Modelli di città. Come interagiscono arte e modelli urbanistici e altre storie
Negli ultimi dodici mesi, lo scenario politico-culturale italiano ha visto delinearsi nuovi assetti e strutturarsi alcune specificità locali. Dal livello nazionale a quello metropolitano, le pagine che seguono indagano pregi e difetti di variegate strategie volte a rendere efficace la penetrazione della cultura nel tessuto cittadino. Accanto a questa disamina verticale, rileviamo tre fenomeni tendenziali di spiccato interesse e diffusi sul territorio: quello delle “mostre multimediali”; quello dell’affiancamento dell’arte ai processi di sviluppo scientifico e tecnologico; quello dei grandi spazi pubblici temporaneamente (almeno in teoria) votati a ospitare appuntamenti espositivi.
Nel momento in cui scriviamo, sono ancora in corso le consultazioni dei leader politici con il Presidente della Repubblica, a seguito delle elezioni politiche del 4 marzo. In altre parole, dopo due mesi e mezzo l’Italia non ha ancora un esecutivo. Le ricadute sul Paese sono molteplici. Per quanto concerne il settore culturale e turistico, la questione principale non concerne meramente il nome del futuro inquilino del MiBACT, bensì il futuro della cosiddetta Riforma Franceschini. Al di là del contenzioso relativo alla liceità o meno della nomina di direttori “stranieri” a capo di poli museali come il Parco Archeologico di Paestum o il Palazzo Ducale di Mantova, la questione generale riguarda il completamento della riforma stessa. Se infatti, come abbiamo sottolineato nei Rapporti del 2016 e 2017, l’attivismo dell’ex ministro ha avuto il pregio di generare un atteggiamento simile nei confronti di realtà istituzionali più piccole, traducendosi in numerosi concorsi per figure apicali, d’altro canto la Riforma risulta ancora priva di elementi fondamentali per il suo stesso funzionamento. In collaborazione con il Ministero della Funzione Pubblica, il prossimo Ministero della Cultura dovrà porsi l’obiettivo di completare la riforma. Altrimenti quella dei cosiddetti ‘super direttori’ resta una retorica incompleta e ipocrita, il racconto di un’autonomia che non può essere tale se pone paletti inammissibili, come lo scarsissimo margine di manovra sul personale[2]. Si auspica quindi la prosecuzione di un afflato riformista assolutamente necessario al nostro comparto industriale, produttivo, creativo, affiancando a tutto questo un’attività di comunicazione seria, strategica, ben congegnata, pensata per raccontare la qualità delle decisioni prese e il bisogno – appunto – di riforme, cambiamenti e scelte talvolta impopolari e, se mal comunicate, capaci di far paradossalmente perdere consenso[3].
La situazione locale può fornire vari elementi di riflessione, pur nella – o grazia alla – estrema varietà di modelli applicati, in parte derivanti da una storia sedimentata, in parte frutto di scelte più “dirigiste”. Partendo da nord, Torino e il suo modello improntato alla stretta collaborazione pubblico-privato, sta attraversando un momento di difficoltà, in primis a causa di una brusca rimodulazione delle priorità effettuata dalla Giunta comunale, guidata dal M5S a seguito di tre decenni di governo del centrosinistra. Se il calo dei visitatori nei musei afferenti alla Fondazione Torino Musei è di per sé preoccupante[4], è sintomatico altresì registrare due dimissioni a livello apicale: quelle di Cristian Valsecchi da Segretario Generale della Fondazione Torino Musei (poco più di un anno prima, dallo stesso ruolo aveva dimissionato Patrizia Asproni) e quelle di Carolyn Christov-Bakargiev da direttrice della Galleria d’Arte Moderna (la doppia direzione della GAM e del Castello di Rivoli era stata approntata in vista della costituzione di una “Super-Fondazione” che accorpasse le due realtà museali, operazione che l’amministrazione odierna ha sempre osteggiato[5]). Ciò non significa che siano scomparse le best practice. Ne è un esempio la mostra Anche le statue muoiono, frutto della collaborazione tra la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il Museo Egizio (museo statale gestito dalle istituzioni pubbliche locali) e i Musei Reali (polo dipendente dal MiBACT)[6]. Ad appena 50 minuti di treno, si trova Milano, città che negli ultimi anni – Expo 2015 può