Idee per la ripresa
La crisi pandemica e il lockdown hanno reso evidente la necessità di una revisione dei modelli organizzativi. Sarà fondamentale il rapporto tra imprese, territori e intelligenze: la coesione è la chiave del cambiamento.
Lo scenario. Al seminario della Fondazione Symbola (quest'anno online) il confronto tra le diverse visioni del futuro. L'obiettivo è individuare gli strumenti idonei a intrecciare tecnologia, creatività ed efficienza delle imprese e del lavoro.
Un umanesimo digitale può guidare la nuova crescita del sistema Italia
È vero: durante il lockdown e ancora oggi con la limitazione di spostamenti e relazioni, la possibilità di portare avanti progetti e attività grazie alle tecnologie digitali risulta un'ancora di salvezza per moltissime aziende - dalla manifattura ai servizi - in Italia come nel resto del mondo. Eppure, proprio i limiti imposti dal distanziamento fisico e sociale di questo periodo hanno messo in evidenza l'importanza della coesione, sociale ed economica. «Le imprese più coesive - cioè in stretta relazione coni contesto in cui operano, quindi con i dipendenti, i fornitori, i clienti - sono quelle che hanno saputo rispondere meglio alla crisi generata dal Covid-19», osserva Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola. Questo perché la vicinanza al proprio territorio le rende più reattive, capaci di cogliere e interpretare con rapidità i cambiamenti in atto e di rispondere con flessibilità.
Le parole della ripresa
Coesione, dunque, è la prima parola chiave per la trasformazione delle aziende nell'epoca post-Covid. Le altre - tutte interconnesse - sono digitalizzazione, flessibilità, creatività, cultura e sostenibilità. È attorno a questi driver che vanno immaginati e programmati la ripresa e poi lo sviluppo dell'industria italiana. «Oggi più che mai questi fattori diventano requisiti fondamentali per essere sul mercato. Sono non soltanto migliorativi, ma necessari all'esistenza stessa delle aziende», aggiunge Sturabotti, anticipando i temi che saranno al centro del seminario estivo della Fondazione, in programma (via web) da domani a sabato (si veda il box accanto).
Un nuovo umanesimo
L'elemento "umanistico" sembra tornare centrale. Perché viviamo in un mondo sempre più complesso e tecnologico, ma «la tecnologia è solo uno strumento, estremamente pervasivo e attendere sostitutivo di tante funzioni, ma mai abilitante di una trasformazione a cui l'uomo deve ambire per continuare il suo processo evolutivo», dice Riccardo Donadon, uno che di tecnologia e imprese è pioniere: l'imprenditore veneto è fondatore e ceo di H-Farm, il campus veneto che dal 2005 accompagna la creazione di nuovi modelli d'impresa e la trasformazione ed educazione dei giovani e delle aziende in ottica digitale. «L'H davanti al nostro nome è fondamentale - sottolinea Donadon-perché sta per "Human", un concetto che deve essere al centro del cambiamento, oggi più che mai».
La trasformazione deve essere primadi tutto culturale. Servono competenze e formazione per creare aziende leggere, flessibile digitali. «Una rivoluzione copernicana - osserva Donadon -. La mia generazione, come quelle prima, è cresciuta pensando di dover portare in casa propria gli strumenti perla produzione. Oggi invece bisogna stemalizzare il più possibile i processi, infrastrutturare poco e pagare per utilizzare quello che mi serve solo per il periodo in cui ne ho bisogno». Un cambiamento forte, che fa paura perché fa sentire più insicuri, osserva Donandon, «ma è su questo che oggi si innesta percorso di trasformazione delle aziende, perché nulla sarà più come prima.
Il quoziente creativo
Il momento, per quanto drammatico, potrebbe essere propizio per mettere in campo un vero cambiamento. Cambiamento che, sostiene il professor Francesco Zurlo, presidente del Polidesign di Milano, passa anche attraverso un aumento del quoziente creativo delle imprese e un'integrazione nel processo produttivo della cultura del progetto. «È ormai dimostrato da numerosi studi che la leva del design thinking, o della cultura del progetto, nei processi aziendali, è un efficace strumento di innovazione e contribuisce a migliorare le performance delle aziende che se ne servono - spiega Zurlo -. Si tratta in poche parole di affrontare i problemi con un approccio sistemico, attivando creativamente tutte le persone dell'organizzazione, coinvolgendole nell'individuare gli obiettivi e nell'elaborare le soluzioni». Un approccio che si sta rapidamente diffondendo anche in Italia, sia nella manifattura sia nei servizi, sia nelle piccole aziende, sia nelle multinazionali. «La situazione di disagio creata dal Covid, assieme alle tecnologie digitali ormai a disposizione di tutti, ha amplificato il quoziente creativo in molte persone e realtà imprenditoriali. Ora si tratterà di vedere quanto di tutto questo resterà e crescerà».
