Il turismo culturale è da tempo al centro del dibattito sulla sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Tanti sono gli esempi di località impattate negativamente dall’eccessivo uso delle risorse locali, sia materiali sia culturali, dall’industria del turismo. Tuttavia, le politiche e le pratiche legate a questo settore stanno spingendo verso una dimensione diversa, sostenibile, di innovazione leggera, potremmo definirla soft, in cui gli strumenti volti alla cura dei territori, attraverso promozione e protezione, riguardano la governance partecipata, la valorizzazione della scala di produzione micro e della creazione di network e opportunità di collaborazione sul versante dell’offerta.
Anche quest’anno il turismo culturale conferma il suo ruolo di ponte tra crescita economica, identità e sostenibilità. Da una parte, politiche orientate alla responsabilità e alla sostenibilità mirano a porre ordine in un sistema che tra la deriva post-industriale e la cesura pandemica risulta tuttora in cerca di uno snodo di equilibrio tra le sue variegate componenti. In questo quadro le amministrazioni municipali manifestano chiari segni di resistenza a meccanismi incontrollati che gravano sulla qualità della vita – e sul bilancio – delle famiglie residenti e finiscono per generare flussi di ricavo soltanto per alcune categorie di operatori, spesso con l’aggravante di statuti tributari piuttosto opachi e comunque non pienamente definiti. Dall’altra parte, la fenomenologia del turismo culturale – etichetta scomoda e spesso generosa rispetto a pratiche di viaggio sommarie e frettolose – si dipana nelle sue diverse sfaccettature, pur dando segnali incoraggianti per la proporzione crescente di viaggiatori in cerca di un’immersione consapevole e fondata sulle relazioni, con beneficio tanto per il sistema culturale quanto per la comunità residente. Al diffondersi di questo approccio più responsabile alla gestione dei flussi turistici e al simmetrico sostegno all’industria turistica locale si associano le urgenze crescenti in merito al cambiamento climatico e alle sue possibili ricadute sullo spettro delle attività che si sviluppano in ambito urbano e paesaggistico.
Sia l’OCSE sia la Commissione Europea, nei loro più recenti documenti di politiche per il turismo, promuovono una visione del turismo orientata alla sostenibilità, alla resilienza e all’inclusione. Entrambe riconoscono che la pandemia ha rappresentato una cesura critica e ha offerto un’occasione per ripensare i modelli di sviluppo turistico. Tra i punti in comune spiccano l’attenzione alla transizione verde e digitale, il rafforzamento delle competenze del settore, il miglioramento della governance e il coinvolgimento attivo degli stakeholder. Tuttavia, le differenze di approccio sono evidenti. L’OCSE, con una prospettiva tecnico-analitica, pone l’accento sull’importanza dell’evidenza empirica, sull’integrazione del turismo nelle strategie economiche generali, e sulla necessità di dati granulari e aggiornati per monitorare l’impatto delle politiche. Per esempio, sottolinea l’importanza di strumenti per valutare i trade-off tra benefici economici e costi ambientali. Il Transition Pathway for Tourism della Commissione Europea, invece, è più prescrittivo e partecipativo. Tra i 27 ambiti concreti di intervento identificati, spiccano la promozione dell’economia circolare (riduzione di rifiuti, consumi e inquinamento) e il miglioramento della condivisione dei dati tra attori pubblici e privati. Invita, inoltre, tutte le organizzazioni del settore a impegnarsi proattivamente: per esempio, incoraggia le imprese turistiche a sottoscrivere impegni volontari per ridurre l’uso della plastica o digitalizzare i propri servizi, così da contribuire alla trasformazione dell’intero ecosistema turistico europeo.

Dal punto di vista scientifico, studiosi e analisti di cultural policy utilizzano sempre di più il termine “turismo rigenerativo”. Questo concetto, applicato alle città e al turismo, si concentra sulla promozione di pratiche culturali che non solo preservano, ma rendono più efficaci e sostenibili gli ecosistemi culturali, sociali, economici e ambientali. Questo approccio mira a creare dinamiche positive lungo un orizzonte di lungo termine, favorendo l'inclusione sociale, la giustizia e la sostenibilità. Nelle città, si evidenzia il potenziale delle attività artigianali e della produzione su piccola scala ai fini del possibile contributo alle politiche urbane creative e rigenerative. Nel turismo, si promuovono strategie che intrecciano cultura e sostenibilità, valorizzando le comunità locali e il loro patrimonio. In un recentissimo volume tematico della rivista accademica International Journal of Cultural Policy, lo studio di alcune interessanti esperienze riporta buone pratiche di politica culturale rigenerativa[1].
