• Micaela Cappellini, Il Sole 24 Ore

«La cucina italiana nel mondo ha raggiunto un valore complessivo di 1.251 miliardi di euro e rappresenta oggi il 19% del mercato globale dei ristoranti». In pratica, una tavola su cinque. A ricordarlo ieri è stato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, durante i festeggiamenti per il traguardo Unesco raggiunto dal nostro Paese.

L’anno scorso il turismo enogastronomico in Italia ha generato un business pari a 40,1 miliardi di euro, con una crescita del 12% rispetto al 2022 e un vero e proprio boom del 49%, se paragonato al giro d’affari soltanto di dieci anni fa. Per questo le aspettative sulla nomina a Patrimonio dell’Unesco come ulteriore volano del comparto sono elevate: secondo le stime di Confesercenti, nel giro di due anni il turismo in Italia potrebbe crescere dell’8%, aggiungendo al portafoglio nazionale qualcosa come 5 milioni di nuovi pernottamenti all’anno.

L’effetto Unesco in uno sprint che ha superato ogni previsione, secondo uno studio dell’Università La Sapienza di Roma: il riconoscimento dato a Patrimonio dell’umanità ottenuto dalla pizza napoletana nel 2017 ha portato a un’impennata del 28% dei corsi professionali per pizzaiolo. Mentre gli agriturismi a Pantelleria sono cresciuti del 500% in dieci anni, dopo che l’isola siciliana ha ottenuto il riconoscimento Unesco per la sua caratteristica vite ad alberello.

Degli oltre 40 miliardi incassati dai bar e dai ristoranti italiani nel 2024, quelli spesi dai visitatori stranieri sono stati 12 miliardi, il 7,5% in più rispetto al 2023. Anche il 2025 si avvia a chiudersi come un anno positivo: secondo le anticipazioni Finep-Pet-Confesercenti, il bilancio si chiuderà a 12,68 miliardi di euro, pari a una crescita del 5%. Il rischio, semmai, è che l’effetto Unesco si porti dietro anche un aumento non sempre giustificato dei prezzi.

Ma chi incassa il dividendo del successo dell’enogastronomia made in Italy nel mondo? Una fetta va ai produttori di vino: ricorda l’Unione italiana vini, per esempio, che il saldo commerciale con l’estero delle cantine italiane è positivo per circa 7,5 miliardi di euro l’anno. Un’altra quota spetta invece alla produzione artigianale: calcola Confartigianato che il nostro Paese vanta 57.170 prodotti agroalimentari tradizionali e che la domanda di prodotti locali è in crescita, con 12,1 milioni di italiani che nel 2023 hanno scelto il chilometro zero. Le imprese artigiane operano dentro una filiera agroalimentare composta da 204.789 aziende, in parte micro e piccole, che generano 130,9 miliardi di euro di valore aggiunto.

Anche la cosiddetta Dop economy dà un contributo determinante al successo della cucina italiana. Ricorda la Fondazione Symbola che l’Italia, con 856 denominazioni protette, è prima in Europa per prodotti agroalimentari e vitivinicoli registrati: per l’esattezza, 584 Dop, 268 Igp e 4 Specialità tradizionali garantite (Stg). Il tutto concentrato soprattutto nelle aree meno urbanizzate del Paese, se è vero che il 93% delle produzioni tipiche nazionali nasce nei comuni italiani con meno di cinquemila abitanti, contribuendo così a sostenere l’economia dei territori.

Per le oltre 500 aziende della trasformazione alimentare che fanno capo a Unionefood, infine, la cucina italiana nel mondo vale già 23 miliardi all’anno di export. Parliamo di 30 miliardi di piatti di pasta, 56 miliardi di tazzine di caffè, quasi un miliardo di chilogrammi di prodotti da forno e dolci e 4 miliardi di prodotti a base di cioccolato.

Il valore della cucina italiana nel mondo ha raggiunto 1.251 miliardi di euro
Micaela Cappellini, Il Sole 24 Ore

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