paese al tramonto. Se così non fosse stato, se non ci fosse stato il latifondo, forse oggi non avremmo il grano Senatore Cappelli che marca la distintività di qualità del frumento duro nazionale. Nazzareno Strampelli – il grande genetista – creò quel grano, peraltro l’unico da lui prodotto, per selezione massale e non per ibridazione all’istituto di cerealicoltura di Foggia usando i terreni che gli aveva messo a disposizione il senatore abruzzese Raffaele Cappelli che con il fratello Antonio alla fine dell’800 aveva avviato la trasformazione agraria nella Puglia del nord. La mancanza di attività mezzadrile spiega oggi che la Puglia, ad esempio, non abbia salumi certificati DOP nonostante una produzione di altissimo pregio (la soppressata a e la salsiccia dell’Appenino Dauno, il Capocollo di Martina Franca, il prosciutto di Faeto, per dirne alcuni) e abbia invece spinto molto sulla richiesta per i latticini e i formaggi: dalla mozzarella DOP di Gioia del Colle che è prodotta nell’altopiano della Murgia, al canestrato, dalla burrata di Andria al Pecorino di Maglie e poi ancora la giuncata, la ricotta marzotica leccese, la scamorza di pecora (che è un PAT ma in attesa di certificazione) che è una delle pochissime paste filate da latte ovino.

La Puglia produce anche mozzarella e ricotta di bufala campana e caciocavallo silano. Particolare attenzione va data agli oli extravergine. Praticamente ogni porzione del territorio regionale ha prodotto una sua DOP differenziando le cultivar. Ci sono così il Dauno (le cultivar sono Peranzana o Provenzale, Coratina, Ogliarola Garganica e Rotondella) che ha diverse sottozone di coltivazione; il Collina di Brindisi (Ogliarola salentina, Cellina di Nardò, Coratina, Frantoio, Leccino e Piccoline come cultivar) ed è prodotto tra Carovigno, Ceglie Messapica, Cisternino, Fasano, Ostuni, S. Michele Salentino, S. Vito dei Normanni, Villa Castelli; il Terre d’Otranto (Cellina di Nardò e Ogliarola) con areale produzione tra Lecce Brindisi e parte del tarantino; il Terre di Bari (Coratina, Cima di Bitonto o Ogliarola Barese e Cima di Mola) con produzione nelle province di Barie Barletta e il Terre Tarentine (Frantoio, Coratina, Leccino e Ogliarola) che viene prodotto nel versante occidentale della provincia di Taranto. Perfetti questi extravergine per fare una bruschetta col pane di Altamura DOP o condire una lenticchia sempre di Altamura o un carciofo brindisino che si fregiano dell’IGP come le clementine del golfo di Taranto e l’Uva di Puglia mentre la DOP è riservata alla Bella della Daunia che, manco a dirlo, è una straordinaria oliva.

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