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di Nicola Varcasia – Giornalista

Francois Michelin affermava che l’impresa è un modo per servire. Sosteneva infatti che, all’interno di un’azienda, ogni persona, indipendentemente dalla posizione che ricopre, deve pensare a tre cose: al cliente, all’avvenire e ai suoi colleghi. Ma chi può aiutare l’impresa a svolgere fino in fondo questa dimensione? Perché se c’è un dato evidente in questi anni così difficili – segnati, nel macro, dalla pandemia e da una situazione internazionale imprevedibile e, più nel micro, da un radicale cambiamento dell’approccio al lavoro da parte delle persone – è che l’impresa non può farcela da sola. Ha bisogno di alleati stabili che la aiutino a progettare il proprio futuro in relazione al contesto (o ai contesti) in cui opera.

In questa dinamica, si è reso sempre più distintivo il ruolo che possono svolgere le organizzazioni del terzo settore. Le imprese trovano infatti nel non profit quell’intelligenza sociale che permette loro di essere più competitive. Inoltre, il reciproco scambio di competenze permette a ciascuno dei due protagonisti di questa alleanza di migliorare l’efficienza in alcuni fattori chiave per il proprio sviluppo. Le aziende, per affinare e concretizzare una sensibilità sociale rispetto ai bisogni di tutti gli stakeholder e shareholder. Le realtà non profit, per acquisire e sperimentare nuove competenze e professionalità che le mettano in grado di sintonizzarsi con il linguaggio, i processi decisionali e le “ritualità” aziendali.

Le modalità in cui il terzo settore può rispondere ai bisogni delle imprese sono molteplici. Un ambito privilegiato è quello legato al lavoro, in particolare al bisogno delle aziende di trovare nuova manodopera. Fa scuola il caso della Cantina Arnaldo Caprai, che ha stabilizzato il flusso di lavoratori per le sue vigne, accordandosi con la Caritas locale di Foligno, desiderosa a sua volta di offrire un lavoro regolare e dignitoso ai migranti che arrivano in Italia. La sinergia è oggi ben avviata: la Caritas segnala all’impresa i migranti interessati a un impiego nelle vigne e Caprai li accoglie inquadrandoli come salariati agricoli. Oltre a un contratto regolare, gli assunti della Cantina vengono opportunamente formati con un corso dedicato alle fasi colturali, quali potatura, scacchiatura, diradamento e raccolta. Il lavoro è stagionale, ma i migranti possono proporsi l’anno successivo continuando il percorso iniziato in azienda, talvolta invitando la propria famiglia in Umbria, oppure trovare occupazione presso altre imprese del settore in Italia o Europa.

In altri casi, non è la singola impresa, ma è l’intero tessuto imprenditoriale di un determinato territorio a scoprire nelle realtà non profit un valido aiuto di fronte alla difficoltà di trovare nuovi lavoratori. È quanto accade da qualche anno in Sicilia, dove un pool di piccole e medie aziende, in sinergia con la Confcooperative e la Confcommercio locali, sta sperimentando un modello che sta dando ottimi risultati. Tra queste, l’impresa vinicola Caravaglio che, oltre ad assumere i nuovi lavoratori, spesso migranti, li ospita, l’azienda agricola Albarazza Trigona e il Therasia Resort, che dà vitto e alloggio ai lavoratori sull’isola di Vulcano. Punto di incontro tra questi bisogni è l’Associazione Don Bosco 2000, che gestisce una serie di centri di accoglienza nella regione e ha come sua mission proprio l’integrazione sociale ed economica dei migranti. Grazie a questa collaborazione, ogni anno circa 200 migranti vengono collocati nelle imprese delle aziende del territorio. Ma c’è di più, alcuni dei ragazzi inseriti in queste imprese esprimono il desiderio di rientrare nel loro Paese d’origine, riportando a casa anche un bagaglio di competenze utili per dare vita a iniziative di rinascita imprenditoriale e sociale, nell’ottica di quella che si può definire come un’accoglienza circolare, per un approccio al fenomeno migratorio dal forte valore di innovazione sociale.

Anche quando c’è bisogno di una specializzazione particolare per la nuova manodopera il non profit può svolgere un ruolo decisivo, attraverso la formazione. È il caso di ENEL[2] e dell’Associazione Elis, realtà che forma al lavoro persone socialmente ed economicamente svantaggiate. Il programma “Energie per Crescere” ha offerto una risposta al mismatch tra domanda e offerta di lavoro, costruendo percorsi per formare tecnici specializzati nella transizione energetica. Enel ha la possibilità di assorbire nel suo indotto i lavoratori opportunamente formati, raggiungendo il doppio risultato di formare la manodopera specializzata di cui necessita e di favorire la coesione sociale, valorizzando le persone a rischio esclusione.

Le aziende stanno dunque scoprendo le potenzialità del non profit non solo come un veicolo privilegiato per restituire al territorio parte del valore che generano con la loro attività, ma anche come strumento per ottenere risultati più performanti. Significativo il caso di Eolo che ha scelto come propri fornitori due realtà non profit, traendone alcuni vantaggi competitivi. L’incontro con la prima realtà, la cooperativa sociale Solidarietà e Servizi, specializzata nell’inserimento lavorativo di persone disabili e svantaggiate, è stato inizialmente propiziato dall'esigenza di rispondere agli obblighi di assunzione di persone con disabilità (attraverso le possibilità offerte dall’ex articolo 14 della legge Biagi), ma poi la collaborazione è andata ben oltre: visti i risultati più che positivi generati dall’inserimento delle persone della cooperativa come tecnici nel parco installatori Eolo, alla stessa cooperativa è stato affidato anche il controllo delle migliaia di documenti necessari ai tecnici stessi per operare con i clienti e la gestione di un importante servizio chiamate inbound.