Per esempio, in Europa pratiche urbane legate all'artigianato e alla produzione su piccola scala si stanno dimostrando cruciali per rivitalizzare quartieri, creare ecosistemi conviviali e rafforzare la resilienza economica e sociale delle città. A Marsiglia, ad esempio, politiche come l’Economic Developmnet Agenda 2022 si concentrano sull'inclusione sociale e sull'accesso al mercato del lavoro, promuovendo economie di prossimità e pratiche sostenibili. L'artigianato è visto come un mezzo per rivitalizzare quartieri vulnerabili e favorire la condivisione dell’esperienza quotidiana attraverso spazi di incontro e servizi locali, coadiuvato dai programmi di riqualificazione urbana dei tiers lieux (“terzi luoghi”) e dalla pratica del “locavorisme”, ovvero il favorire il consumo locale. Le politiche culturali locali hanno, inoltre, individuato in One Provence, marchio che lega i vari stakeholders territoriali che si occupano della culture du faire (“cultura del fare”), un branding territoriale importante. Di fatto, esso non solo permette ai vari attori dell’offerta di lavorare in sinergia, ma anche ai talenti locali di svilupparsi, ai residenti di ottenere servizi di alta qualità e, infine, al mercato edilizio di tenere in chiara considerazione le istanze di tutti gli attori della creatività locale dei centri storici.
Le politiche urbane e culturali di Rotterdam, invece, pongono attenzione sull'innovazione e sull'imprenditorialità, con un focus sulla transizione verso l'economia circolare. Il Rotterdam Makers District, un progetto di sviluppo del quartiere Merwe Vierhaven, integra attività creative e produttive con spazi residenziali, promuovendo una combinazione equilibrata di usi e un ambiente imprenditoriale dinamico. Inoltre, la creatività del luogo è stata anche qui raccolta sotto l’egida del marchio Made in Rotterdam, che gli artigiani e i designer locali adottano per condividere uno specifico senso di orgoglio derivato dal legame con la città[2].
Un recente studio sulle dinamiche rigenerative delle piccole comunità ha analizzato le pratiche rigenerative di tre piccoli comuni portoghesi con una certa rilevanza storica e culturale, Abrantes, Caldas da Rainha e Covilhã[3]. I risultati principali evidenziano che le iniziative cultura-turismo possono contribuire a processi rigenerativi locali, favorendo la vitalità culturale, la connessione con il territorio e il benessere della comunità. Tuttavia, spesso mancano quadri politici locali che supportino queste iniziative a lungo termine. Ad Abrantes un festival annuale, il 180 Creative Camp, ha trasformato spazi pubblici con installazioni artistiche ispirate alla cultura locale, coinvolgendo giovani creativi e associazioni locali, promuovendo co-creazione e partecipazione comunitaria; da questa prospettiva la crescita del grado di attrattività risulta coerente con il rafforzamento della percezione dell’identità locale da parte della comunità residente. Il Bazar à Noite di Caldas da Rainha è un mercato creativo che rafforza l'identità locale e il commercio tradizionale. Questa iniziativa attiva gli spazi pubblici del paesino e valorizza l’imprenditoria creativa e culturale emergente, favorendone il networking con artisti locali e visitatori esterni. A Covilhã il patrimonio industriale della lana, eccellenza locale, è stato valorizzato nel progetto Wool é Cool, nell’ambito di un più ampio progetto di rigenerazione urbana e paesaggistica Rota da Lã Educa intorno al museo della lana, che promuove workshop e tour guidati, coinvolge studenti, insegnanti e maestranze locali. I risultati di questo studio offrono degli spunti interessanti per lo sviluppo di politiche di turismo rigenerativo. Tra le priorità evidenziate, gli autori suggeriscono di creare un progetto "bandiera" che stimoli collaborazioni e programmi culturali continuativi, promuovere il coinvolgimento regolare della comunità per un cambiamento positivo a lungo termine e, infine, considerare le eredità dei progetti per stimolare nuove iniziative e rafforzare il legame con il territorio.
