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di Daniela Ostidich - Founder e CEO Marketing & Trade

Oggi la coesione per le imprese non è solo una tendenza etica, ma un ingrediente fondamentale per essere più competitive generando più valore per i consumatori. In un nuovo contesto di verità e trasparenza le aziende sono spinte a relazionarsi maggiormente con i propri clienti, interessati a comprendere l’effettiva qualità della proposta, non solo legata al prodotto ma anche al comportamento complessivo dell’impresa rispetto ad ambiente, società, salute, territorio e comunità.

Un contesto diverso rispetto a quello tracciato nel 2021, dove la pandemia vedeva una coesione con forti connotati psicologici: la ricerca di solidarietà per sconfiggere la solitudine, il fare squadra per combattere l’emergenza. Adesso le imprese sono invece chiamate a comprendere i cambiamenti avvenuti nella quotidianità dei consumatori.
A partire dal cambiamento degli stili di lavoro: con la diffusione dello smart working il consumatore cambia modo di vivere, diventando padrone del contesto e attorniato dal “suo” mondo, una situazione di relativo “agio” in cui il rapporto tra prestazione e retribuzione assume caratteristiche totalmente diverse (il risultato deve essere assicurato all’azienda ma i modi e i tempi sono lasciati al lavoratore).

Inoltre la società è più chiusa, più diffidente, più avara negli sforzi del dare poiché dispone (in senso fisico e psicologico) di minori risorse: le difficoltà economiche e un contesto generalmente avverso portano ad una focalizzazione se non sulla propria sopravvivenza, sul proprio interesse. La finalità personale spesso prevale su quella collettiva, anche se le due cose dovrebbero quadrare, ma la necessità di ripensare alle nuove regole del futuro esiste e spinge il primato della collaborazione. Una collaborazione magari meno altruista e votata a fare scudo insieme di fronte alla crisi di due anni fa, ma anche più concreta nella ricerca della verità che porta il consumatore, come anticipato, a volere informazioni chiare di una qualità tangibile, non solo raccontata. Inoltre i consumatori hanno sperimentato l’evitabilità di consumo e acquisto: si consuma per scelta e per scelta si può decidere di non acquistare, o si possono aprire le porte ad alternative che sono quelle dell’auto-produzione o del ricorso a baratto o usato.

Tuttavia i consumatori – pur in una situazione in cui le risorse economiche delle famiglie sono sotto attacco –sono disposti a spendere di più per brand in cui credono e per prodotti che lo meritano. Questo fattore va letto in senso più ampio rispetto alla stretta decisione dell’acquisto o non acquisto: si tratta di una prospettiva, o meglio di un “sentire”, che cambia la natura del rapporto tra chi produce e chi è il destinatario eletto di tale produzione.

Questi cambiamenti spingono oggi le imprese a ripensare su basi nuove le relazioni coi propri clienti, coinvolgendoli in maniera attiva nella produzione di valore. I primi clienti da ingaggiare sono proprio i collaboratori, che possono apportare idee di miglioramento ed essere testimonial dell’azienda verso il pubblico più ampio. Nel mondo dello sport e degli hobby questo è vero da sempre (ricordiamoci ad esempio che Decathlon sceglie le sue risorse di reparto selezionando sportivi amatoriali di quello sport) ma colpisce che sempre più spesso manager si presentino su LinkedIn come ad esempio “bike enthusiast and CEO” (azienda Ducati). Questo è lo spirito di condivisione e creazione di comunità alla base della nuova costruzione di valore, dove il dipendente è coinvolto emotivamente nella promozione dei prodotti della sua azienda: appartenenza e passione.