Nuovi modelli organizzativi
Dopo la prima fase di emergenza, in cui l'accelerazione impressa dal Covid a molti processi già in corso è parsa come un detonatore di innovazione, ora si pone perle imprese il tema fondamentale di gestire questa accelerazione. «Alcuni passaggi, come lo smartworking, sono avvenuti persino troppo rapidamente - osserva Fabio Cappellozza, presidente di Conidi, società di consulenza che accompagnale aziende nell'adozione del sistema produttivo Toyota -. Si tratta di cambiamenti culturali profondi, che perciò richiedono un percorso di medio-lungo termine. Invece siamo finiti in mezzo a una rivoluzione e molte imprese non sono in grado di gestirla come servirebbe. Il metodo Toyota insegna che per cambiare bisogna mettersi nelle condizioni di cambiare, ma in questo caso la forza del cambiamento non l'abbiamo espressa noi, l'abbiamo subita, e tutta in un colpo». Tuttavia, questa crisi presenta anche una grande opportunità, dice Cappellozza: quella di rivedere i modelli non solo di business, ma anche organizzativi. La strada è quella tracciata negli ultimi anni da molte aziende - favorite anche dagli incentivi del Piano Calenda per Industry 4.o - adottando sistemi di produzione come la Lean Manufacturing o il metodo Toyota: tutti sistemi di efficientamento produttivo e gestionale che hanno funzionato e su cui è ora più che mai necessario proseguire. «Se volessimo ridare spinta alle nostre aziende, dovremmo fare un'operazione simile a quella fatta tre anni fa con il Piano Calenda - osserva Cappellozza - magari focalizzata sui settori strategici del made in Italy, come l'arredo, l'alimentare, la moda e l'automotive».
L'eredità del Covid. Crisi ecologica, crisi sanitaria e crisi economica alimentano disagio e inquietudine. È necessario capire che nessuno si salva da solo.
Comunità di cura larga contro paure e solitudini
Ci eravamo lasciati ad Assisi promuovendo con Symbola e i francescani del Sacro Convento il manifesto per una economia a misura d'uomo contro l'emergenza climatica. Con tante firme autorevoli della politica, delle imprese e di semplici cittadini, tanti. Tanti da farsi popolo cosciente contro «l'internazionale dell'indifferenza» dei sorvolatori del mondo con la loro finanza ed economia creativa che non guarda al creato, che non crea anzi distrugge. Lo avevo definito un momento di «realismo mistico» nel suo tenere assieme la concretezza dell'urgenza e del rivolgersi alla coscienza critica del fare impresa con lo spirito dell'armonia rispetto al creato tra uomo e natura che viene meno nell'epoca dell'antropocene. Eravamo convinti di ritrovarci a Treia al seminario estivo di Symbola. In quell'Italia borghigiana ove ancora vi è, più che altrove, memoria e traccia dell'armonia perduta. Ritrovarci come "popolo dei sussurri" per dar voce, per urlare l'urgenza della crisi ecologica. Ci ritroviamo in un lungo webinar. Con le parole ed i volti che volano, il che sembra poesia della tecnica se non fosse invece segno ipermoderno della pandemia di Covid 19 che impone la giusta distanza. Così le parole che volano diventano segno di una solitudine dell'essere con la parola a cui viene meno laprossimità del volto a cui si rivolge. La crisi ecologica ci aveva indotto l'urgenza del rapporto uomo natura e della green economy, la crisi pandemica il virus Covid 19 ci ha mostrato l'essenzialità del corpo malato in una civiltà che avendo smarrito la propria ombra ormai pensava che l'antivirus, non fosse la ricerca di un vaccino per il corpo, ma una soluzione tecnica per preservare i nostri computer, smartphone, tablet... È ormai più che un'ipotesi di studio la correlazione tra crisi ecologica e crisi pandemica, basta per rimanere all'Italia, la comparazione tra geografia del male e terre dell"inquinamento. Ed è per questo che, nonostante costretti al webinare, bene ha fatto Symbola a richiamarci virtualmente a Treia per ragionare assieme su l'Italia che verrà partendo da comunità, territori e innovazione contro paure e solitudini. Partendo dalla "voglia di comunità", mai così forte nei mesi in cui non ci si poteva tenere per mano ed abbiamo riscoperto la comunità di