Il turismo culturale cerca sempre di più la condivisione delle pratiche sociali e delle letture identitarie; il consolidamento di questa aspettativa da parte di un numero crescente di viaggiatori ha indotto alcune amministrazioni a progettare interventi dedicati alla comunità locale, innanzitutto per rafforzarne il capitale sociale ma al tempo stesso per evidenziarne alcuni tratti identitari che certamente esercitano il proprio impatto sui flussi turistici. Nelle regioni meridionali del Cile, ad esempio, alcuni musei hanno introdotto iniziative volte a celebrare momenti storici tuttora sottorappresentati, enfatizzando il contributo di figure locali e contribuendo alla rigenerazione di un tessuto sociale che eventi naturali e politici talvolta fanno vacillare[4]. Esempi di questo tipo si trovano anche nel continente africano. Ad esempio, ad Accra, in Ghana, la comunità, estesa e variegata, attiva nel campo delle arti visive è assistita da intermediari creativi che incoraggiano i progetti e le iniziative legate all’arte contemporanea ad allinearsi con le dimensioni sociali ed economiche rientranti negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). In parallelo, in altri centri urbani del Ghana diverse sono state le azioni volte a promuovere le pratiche musicali tradizionali dei tamburi, rinnovando in chiave contemporanea il patrimonio musicale ereditato da generazioni. In questi luoghi, infatti, i tamburi tradizionali sono strumenti fondamentali per la musica e la comunicazione rituale, protagonisti di orchestre complesse e di ritmi profondamente legati alla spiritualità locale. Nonostante la musica tradizionale in molte culture africane sia storicamente dominata dagli uomini, grazie a queste iniziative di turismo rigenerativo è stata favorita la partecipazione femminile non solo come spettatrici ma anche come esecutrici e custodi delle tradizioni[5].
Nelle comunità alpine tra Francia e Italia, il programma Interreg ALCOTRA offre finanziamenti a microprogetti in molti ambiti, tra cui il patrimonio culturale e la digitalizzazione con il fine di conservare la cultura di queste comunità e valorizzarla attraverso metodi partecipativi. Anche se non in maniera esplicita, i progetti afferenti a questo programma sono di fatto esempi di turismo rigenerativo. Il bando MONDI - Modelli di Innovazione per la Digitalizzazione e l’Inclusione nei borghi, per esempio, sperimenta con i comuni di Nus, Fénis e Saint-Marcel in Valle d’Aosta e la Valle Roya delle piattaforme digitali per ripopolare i borghi attraverso riqualificazione di edifici e spazi pubblici e riattivazione sociale e commerciale tra cittadini, imprese e istituzioni locali. Nei comuni coinvolti, le amministrazioni hanno, ad esempio, promosso la partecipazione dei cittadini di ogni età con iniziative come la Banca delle Ore (per scambio di competenze e piccoli lavori), assemblee cittadine periodiche e la collaborazione tra giovani, anziani e associazioni locali per la cura del territorio e l’animazione sociale. Mentre gli interventi di recupero di edifici storici, spazi pubblici e aree naturali puntano all’efficientamento energetico, alla mobilità sostenibile e alla valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale locale, lo sviluppo economico locale è promosso puntando sui prodotti tipici, la creazione di mercati contadini e la valorizzazione delle filiere agricole e artigianali.
Il bando Alte Valli 2030 ha l'obiettivo rispondere alle sfide contemporanee delle fragili aree delle Alte Valli, il territorio degli escartons, tra Italia (Piemonte) e Francia (Savoie, Hautes-Alpes), attraverso la valorizzazione della cultura transfrontaliera, per rafforzare il senso di appartenenza delle popolazioni locali e mettere in moto processi di sviluppo sostenibile dell’offerta economica, sociale, culturale e turistica del territorio. Da un lato, l’economia circolare e la creazione di servizi innovativi per contrastare lo spopolamento viene perseguita con il sostegno a micro e piccole imprese non agricole per favorire la diversificazione economica e la digitalizzazione. Dall’altro, la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale comune è promossa da una strategia di comunicazione volta ad aumentare la visibilità e l’attrattività del territorio.

E, a proposito di aree montane ma spostandoci in Asia meridionale, tra la pianura del Gange e la catena montuosa dell'Himalaya, troviamo il Nepal, dove opera l’Annapurna Conservation Area (ACA), esempio di strategia di turismo culturale sostenibile che integra conservazione ambientale, valorizzazione del patrimonio culturale e coinvolgimento delle comunità locali. Attiva dal 1986, l'ACA protegge paesaggi spettacolari e un ricco mosaico etnico (Gurung, Magar, Thakali, ecc.), promuovendo un turismo rispettoso dell’ambiente e delle tradizioni. Le comunità locali gestiscono attivamente l’area, offrendo alloggi in teahouse e programmi di eco-turismo, come homestay e attività culturali. I proventi del turismo sostengono la conservazione e lo sviluppo locale. Sfide come l’overtourism e i cambiamenti climatici sono affrontate con regolamentazioni, educazione ambientale e itinerari alternativi[6].
