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Economia circolare e riciclo dei rifiuti, bioplastiche e nuove professioni: pubblicato il 15° Rapporto sulla Green economy in Italia “GreenItaly 2024”

Investire nel verde è vantaggioso e le imprese che decidono di dare una svolta “green” alla propria attività sono più competitive; è quanto emerge dal 15° Rapporto “GreenItaly 2024. Un’economia a misura d’uomo contro le crisi”, presentato a Roma il 25 ottobre e realizzato dalla Fondazione Symbola, da Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

La presentazione di GreenItaly 2024
“Essere buoni conviene” ha detto Ermete Realacci, presidente di Symbola. “Siamo una superpotenza europea dell’economia circolare e questo ci rende più competitivi e capaci di futuro. Possiamo dare forza a questa nostra economia e a questa idea di Italia grazie alle scelte coraggiose compiute dall’Unione Europea con il Next Generation UE e al PNRR. La burocrazia inutile ostacola il cambiamento necessario, ma possiamo farcela se mobilitiamo le migliori energie del Paese.”
Un terzo delle imprese ha investito in un’economia più rispettosa dell’uomo e dell’ambiente, una scelta che ha portato dei benefici in termini economici oltre che ambientali e la tendenza a ragionare in termini “green” è in continua crescita; aumenta, di conseguenza, la necessità di professioni con competenze in tale settore.

Innovazione e mondo del lavoro
“L’88% delle aziende mira a introdurre tecnologie Net Zero, come il solare fotovoltaico, l’eolico, le pompe di calore, le tecnologie nucleari e di rete” ha detto il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete. “Questa spinta all’innovazione genera nuovi fabbisogni professionali e richieste di competenze che le imprese faticano a trovare per più di un’assunzione su due”
Si prevede che, da oggi al 2028, saranno richieste competenze “verdi” a oltre 2,4 milioni di lavoratori e si nota una maggiore attenzione delle piccole e medie imprese alle attivazioni di green jobs.

Le nuove professioni
Sono molte le nuove attività su cui si potrà puntare; ad esempio, quelle di revisore della sostenibilità, di certificatore ambientale ed energetico, di sustainability and carbon analyst, responsabile della valutazione e quantificazione dell’impronta di carbonio dell’impresa e delle politiche volte alla sua riduzione.
Una serie di professioni, poi, saranno richieste per ottemperare al Regolamento UE sul Ripristino della natura, la cui prima scadenza è al 2030, come quelle di tecnico di gestione dell’ecosistema e di facilitatore di risorse tematiche sulla biodiversità. Saranno, inoltre, sempre più necessari gli installatori di pannelli solari, i tecnici delle turbine eoliche e gli specialisti dello stoccaggio energetico.
Altra figura professionale di nuova istituzione è quella del bio-designer, l’esperto che si occupa di studiare le potenzialità offerte da insetti, alghe, batteri e piante, al fine di sperimentare soluzioni per i prodotti che siano ecocompatibili e in grado di ridurre l’impatto ambientale negativo derivante dalla produzione. Una professione analoga è quella dell’eco-design manager, responsabile del design e della progettazione di prodotti ecosostenibili a ridotto impatto ambientale.

Report GreenItaly 2024. Economia circolare e riciclo, primati italiani
L’Italia ha la più alta percentuale di avvio a riciclo sulla totalità dei rifiuti: quasi il 92 per cento, a fronte del quasi 58 per cento della media europea.
Per mantenere il primato nell’ambito dell’economia circolare e della gestione dei rifiuti, saranno sempre più richiesti gli esperti in sistemi innovativi volti a ridurre la produzione di rifiuti e a riciclare i materiali di scarto. La materia della re-immissione degli scarti di lavorazione all’interno del ciclo produttivo è molto importante per le aziende italiane, a causa della scarsità delle materie prime e della conseguente necessità di sviluppo di sistemi di riciclo innovativi in diversi settori.
Il rafforzamento dell’economia circolare, che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti, è diventato un fattore davvero importante per il benessere collettivo. L’Italia sotto questo profilo è una nazione virtuosa e deve continuare a esserlo nel futuro, con l’auspicio che altri paesi facciano altrettanto al più presto.