essere preso come punto di riferimento temporale, al pari delle Olimpiadi Invernali del 2006 per Torino, considerando però che un cambio di prospettiva non si genera meramente grazie all’evento bensì in virtù degli anni di semina immediatamente precedenti – è divenuta de facto la capitale economico-culturale del Paese. Qui tuttavia il modello è radicalmente diverso, poiché è l’iniziativa privata a costituire il cuore pulsante dell’attività, specificamente nell’ambito dell’arte contemporanea, del design e della moda. Col Comune che riesce ancora a dire la sua e a fungere da timone esclusivamente sull’urbanistica. Operatori come la Fondazione Prada, la Fondazione Trussardi, Fondazione Carriero, Pirelli HangarBicocca e FM Centro per l’Arte Contemporanea, oltre alla fiera miart, costituiscono un blocco d’intervento che ha pochi – se non nessuno – pari non soltanto nel resto d’Italia, ma a livello continentale[7]. Ha invece i connotati di una matura programmazione culturale pubblica la realtà che si sta sviluppando a Firenze. Anche in questo caso, una mostra rappresenta un efficace modello esplicativo: Ytalia, ideata e curata da Sergio Risaliti nell’estate del 2017 e diffusa in tutta la città. Operazione che ha confermato l’intervento sulla città a livello urbanistico più che storico-artistico e curatoriale: una istanza di progettazione culturale della città, prima ancora che di disegno espositivo delle mostre. Una sorta di direzione artistica cittadina ad ampio raggio, che ha lavorato per inserire nel racconto amministrativo continui spunti provenienti dal mondo dell’arte e in particolare dal mondo dell’arte contemporanea. Memorabili in questo senso le installazioni monumentali in piazza della Signoria di artisti quali Ai Weiwei, Jeff Koons e Urs Fischer. Un modello efficace, dunque, ma che ha il vulnus della “durabilità”: il rischio è che lo stretto legame con l’amministrazione, nella fattispecie con il sindaco Dario Nardella, subisca un taglio netto qualora cambi “colore” il governo della città – esattamente come è avvenuto a Torino[8]. Infine, va citato l’esempio di Napoli. Qui stiamo assistendo a un fenomeno ancora diverso, ovvero al ruolo cardine che sta svolgendo Andrea Viliani, direttore del Museo Madre, non soltanto nello sviluppare l’attività del “proprio” museo, bensì nello stimolare relazioni inter-museali sinora molto limitate. E così, per fare ancora due esempi di appuntamenti espositivi, abbiamo assistito negli ultimi mesi a una stretta collaborazione fra il Madre e il Parco Archeologico di Pompei, in occasione della rassegna Pompei@Madre, co-curata da Viliani con Massimo Osanna, direttore generale del Parco. Nonché alla mostra Carta Bianca al Museo di Capodimonte, frutto della concezione a quattro mani del direttore di quest’ultimo, Sylvain Bellenger, insieme a Viliani. Se l’appuntamento di Expo ha contribuito a generare l’attuale attivismo di Milano, segnali meno entusiasmanti provengono da Matera, insignita a ottobre 2014 del titolo di Capitale europea della cultura 2019 (una situazione che in parte si è ripetuta nei primi mesi a Palermo, Capitale italiana della cultura 2018 e da giugno ospite della 12esima edizione della biennale itinerante Manifesta). Dopo una prima fase di stallo, si è assistito a una serie di diatribe locali con corollari di assurde burocratizzazioni delle decisioni e di conseguenza lentezze del tutto incompatibili con una progettazione culturale degna di questo nome. E pensare che – al di là dei pilastri contenuti nel programma di candidatura vittorioso firmato da Paolo Verri – le suggestioni erano e sono potenzialmente infinite[9]. Emerge qui, come nei casi succitati, un problema generale: Può un Paese disarticolato come l’Italia consentire che eventi di tale portata vengano lasciati alla mercé di enti locali non sempre all’altezza? Di più: può un ente locale essere all’altezza di un compito simile, che chiama in causa la pianificazione nazionale (se non continentale) di medio periodo? Forse, dunque, è arrivato il momento che sulle grandi strategie il Governo centrale sia maggiormente attento e presente, anche con nuove normative che impediscano a Regioni e Comuni di prendere con leggerezza delle decisioni (o di non prenderle) che possono poi impattare su tutti[10].
