Alex Langer, Realacci ricorda: “insegnò che la transizione ecologica deve essere desiderabile”
Dalla nascita delle liste Verdi al sostegno ai movimenti pacifisti. Il presidente onorario di Legambiente e presidente della fondazione Symbola Ermete Realacci ripercorre le battaglie portate avanti con Alex Langer
Il 3 luglio 1995 Alex Langer si toglieva la vita impiccandosi a un albero di albicocche a Pian dei Giullari, vicino Firenze. Un atto tragico, inaspettato, che pose fine a una vita ricca e generosa. E che privò la politica italiana di una delle sue menti più originali e brillanti. Qualcuno ipotizzò che non fosse un suicidio ma un complotto, di cui non c’era traccia. Senza risposta restano le ragioni del suo gesto, quali furono quei “pesi diventati insostenibili” alla base della sua decisione di andarsene “più disperato che mai”.
Alex attraversò quegli anni da protagonista. Fu direttore di Lotta Continua, contestatore del censimento etnico in Alto Adige, “costruttore di ponti”. La formazione cattolica influenzò il suo pensiero, arricchendo la sua maniera di interpretare l’impegno civile. Ricordo ancora le polemiche con il movimento femminista che accompagnarono le sue posizioni su fecondazione artificiale, manipolazione genetica, aborto.
Ci siamo incontrati nel processo che portò alla nascita delle liste Verdi, di cui fummo i garanti alla prima presentazione. Avevamo punti di vista simili. Tra i pacifisti criticavamo chi, ed erano maggioranza, considerava interlocutori privilegiati i movimenti pacifisti ufficiali dei Paesi dell’Est, emanazione dei regimi al potere. Legambiente sviluppò invece un lavoro di relazione con parti di Solidarnosc, gli ecopacifisti in Germania Est, Charta 77 in Cecoslovacchia. Per il credito che aveva, Alex fu fondamentale in questa operazione e a partire dalla metà degli ’80 entrò negli organismi dell’associazione.
Fu sul fronte della pace che si produsse per Alex la sconfitta più dolorosa. Con altri verdi europei, da Cohn-Bendit a Joschka Fischer, aveva maturato la convinzione che solo un intervento militare avrebbe potuto fermare l’aggressione serba in ex Jugoslavia. Il suo ultimo atto politico fu un appello siglato da vari europarlamentari: “L’Europa muore o rinasce a Sarajevo”. Rimasto inascoltato nonostante un incontro avuto con il presidente francese Chirac. Pochi giorni dopo la morte di Alex oltre 8mila bosniaci vennero massacrati a Srebrenica, mentre i caschi blu olandesi si voltarono dall’altra parte. Ho sempre sperato che gli italiani non avrebbero agito così.
A latere di un incontro del direttivo di Legambiente, Alex e Massimo Scalia produssero il documento più importante nel processo che portò alla presentazione elettorale dei Verdi. Punto fermo era la certezza che il pensiero ambientalista dovesse svilupparsi come autonomo: il verde non poteva passare nella “cruna dell’ago del rosso”, diceva Alex. Per lui (e me) la narrazione della “catastrofe incombente” non bastava a spingere al cambiamento perché “la transizione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”. È l’ispirazione su cui ha lavorato Legambiente e che anima l’azione di Symbola. Anche per questo non fu possibile raccogliere il suo invito a “non essere tristi” per la sua scomparsa, che ha reso più difficile “continuare in ciò che era giusto”. Ciao Alex.