È davvero difficile riassumere in poche righe la bellezza e la varietà degli scenari della Campania, che a isole mozzafiato come Capri e Procida affianca i paesaggi montani dell’Appennino, ad esempio quelli dei Monti Picentini e dei Monti Lattari, o i rigogliosi scenari agricoli della Pianura Campana, che i romani chiamavano Campania Felix per la straordinaria fertilità della terra. Non a caso alcuni paesaggi della regione, come la Costiera Amalfitana e quella Sorrentina, con i loro limoneti a pergola a picco sul mare, o i Campi Flegrei e il centro storico di Napoli, sono alcune delle mete italiane più frequentate dai turisti che visitano il nostro Paese.
Foreste e boschi
Estesa per 13.671 kmq, la Campania ha una superfice forestale di 4.913 kmq, pari al 36% del territorio. Se nell’immaginario collettivo la regione è associata a paesaggi costieri e marini, in realtà la Campania è ricca di boschi e foreste. In Irpinia, nel piccolo comune di Monteverde (AV), incantevole borgo medievale dominato da un castello longobardo e inserito nel circuito dei borghi più belli d’Italia, si estendono i 456 ettari della Foresta Mezzana, parte di una zona umida alimentata dal fiume Ofanto e dai laghi artificiali di San Pietro e di Conza della Campania, nella provincia di Avellino. Lungo il corso dell’Ofanto crescono salici e pioppi, mentre la foresta, che si sviluppa ad un’altitudine compresa tra i 250 e i 600 metri, è dominata da roverelle, cerri, carpini e aceri. Accanto a questi alberi crescono anche eucalipti, cipressi e pini marittimi, che vennero messi a dimora negli anni ’60 durante un’opera di rimboschimento. Nel sottobosco, tra i cespugli di ginepro, ginestra e rosa canina trovano il loro habitat ideale mammiferi come la lepre, il cinghiale e la volpe, mentre tra l’avifauna tipica delle zone umide si possono osservare aironi, cormorani e recentemente è tornata a nidificare anche la cicogna nera. Regione storica al confine con la Puglia e la Basilicata, l’Irpinia è una terra ricca di tradizione enogastronomica che regala prodotti di eccellenza come l’Olio Irpinia - Colline dell'Ufita DOP, ottenuto dalla Ravece, un’antica cultivar di olivo tipica della zona, insieme a vini quali il Taurasi, il Greco di Tufo e il Fiano di Avellino, tutti e tre certificati DOCG. Nel Sannio, sui pendii e le cime del massiccio del Taburno (1.394 m s.l.m.), conosciuto anche come “la dormiente del Sannio” perché il profilo ricorda quello di una donna addormentata, si trova invece la Foresta del Taburno, un’area di oltre 600 ettari che dalle pendici del monte arriva fino in cima. La foresta ricade nel territorio dei piccoli comuni di Bonea, Bucciano e Tocco Caudio, tutti in provincia di Benevento, e la sua vegetazione si divide in fasce a seconda dell’altitudine. La zona più a valle, un tempo dominata dai querceti, oggi è occupata da vigneti e oliveti, ma sopravvivono sporadici alberi come l’acero, il carpino e l’orniello. Salendo di quota agli aceri e ai carpini si associano anche frassini, roverelle e cerri mentre superati i 900 metri di altitudine si trovano prevalentemente faggi e abeti bianchi. Questi ultimi sono stati impiantati a metà ‘800 dai Borbone, poiché dal 1786 l’intera foresta era stata dichiarata “Real Riserva del Taburno” e veniva utilizzata come riserva di caccia dalla famiglia reale data la vicinanza con la Reggia di Caserta, tanto che ancora oggi nella foresta sono visibili i resti della caserma dove stazionavano le guardie della riserva. Giunti in cima si apre uno splendido panorama sulla Valle Caudina, nota per l’episodio delle Forche Caudine, quando i romani furono sconfitti dai Sanniti e vennero umiliati dopo la resa.
Alberi Monumentali
Sono 88 su un totale di 305 gli alberi monumentali della Campania che crescono all’interno dei piccoli comuni. Le specie più rappresentate sono alberi piuttosto comuni in Italia come il faggio, il platano e il cipresso. Accanto a queste, però, si registrano vere e proprie rarità e piante esotiche, solitamente coltivate in orti botanici o ville pubbliche. È il caso del podocarpo, piccola conifera originaria della Cina, del Giappone, della Nuova Guinea e dell’Australia, o della tipuana, albero originario della Bolivia che raggiunge i 20 metri di altezza ed ha fiori di color giallo o arancione acceso, entrambi coltivati presso la Mostra d’Oltremare a Napoli. E sempre a Napoli, ma stavolta nell’orto botanico, cresce un’esemplare di Ceiba Speciosa, comunemente detta falso kapok, un albero dal curioso portamento il cui tronco, ricoperto di grosse spine, è rigonfio alla base e più snello man manco che sale verso la chioma. Dalle fibre bianche che avvolgono i semi all’interno del frutto si ricava una lanuggine simile a cotone con la quale si realizzano imbottiture. Tornando a specie endemiche del nostro Paese, possiamo trovare a Ischia, una delle isole flegree in provincia di Napoli, un carpino nero che pare sia stato introdotto dal botanico di corte dei Borbone Giovanni Gussone, sotto il regno di Ferdinando II, dal momento che rappresenta l’unica stazione di questa pianta presente sull’isola. Spostandoci nell’entroterra, nel piccolo comune di San Gregorio Matese, in provincia di Caserta, ad un’altitudine di oltre 1.000 metri cresce un faggio di 400 anni completamente cavo a causa dell’azione dei parassiti e dei diversi fulmini che lo hanno colpito. Alto 25 metri e con una circonferenza di 6, l’albero ha un tronco caratterizzato da numerose escrescenze e rigonfiamenti che originano forme bizzarre e fantasiose. Non a caso il faggio è conosciuto anche come “l’albero della mucca”, perché se osservato da una precisa angolazione sul tronco sembra comparire una testa bovina. Ad Aquilonia, piccolo comune in provincia di Avellino, si trova un albero al centro di storie che abbracciano le leggende popolari e la tradizione religiosa. È la roverella della Badia di San Vito, situata appunto presso la trecentesca badia dedicata al patrono del paese. La tradizione vuole che quando qualcuno provava a tagliare l’albero per ricavarne la legna, l’accetta rimanesse saldamente incastrata nel tronco, che iniziava a piangere con lacrime di sangue. Soltanto quando l’improvvido taglialegna rinunciava al taglio della roverella era possibile recuperare l’ascia. Il cerro di Lacedonia (AV) è un altro albero monumentale conosciutissimo grazie ad una leggenda. Si racconta infatti che all’epoca del risorgimento Carmine Crocco, tra i briganti più famosi, abbia nascosto un importante bottino, che non fu mai ritrovato, nei pressi dell’albero. È stato così soprannominato “cerro del tesoro” e insieme al “cerro del drago” forma un piccolo tratturo utilizzato in passato per la transumanza, la migrazione stagionale delle greggi.