Focalizzando ancora l’attenzione in questa parte del globo, uno studio scientifico di qualche anno fa[7] ha analizzato la relazione tra conservazione ambientale e benessere economico, con un focus sul Nepal. Utilizzando un modello teorico e dati empirici, è stato dimostrato che, al contrario della retorica comune a riguardo, la relazione tra conservazione e benessere è a forma di ‘U’. Quando la conservazione è bassa, il benessere diminuisce a causa dei costi opportunità legati alla riduzione delle attività estrattive. Tuttavia, superata una certa soglia, la conservazione favorisce lo sviluppo di settori alternativi, come l'ecoturismo, che aumentano il benessere. I risultati empirici confermano questa relazione non lineare e mostrano che l'ecoturismo è un canale significativo attraverso cui la conservazione influisce positivamente sul benessere. Inoltre, l'interazione tra conservazione e sviluppo dell'ecoturismo ha un impatto positivo sul consumo delle famiglie. Questo suggerisce che la conservazione, se accompagnata da settori alternativi produttivi, può contribuire sia alla protezione ambientale sia alla riduzione della povertà.
In contrasto, il vicino Tibet sta affrontando un problema inverso: il turismo culturale è diventato strumento politico per consolidare il controllo della Cina sulla regione autonoma. Attraverso investimenti massicci, la cultura tibetana è stata commercializzata e spettacolarizzata per attrarre il turismo interno cinese. L’immagine di un Tibet spirituale, pacifico e pittoresco maschera una realtà di repressione culturale e assimilazione forzata. I monasteri diventano attrazioni, i costumi sono noleggiati per i selfie e la lingua e le tradizioni tibetane vengono soppiantate. Questo processo, definito “Shangrilazation”, trasforma il Tibet in un parco tematico ideologico che promuove l’unità nazionale secondo la visione del Partito Comunista Cinese[8].
Intanto, anche le preferenze dei viaggiatori si modificano, dimostrando che l’imperativo della sostenibilità nel turismo ha una scala globale. Un recente studio pubblicato sul Journal of Sustainable Tourism ha utilizzato un metodo econometrico sperimentale per studiare le preferenze e attitudini dei viaggiatori aerei riguardo alle emissioni di carbonio. L'obiettivo è valutare la disponibilità a pagare per voli con emissioni ridotte, distinguendo tra viaggiatori per svago e per lavoro. I risultati mostrano che sia chi viaggia per svago sia chi per lavoro è influenzato dal prezzo e dalle emissioni ma che i viaggiatori frequenti e con comportamenti di consumo etico hanno una maggiore avversione alle emissioni, quindi una inferiore sensibilità al prezzo. Lo studio ha infine evidenziato l'importanza di fornire informazioni sulle emissioni per influenzare le scelte dei consumatori e promuovere viaggi più sostenibili. La lezione appresa è che la lotta al cambiamento climatico fa parte a pieno titolo della sfera privata dei consumatori e delle aziende non è più solo appannaggio di policy[9].
Se il turista di massa è palesemente onnivoro e vorace, il viaggiatore degli anni più recenti è stato spesso interpretato come “specialista”, immaginando che percorsi tematici potessero attrarre una long tail di appassionati in cerca di immersioni coerenti. In realtà, a ben guardare, la “normalità” di fruitori versatili che emerge con chiarezza in molti campi riguarda anche il turista, che sempre di meno viene risucchiato da percorsi monografici. La capacità evocativa dei luoghi è così associata a diverse attività culturali, tra le quali un posto speciale è occupato dalla musica. Se alcune mete turistiche raccontano vite di musicisti (potrebbero bastare Salisburgo e Bayreuth con le mille evocazioni mozartiane e wagneriane e con i festival che ne rinnovano la legacy), altre mete sono raccontate nei brani musicali, dal classico al pop. Da questa prospettiva la musica diventa un eloquente catalizzatore di interesse, enfatizzando l’identità territoriale, e al tempo stesso preservando e diffondendo le specificità locali attraverso la forma e la tecnologia di strumenti musicali autoctoni e l’incedere di canti e suoni che altrimenti andrebbero gradualmente a estinguersi[10].