Meno direttamente politica è la questione delle cosiddette “mostre multimediali”, settore in vistosa crescita. Ci riferiamo qui a quelle rassegne che utilizzano la multimedialità e la tecnologia come mezzo e strumento per capire e interpretare meglio, per divertirsi di più, per incrementare l’attenzione e per coinvolgere tramite esperienzialità, interazione e immersività. Passata una prima fase “pionieristica”, durante la quale – com’è ovvio che sia –, negli ultimi mesi lo scenario è mutato in meglio, anche grazie a tanti studiosi, storici dell’arte, museologi che hanno raccolto la sfida. E se non va sottovalutato il fatto che questo settore sta diventando culturalmente e artisticamente rilevante, con grandi potenzialità per aumentare il pubblico dei musei, va pure considerato che questo stesso settore potrebbe diventare strategico a livello produttivo: le istituzioni (ma anche le fondazioni private, ad esempio quelle bancarie) dovrebbero prestare maggiore attenzione a questo specifico settore di ricerca e produzione, perché qui l’Italia ha ancora tutte le carte per dire la propria a livello globale: ci sono le competenze, c’è la capacità ideativa, c’è il know-how, c’è la creatività necessaria alle aziende[11].
Il fenomeno delle mostre multimediali è sintomatico di come l’arte si faccia sempre più catalizzatrice nei processi di innovazione scientifica e tecnologica. A livello internazionale lo si intuisce da bandi europei come Starts – Science + Technology + Arts[12], di recente ospitato dalla Triennale di Milano, che ha presentato alla città e alle aziende i progetti di trasformazione digitale implementati in Europa grazie a questo bando. A livello nazionale, vanno citate realtà come la Fondazione Golinelli, che a ottobre 2017 ha inaugurato l’innovativo Centro Arti e Scienze progettato da Mario Cucinella[13], ma anche il Polo del 900 di Torino, che ha sviluppato 9centRo[14], la piattaforma digitale che raccoglie il patrimonio culturale dei suoi diciannove enti partner, grazie a un progetto che coniuga IA, cittadinanza, arte e design. E ancora, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che a Roma ha promosso la mostra Gravity al Museo MAXXI, in cui artisti e ricercatori cercano di immaginare l’universo dopo Einstein. O, infine, il centro di ricerca HER – Human Ecosystems Relazioni, che nel 2018 ha lanciato Her: she loves data[15], un polo di arte e dati in cui il 10% di ogni progetto del centro di ricerca finanzia la creazione di un data commons e di un’opera d’arte realizzata con i dati con cui creare senso, inclusione sociale, comunicazione e consapevolezza. Tutto ciò in attesa dell’apertura, alle ex OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino, polo multiculturale della Fondazione CRT – Cassa di Risparmio di Torino, delle Officine Sud, che si presenta come “luogo per la produzione immateriale di conoscenza, un laboratorio dedicato alla ricerca e all’innovazione nell’ambito digitale, creativo e sociale”[16].