La collaborazione con il terzo settore nella formazione può abbracciare anche tematiche di frontiera, che stimolano l’innovazione. Nel caso di Coop, ad esempio, la relazione con il terzo settore ha portato l’impresa a conoscere e confrontarsi con i disagi che le persone con autismo possono vivere facendo la spesa. Proprio da questa relazione è nato il primo supermercato “autism friendly” nel settore della GDO in Europa. Sviluppato da Coop Lombardia assieme alle associazioni non profit PizzAut e Alla3, nel settembre 2020, a Monza, è stato inaugurato un punto vendita caratterizzato da speciali pittogrammi, studiati appositamente con alcuni esperti, che aiutano le persone con autismo a comunicare anche tramite canali non solo verbali. Alle casse viene inoltre evidenziata con chiarezza la priorità di servizio per le persone con autismo e i loro accompagnatori e, altro aspetto molto importante, il personale ha frequentato un corso di formazione ad hoc per imparare a riconoscere e a relazionarsi con loro. Tutto ciò ha reso quel supermercato una best practice valoriale a piena inclusività che è stata presa a modello per la successiva realizzazione di altri 9 punti vendita Autism Friendly da parte di Coop Lombardia.

Il non profit, oltre ad ingaggiare la società civile nelle sfide dell’impresa, può fornire utilità e competenze specifiche per dare vita a progetti di innovazione sociale. Emblematica, in questo caso è la storia della società È.one abitarègenerativo che, in accordo con il Comune, sta realizzando, nel Quartiere degli Sposi, a Bergamo, un nuovo concept immobiliare e abitativo incentrato, fin dalla fase di progettazione, sulle relazioni, la reciprocità e il rapporto con la comunità. Un originale progetto di edilizia convenzionata che, per potersi concretizzare, ha trovato nella cooperativa sociale Namasté un partner affidabile: oltre ad aver messo a disposizione il terreno dove sta sorgendo il complesso, Namasté è attiva nell’accompagnamento degli abitanti durante il percorso sino alla consegna delle case. I due soggetti, inoltre, hanno dato vita alla cooperativa edilizia Abitare Condividere per svolgere materialmente i lavori di costruzione, mentre È.one coordina l’intero progetto attraverso la consulenza, l'attività finanziaria, commerciale e amministrativa. Una vera e propria divisione di compiti che porta all’innovazione.

Le competenze del non profit sono sempre più ricercate dalle aziende anche riguardo alla sostenibilità e alla sua reale integrazione nel business. È così per Sammontana che, trasformatasi in società Benefit nel 2023 e in procinto di certificarsi B Corp, si è messa alla ricerca di nuove competenze per promuovere e diffondere la propria visione di sviluppo sostenibile tra i dipendenti e all’esterno dell’azienda. L’obiettivo perseguito da Sammontana è fare in modo che le finalità di beneficio comune stabilite dal management diventino un’esperienza condivisa con tutti i dipendenti e gli altri stakeholder. Da questa esigenza si è avviata una collaborazione con Dynamo Camp, che affiancherà l’azienda nel percorso di formazione di ben 36 ambasciatori della sostenibilità, con un focus specifico su diversità e inclusione.

Il non profit può infine migliorare il dialogo con le comunità in cui l’impresa opera anche a livello internazionale, facendo da mediatore culturale. Lo testimonia la storia di illycaffè[3], che ha trovato nel terzo settore la sponda ideale per rafforzare le comunità dei coltivatori in termini di sostenibilità ambientale, sviluppo sociale e miglioramento delle condizioni di lavoro. Negli anni, Illy ha sviluppato numerosi progetti per poter rispondere ai bisogni delle diverse comunità di coltivatori di caffè sue fornitrici. Esse operano principalmente in Paesi in via di sviluppo o che versano in situazioni di povertà diffusa e instabilità sociale, quali Brasile, Colombia, Nicaragua, Etiopia e Ruanda. Migliorare le condizioni socioeconomiche delle comunità di coltivatori significa migliorare anche la produzione in qualità e quantità, permettendo a illycaffè di poter contare su una collaborazione duratura, in contesti che contribuisce a rendere stabili, attraverso un percorso di sviluppo reciproco.

Le relazioni tra imprese e il terzo settore sono destinate a svilupparsi e a trasformarsi in un canale di collaborazione stabile, professionalizzante e generativo. Le molte esperienze in atto confermano che i bisogni e le specificità dei singoli si stanno trasformano in un vantaggio reciproco, che in molti casi produce effetti benefici anche per la competitività delle imprese. Emerge dunque un nuovo paradigma imperniato sull’intelligenza sociale che il non profit riesce a sprigionare in rapporto al profit. Quello che, probabilmente, ancora manca è un lavoro sistematico di interconnessione tra queste esperienze, per far sì che si attivi una contaminazione sempre più positiva e fattiva tra aziende, settori economici e attori sociali. L’evidenziazione e condivisione di buone pratiche provenienti da settori diversi può allora rivelarsi utile per valorizzare la crescente consapevolezza, suffragata dai risultati, della necessità di individuare nuove antenne in grado di intercettare l’innovazione sociale, che aiuta a migliorare la relazione con le comunità e gli stakeholder, a condividere i valori dietro i prodotti delle imprese con la società civile, a ridisegnare le dinamiche lavorative attraverso un nuovo senso di uno scopo comune e condiviso.

[2] https://symbola.net/approfondimento/enel-4/
[3] https://symbola.net/approfondimento/illycaffe-2/

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