Prima di offrire il valore dell’identità locale ai visitatori esterni, una fase delicata e potenzialmente foriera di contrasti e conflitti è la costruzione degli eventi e delle manifestazioni, che possono generare benefici notevoli a costo di risultare dalla combinazione equilibrata dei profili tecnici, degli interessi di stakeholders e addetti ai lavori e al tempo stesso delle urgenze della comunità residente. La recente esperienza di Salonicco ne pone in evidenza la relativa semplicità di costruzione: la Fiera del Commercio, un’iniziativa cruciale per lo sviluppo economico della città e dei suoi numerosi operatori economici e finanziari, è stata disegnata attraverso un processo partecipativo che ha coinvolto la cittadinanza e gli stakeholders, rafforzando così il consenso di fondo e l’accettazione della pianificazione urbana, in modo da risultare del tutto coerente con la vocazione e le dinamiche identitarie e strategiche della città greca[11].)
Le connessioni fra turismo culturale e comunità locale sono valorizzate anche nei progetti di rigenerazione sociale sopracitati, realizzati nei piccoli comuni portoghesi di Abrantes, Caldas da Rainha e Coviha, in cui la stessa comunità residente, animata dalle visioni e dai desideri dei propri professionisti del sistema culturale, ha costruito dei protocolli di rigenerazione volta alla condivisione dell’identità e dei valori locali con i viaggiatori, in qualche misura supplendo con efficacia alla lentezza endemica dei disegni delle politiche a sostegno della cultura e del turismo. Si tratta di azioni strategiche fondate sulla valorizzazione del patrimonio culturale in un quadro multidimensionale, in modo da dialogare con turisti culturali versatili e inclini all’esplorazione anziché all’accumulazione, e con una specifica attenzione nei confronti delle tematiche della sostenibilità ambientale, che comincia a spostare il peso del turismo culturale dalla mera dimensione alle modalità di fruizione. In questo quadro strategico, la co-creazione di percorsi e progetti risulta cruciale per l’incisività dei processi di rigenerazione. Così nuove attività culturali e creative si innestano efficacemente nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e nella parallela fruizione non convenzionale e diretta degli spazi urbani[12]. Al capo opposto dello spettro del possibile, si colloca l’iniziativa quanto mai rigida e sommaria del biglietto d’ingresso, sperimentata da poco e con precario successo dal Comune di Venezia, che la stessa comunità residente ha escogitato come eludere, dichiarando i visitatori che lo chiedono come propri parenti e superando accortamente la barriera dell’estraneità. Regole rigide incoraggiano escamotage semplici e incisivi.
Nel mese di giugno 2025, forse inaspettatamente, il Comune di Capri ha emesso un’ordinanza che vieta di importunare i turisti invitandoli a comprare souvenir, a sedersi in un ristorante, in sintesi a subire la pressione dei commercianti locali che – in inevitabile competizione tra loro – cercano di sfidare la pazienza dei turisti per accrescere i propri ricavi. Finché si adotta un orizzonte di breve periodo, la ‘spremitura’ del turista è pratica condivisa, che molti governi municipali hanno tollerato e per molti versi incoraggiato. Nello stesso periodo, a Barcellona e in altre città europee, sono riesplose le proteste contro la cultura estrattiva dell’overtourism. La temperie degli ultimi anni indica con chiarezza una decisa inversione di rotta, che si può sintetizzare nel termine ‘consapevolezza’. Non soltanto i danni della congestione, le spinte dei prezzi, lo snaturamento dell’identità locale hanno cominciato a generare dissenso verso quelle stesse amministrazioni che se ne facevano un blasone per la stampa a buon mercato. Soprattutto, si è cominciato a preferire un approccio più selettivo, comprendendo che il turismo responsabile si mescola più facilmente con la comunità residente, che i benefici commerciali si distribuiscono in modo meno squilibrato, che vocazioni locali snobbate dal turismo frettoloso sono invece al centro del desiderio di esplorare e scoprire che anima i viaggiatori degli anni più recenti. In questo modo si potrà finalmente superare la contraddittoria associazione di effetti speciali e luoghi comuni sul versante dell’offerta, e pratiche da gregge su quello della domanda; a ben guardare, le iniziative coerenti e capaci di sedimentarsi sono anche le più vantaggiose in termini di soddisfacimento della domanda, consenso della comunità residente e ricavi per il comparto turistico e per il sistema culturale. Nuovi orientamenti richiedono, tuttavia, una simmetrica consapevolezza strategica da parte delle amministrazioni pubbliche, dal governo centrale fino a quelli municipali, cui gioverebbe non poco lasciare la tentazione – tuttora diffusa e condivisa – di ‘misurare’ il turismo in numeri assoluti, per costruire politiche caratterizzate da regolamentazione minima, rigenerazione infrastrutturale, adeguamento tecnologico, formazione di competenze specialistiche, in breve, gestione strategica del territorio.