Infine, un tema che sta emergendo negli ultimi mesi è quello dei grandi spazi pubblici in gestione alla Cassa Depositi e Prestiti. Quest’ultima opera come una agile merchant bank a caccia di opportunità di business sul mercato. Lo fa in tanti settori e tra questi nel settore immobiliare dove, in ossequio alle buone pratiche internazionali, si comporta come i grandi developer: si restaurano spazi in disarmo, si fanno vivere e si animano dopo anni di abbandono, rendendoli appetibili sul mercato, e poi si vendono a un prezzo più adeguato[17]. Gli esempi più recenti concernono l’Ex Dogana di San Lorenzo, le Ex Caserme di via Guido Reni e l’Ex Palazzo degli Esami a Roma, Palazzo Fondi a Napoli, dopo l’estate, l’Ex Manifattura Tabacchi della Bicocca a Milano[18]. Tra la vendita, la trasformazione, la rigenerazione e il cambio di destinazione passano anni, quindi è utile e necessario riempire il tempo con contenuti che aiutino queste aree a farsi conoscere e a entrare nelle abitudini dei cittadini. Lo si può fare in tanti modi, CDP ha scelto di farlo con le mostre. O meglio, con manifestazioni chiamate “mostre”. Non direttamente in prima persona […] ma rivolgendosi di volta in volta a società, agenzie di comunicazione, organizzatori di eventi[19]. La scelta è ricaduta su un’offerta espositiva basica, con il risultato di confondere simili eventi con l’intrattenimento culturale, con l’aggravante che tale logica di massimizzazione dei profitti avviene in edifici pubblici, seppur gestiti con un approccio imprenditoriale. Ma c’è una ulteriore conseguenza: il grande successo di queste manifestazioni ha fornito un pretesto alle lentezze del decisore pubblico, il quale – proprio a fronte del successo economico – non ha alcun motivo per sollecitare lo step successivo del progetto, con il rischio che l’impiego temporaneo degli edifici in qualità di contenitori per “mostre” si traduca in una non meglio definita permanenza.
[2] Artribune Magazine n. 41, gennaio-febbraio 2018, p. 4.
[3] Artribune Magazine n. 42, marzo-aprile 2018, p. 4.
[4] 790mila nel 2015, 809mila nel 2016, 617mila nel 2017. I dati relativi agli anni 2015 e 2016 sono consultabili a questo indirizzo: http://www.fondazionetorinomusei.it/it/amministrazione-trasparente/bilanci. Quelli relativi al 2017 non sono stati pubblicati sul sito della Fondazione, così come manca il Bilancio d’esercizio del medesimo anno.
[5] Un semestre da assessore. Francesca Leon e la cultura a Torino, Artribune Magazine n. 34, novembre-dicembre 2016, p. 33.
[6] Cfr. Artribune Magazine n. 43 – Grandi Mostre n. 10, maggio-giugno 2018, p. 64.
[7] Cfr. Milano: la città che sale?, in Artribune Magazine n. 43, maggio-giugno 2018, pp. 18-19, con interventi di Carlo Cracco, Giorgio Carriero, Filippo Del Corno, Marco Lanata, Beatrice Trussardi, Alessandro Rabottini, Massimo De Carlo, Astrid Welter, Ugo La Pietra e Marco Scotini.
[8] Massimiliano Tonelli, Risaliti, Nardella, Firenze. Sta nascendo un nuovo modello culturale?, in artribune.com, 5 ottobre 2017, http://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/politica-e-pubblica-amministrazione/2017/10/risaliti-nardella-firenze-cultura/. Cfr. anche l’editoriale di Tommaso Sacchi, capo della Segreteria culturale del Comune di Firenze, in Artribune Magazine n. 43, maggio-giugno 2018, p. 5.
[9] Artribune Magazine n. 39, settembre-ottobre 2017, p. 4.
[10] Ibidem.
[11] Artribune Magazine n. 38, luglio-agosto 2017, p. 6. Cfr. anche Mostre multimediali: pro o contro. Vol. I, in Artribune Magazine n. 35, gennaio-febbraio 2017, pp. 18-19 (con interventi di Fabrizio Federici, Valentino Catricalà, Antonella Sbrilli, Riccardo Mazza, Roberto Fiorini, Marco Felici, Andrea Viliotti, Antonio Scuderi, Fulvio Chimento e None Collective) e Mostre multimediali: pro o contro. Vol. II, in Artribune Magazine n. 37, maggio-giugno 2017, pp. 22-23 (con interventi di Renato Parascandolo, Federica Franceschini, Fabio Roversi Monaco, Angela Memola, Giordano Bruno Guerri, Maria Cristina Rodeschini, Lia De Venere, Leonardo Sangiorgi, Bruno Di Marino e Sara Pallavicini).