Materie prime critiche
Negli ultimi cinque anni, il consumo globale di materiali ha raggiunto livelli senza precedenti, con 500 miliardi di tonnellate utilizzate, una quantità pari a quella consumata durante tutto il XX secolo. L’umanità ha superato a oggi sei dei nove limiti planetari identificati dallo Stockholm Resilience Center come soglie critiche per garantire la sopravvivenza a lungo termine.
Negli ultimi cinquant’anni, i paesi a reddito medio-alto hanno raddoppiato il loro uso di risorse, mentre nei paesi a basso reddito l’uso pro capite è rimasto sostanzialmente invariato dal 1995. Questi ultimi consumano sei volte meno materiali rispetto ai primi e hanno un impatto climatico dieci volte inferiore.
Le cosiddette materie prime critiche – litio, rame, grafite, terre rare, platino, iridio – provengono da poche regioni geografiche, Australia, Cile, Cina, Congo, Indonesia e Sudafrica; questo contesto globale sta creando vulnerabilità significative, soprattutto in quelle economie, come quella europea, fortemente dipendenti da queste materie.

Imprese green più competitive
I consumatori sono disposti a premiare le realtà aziendali che mostrano una maggiore attenzione per l’ambiente e gli investimenti green scelti dalle imprese sono spesso relativi ai processi produttivi, raramente all’innovazione di prodotto.
“Avere fornitori certificati e ricostruire una catena che sia sostenibile nel suo insieme, è un fatto che riguarda non solo le grandi imprese, ma anche quelle di piccole e medie dimensioni, che per stare nel mercato devono cominciare a tener conto di queste tematiche” ha detto il vice direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, Alessandro Rinaldi.
Un’indagine su duemila imprese manifatturiere, condotta nel 2024 dal Centro Studi Tagliacarne  e da Unioncamere, ha rilevato che gli investimenti green hanno garantito alle imprese maggiori possibilità di aumentare produzione, fatturato, occupazione ed export.
Il 29% delle imprese che hanno investito nel green, ha visto crescere la propria produzione nel 2024, contro il 22% delle imprese che non hanno fatto eco-investimenti.

La geolocalizzazione delle imprese della “GreenItaly”
La maggior parte delle imprese “verdi” ha sede in Lombardia (oltre 102 mila), regione che anche nel quinquennio 2019/2023 ha continuato a detenere il primato; seguono il Veneto (più di 53 mila imprese), il Lazio (50 mila), la Campania (oltre 46 mila) e l’Emilia-Romagna (oltre 45 mila). In questi cinque territori è concentrata la maggior parte delle imprese “verdi”. A livello provinciale, Roma –  con oltre 36 mila aziende – ha dovuto cedere il passo a Milano, che ne conta quasi 40 mila. Al terzo posto Napoli, con oltre 21 mila imprese. I dati si riferiscono allo stesso periodo e il Rapporto evidenzia come più di un’impresa (extra-agricola) su tre abbia effettuato eco-investimenti, quasi un’impresa su due nell’industria manifatturiera. Confrontando il periodo in esame con quello precedente, 2014/2018, vi è stata una crescita delle imprese green di circa il 14 per cento, passando da quasi il 25 ad oltre il 38 per cento. L’aumento al Centro-Sud ha annullato gli squilibri territoriali del periodo precedente.

Bioplastiche a basso impatto
Secondo il report GreenItaly, il nostro Paese si posiziona al primo posto in Europa per numero di aziende agricole biologiche e l’innovazione nel settore agroalimentare si mantiene come una delle principali leve strategiche per la sostenibilità, la sicurezza alimentare e il cambiamento climatico. La filiera arredo-casa continua il suo percorso di transizione ecologica e più del 64% delle imprese acquista materie prime o semilavorati rinnovabili o prodotti in modo sostenibile, mentre il tessile-moda deve innovarsi per adeguarsi agli interventi legislativi introdotti dall’UE.
Fondamentale è il lavoro delle imprese che si occupano di chimica bio-based, il comparto che utilizza materie prime rinnovabili per realizzare prodotti innovativi a basso impatto ambientale. Partendo ad esempio da materie prime di origine agricola e da scarti della filiera agroalimentare, della foresta e del legno, la chimica bio-based risolve alcune problematiche ambientali legate al settore chimico e al tempo stesso rende più sostenibili quei settori produttivi, che sono messi in condizione di ridurre e di valorizzare i propri scarti, trasformandoli in nuova materia prima, o di utilizzare prodotti con minore impatto ambientale. I punti di forza della chimica bio-based italiana sono le bioplastiche compostabili; il fatturato sviluppato dalla filiera, dopo il record del 2022, ha subito un calo dovuto anche alla concorrenza di prodotti monouso erroneamente definiti “riutilizzabili”. Si prevede comunque che, grazie all’apertura di nuovi mercati, si possa aprire una nuova fase positiva per questi prodotti innovativi.

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GreenItaly, una penisola da primato | DonnainAffari.it

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