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Estratto del capitolo "2021/2022: le nuove rivoluzioni della comunicazione" di Io sono Cultura.

Che anno è stato il 2021 per la comunicazione? Una fase di passaggio, tra un timido riaffacciarsi di alcune abitudini e attività congelate dai lockdown e la possibilità di sfruttare le piccole rivoluzioni conquistate in precedenza, per spingersi oltre e sperimentare ancora. Abbiamo ripreso a uscire e incontrare persone, ma abbiamo comunque speso molto tempo online alla ricerca di contenuti ormai considerati scontati, come gli eventi dal vivo da seguire anche in diretta streaming. L’investimento continuo sul coinvolgimento delle persone attraverso lo storytelling, la cura e l’attenzione verso la community, la sperimentazione della multicanalità, l’ascesa dei professionisti della content creation e i primi passi mossi nel Metaverso sono alcune delle strategie immaginate dalle aziende per rispondere alla crisi data dal prolungarsi della pandemia.  L’importanza della community è uno dei pilastri della comunicazione digitale: se nel 2020 la dimensione online ha ricoperto un ruolo essenziale in quanto luogo di incontro, nel 2021 questo spazio si è esteso, ponendo al centro gruppi di persone interessate a un determinato prodotto o servizio.

Ne è venuta fuori una ricerca costante di dialogo e interazione che ha assunto sfumature diverse: dal gioco alla possibilità di suscitare curiosità, domande e stupore. Quest’importanza si traduce innanzitutto nella valorizzazione di chi per un marchio ci lavora: è il caso di OPEM, azienda emiliana di packaging, che con il suo staff e il supporto di G&G studio, agenzia di comunicazione con sede a Napoli, ha sviluppato il progetto Open Puzzle Opem, vincitore del bando ‘Open Call - Imprese Creative Driven’ di Parma Capitale della Cultura. Si tratta di un puzzle di 143 tessere realizzato con tecniche artistiche diverse, una sorta di percorso corale e narrante della vita aziendale, in cui i dipendenti prendono voce scoprendo una dimensione intima e relazionale.

La ricerca di dialogo con il pubblico inizia a esplorare spazi diversi, a partire dalle piattaforme social più note. Un caso è l’app di messaggistica istantanea Telegram, con la diffusione di canali dedicati alla condivisione di notizie o il dietro le quinte e anticipazioni di prodotti e eventi, avvicinandosi così ai lettori e instaurando una tipologia comunicazione più diretta e informale – in crescita dal ‘post’ Covid: ne sono un esempio alcune case editrici indipendenti come Elèuthera (MI), nottetempo (MI) ed effequ (FI). Il settore dell’editoria sperimenta nuovi canali anche con le newsletter: l’agenzia di comunicazione torinese Dieci04 ha immaginato per Einaudi (TO) un approfondimento a puntate per scandire il conto alla rovescia per l’uscita di Dove sei, mondo bello, il nuovo romanzo di Sally Rooney. In ogni numero, oltre ad alimentare l’attesa con focus specifici su temi e personaggi, vi è una playlist per entrare nell’atmosfera del libro e degli spunti di discussione raccolti tra gli interventi della community social. Anche il settore della moda rinnova il proprio legame con il pubblico, ripensando al concetto di e-commerce: lo fa Gucci con Vault, un contenitore digitale nato dalla fantasia del designer Alessandro Michele in cui si mescolano shopping, memoria, ricerca e racconto. Un portale-concept store articolato in diverse sezioni: tra selezioni di capi vintage e collaborazioni con brand emergenti, la casa di moda fiorentina ha scelto di inserire anche poesie, testi e altre ibridazioni creative, per arricchire la classica esperienza d’acquisto online. Prada si racconta con la campagna Feels Like Prada che conferisce alla classica fotografia un taglio performativo: l’idea, lanciata lo scorso ottobre durante la Fashion Week, ha reso protagonisti i packaging di alcuni famosi panifici che si sono rivestiti con i motivi della collezione autunno/inverno immaginata da Miuccia Prada e Raf Simons, in un viaggio partito da Milano per espandersi in contemporanea a Roma, Firenze fino a toccare altre capitali internazionali. I motivi della maison arrivano sugli oggetti quotidiani, come le confezioni del pane, diventando subito gadget di culto da non farsi scappare.

Continua a leggere il capitolo da p. 166 a 170 su Io Sono Cultura 2022, la ricerca realizzata con Unioncamere, Regione Marche, in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

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Con il diffondersi della pandemia la tv e il Paese sono cambiati in modo sincronizzato. Nel lockdown la curva degli ascoltatori ha seguito l’andamento del contagio e istituzioni e informazione hanno guadagnato un grande spazio. Mentre l’intrattenimento si è spostato in palinsesti paralleli su Instagram, la tv si è fatta più intima, acquisendo una nuova agilità produttiva. Grazie al servizio pubblico, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, è tornata a produrre contenuti formativi significativi.

Il lockdown ha colpito in modo devastante lo spettacolo dal vivo. In Italia, 2/3 dei diritti d’autore provengono da manifestazioni in pubblico, mentre solo 1/3 viene da servizi di comunicazione a distanza. I compensi derivanti dai servizi digitali sono sproporzionatamente bassi rispetto ai ricavi delle piattaforme di condivisione dei contenuti. Oltre all’impoverimento dei creativi, ciò provoca la riduzione della varietà e qualità dell’offerta culturale. Oltre agli indispensabili aiuti d’emergenza, servono interventi più strutturali e specifici.

L’editoria di territorio è una delle migliori risorse del sistema culturale italiano. Due i parametri per individuare questo tipo di editoria: le case editrici che rappresentano le identità locali materiali (patrimonio culturale e paesaggio) e immateriali (tradizioni popolari, sentimenti collettivi) mantenendo una vocazione globale; le case editrici che hanno costruito la propria solidità economica grazie ad una rete stabile di relazioni con i principali portatori di interesse del territorio, pur non avendo un catalogo costruito esclusivamente sulla rappresentazione e narrazione della terra di appartenenza.

Anche se oggi creiamo, consumiamo o consultiamo dati incessantemente, il loro utilizzo sistematico e strategico rimane un’eccezione di poche aziende “data-driven” nella filiera culturale e creativa. Nonostante i casi innovativi dimostrino l’utilità dei big data per una gestione più efficace delle organizzazioni culturali o per una migliore allocazione dei fondi pubblici.

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