Le imprese, capendo che tale atteggiamento si è trasferito ad esempio nelle scelte di consumo, nelle preferenze di brand, nella ricerca di una dimensione collettiva diversa, sempre più presidiano questa capacità dei consumatori di immaginare ciò di cui hanno bisogno, co-progettando soluzioni con loro. È l’evoluzione concreta dello slogan della pubblicità televisiva di una famosa banca “disegnata attorno ai clienti”. Questo – ancora una volta – è particolarmente vero in tutti quegli ambiti in cui la competenza del consumatore nasce in un contesto di passioni e hobby.
Sono molte le aziende produttrici di attrezzature sportive che attingono ad un bacino di idee, suggerimenti, competenze, sperimentazioni dai propri clienti, con un rapporto paritetico di collaborazione e miglioramento continuo, che va oltre il contributo passivo da ricerca di mercato, per approdare a forme di coprogettazione e sperimentazione congiunta. Il caso di Cinelli nelle biciclette o di Elite Fuoripista sono esempi eclatanti. In questo ultimo caso la bicicletta da allenamento domestico Fuoripista è stata pensata e disegnata a tre mani: azienda, sportivi professionisti e tutta la community di sportivi amatoriali clienti di Elite. Il risultato è un prodotto eccezionale per prestazioni, estetica, ingegnerizzazione – risultato merito della convergenza di sensibilità e competenze diverse nelle attività di coprogettazione, test e miglioramento.

Non solo sport. Anche in altri ambiti governati dalla passione si sperimentano casi simili. Ad esempio Thinkdog – che nasce come polo di competenze in ambito educativo cinofilo, quindi servizi ai proprietari di cani e corsi di formazione per nuovi educatori cinofili con corsi, masterclass, attestati, sito di collaboratori su tutto il territorio nazionale – affianca ora uno shop di cibo e accessori per cani nato dalla collaborazione di clienti e formatori, in un unicum di comunità in cui la distinzione degli uni e degli altri appare persino difficile.
Altro terreno di collaborazione è rappresentato dall’esperienza di acquisto raccontata e veicolata dai clienti. Lago – azienda di arredo di design – con il suo progetto Lago Design Network coinvolge una rete di persone e luoghi diffusi sul territorio (case di clienti, ristoranti, uffici, musei, alberghi…) che diventano i primi testimonial dell’esperienza dei prodotti dell’azienda. Ma i vantaggi ci sono anche per chi partecipa al network, in termini di rete di conoscenze e di business che in questo modo si viene a creare.

Per le aziende lavorare sulla coesione come vantaggio competitivo oggi vuol dire presidiare una comunità – geografica o virtuale. I prodotti a km zero e di filiera corta, le piccole produzioni artigianali ma fortemente radicate nella cultura dei territori di appartenenza, il racconto di chi “sta dietro” la produzione (un esempio per tutti il successo di cuore della pizzeria PizzAut), il mondo del crowdfunding (oggi più selettivo ma ancora efficace): queste esperienze hanno sostituito e dovranno sostituire nel futuro il “wow effect” che ormai è nella naftalina insieme al consumismo bulimico. Non si tratta più di “far sognare” i clienti oltre le proprie possibilità, ma di raccontare il vero, di parlare della “reason why” della propria esistenza come azienda.
La coesione si fonda sulla convergenza di valori e di benefici comuni. Pensiamo, come esempio in questo caso, al recente spot televisivo di Coop intitolato “Insieme”: si parla di difesa del consumo, certo, ma all’interno di un mondo di condivisione di valori nel quale l’atto finale dell’acquisto è solo l’ultimo tassello di un modo di vivere il rapporto con i fornitori, con i dipendenti, con la tutela dell’ambiente. Si parla di scelta di una insegna di supermercato, certo, ma motivata da un canto corale che è anche vantaggio individuale.
Il senso unico, la passività o ineluttabilità del consumatore vanno così a perdersi e si entra in una dimensione in cui l’impresa può co-progettare con il cliente prodotti e servizi, sostenere il lancio di un prodotto o lo sviluppo di un’idea, testare prodotti in esclusiva e restituire feedback, diventando un vero testimonial, facendosi portavoce dei valori dell’impresa, che a sua volta diventa più competitiva e a prova di futuro.

> Continua a leggere il rapporto "Coesione è Competizione" p.13

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