cura, diventa urgente interrogarsi sulla "comunità che viene". Come "comunità di cura larga", attenta ed orientata alla cura della natura, in grado di cambiare le economie verso modelli di comunità operose, in grado nel farsi comunità larga ed inclusiva così temperando le tre paure che stanno in una: la comunità della paura alimentata da crisi ecologica, crisi pandemica, crisi economica. Sono tante le solitudini che l'alimentano, che rimandano al ricostruire le forme di convivenza partendo dalla prossimità del fare comunità riscoprendo che il far politica, nella sua forma antropologica "significa dire al tuo prossimo che non è solo" riscoprendosi così tutti in una comunità di destino esistenziale. Che rimanda al lavoro sociale da operatori di comunità per tessere e ritessere coesione sociale soprattutto in tempi in cui, a fronte del venire avanti della comunità della paura come involuzione del rancore, non mancano gli "imprenditori politici delle paure". Questo mi pare il senso del ritrovarci a Treia per dare senso e significato al destino esistenziale del "nessuno si salva da solo". Partendo dal territorio, dai territori del margine che definiamo marginali ma sono densi di pratiche ed esperienze di intreccio "antisolitudine" tra sostenibilità ambientale ed inclusione sociale. Da portare al centro per le città più abitabili dove abbiamo riscoperto la dimensione del quartiere, da dove ripartire nella fragilità di quella geografia delle megalopoli e delle "città stato" che hanno evidenziato come nella metamorfosi che atti aversiamo il pieno, il ritrovarsi soli nella moltitudine, produce disagio ed angoscia.
In questo Symbola ci ha sempre educati a riflettere partendo dalle opportunità della nostra geografia contaminata dauna coscienza di luogo che intreccia piccoli comuni, l'Italiaborghigiana e quella delle cento città, le città distretto e le aree metropolitane in divenire partendo dal margine che si fa centro, non viceversa. Indicandoci con tenace testardaggine un luogo laboratorio di speranza e divisione di un altro modo di ricostruire e riabitare il vuoto: la rigenerazione dell'Italia centrale colpita dal sisma 2016/2017 lì dove sta Treia. Non è l'unica sfida a cui siamo chiamati. Più si va giù nelle terre basse delle città distretto delle nostre imprese e si entra con l'eterotopia della green economy dentro i cancelli delle fabbriche a far firmare il manifesto di Assisi la comunità larga si fa più stretta ed interrogante le forme del come e del cosa produrre e le forme dei lavori. Si fa ricerca e si raccontano i territori delle piattaforme produttive in una transizione difficile verso geo comunità sostenibili animate da imprese e forme dei lavori in metamorfosi verso un nuovo tempo economico e sociale. Passaggio non secondario verso l'Italia che verrà, che interroga rappresentanze e parti sociali, anche loro attori non secondari nel rompere la solitudine da individualismo proprietario o da innovazione solitaria da startup e da partita Iva al lavoro senza comunità larga di appartenenza. Passaggio che si fa incerto attraversandole condizioni materiali della crisi economica a cui giustamente, si dà come speranza l'innovazione e il cambiamento della sostenibilità ambientale e del digitale e dello smart working essendo entrati nell'epoca dell'Antropocene e del Tecnocene. Symbola scrive, citando Papa Francesco, «peggio di questa crisi, c'è solo il dramma di sprecarla rinchiudendoci in noi stessi». E vero. Molto dipenderà come sempre da quanto le opportunità date dalla green economy e dalla potenza della tecnica verranno piegate verso il limite della natura e dell'umano lavorare per vivere. Da quanto si faranno flusso dall'alto con lo storytelling di una transizione ecologica e digitale aspettando l'Europa col Green Deal e col Recovery Fund o quanto si faranno racconto sociale condiviso e mobilitante per rompere le nostre solitudini e paure, per fare l'Italia che verrà verso L'Europa che verrà. Per questo i seminari di Symbola che da operatore di comunità si mette in mezzo tra flussi e luoghi, mai come oggi mi paiono utili «per continuare a capire per cambiare e far cambiare».