Il cammino verso l’economia sostenibile-circolare-rigenerativa è pieno di buone intenzioni, ma anche di tante cose che neppure ci immagineremmo. Ogni tanto vale la pena cambiare punto di osservazione e lasciare da parte qualche luogo comune automatico. Prendiamo la transizione energetica del Paese simbolo della crescita, la Germania. Angela Merkel, che è stata, vale la pena ricordarlo, anche ministra dell’Ambiente e la sicurezza dei reattori nel governo di Helmut Kohl, con il piano Energiewende ha deciso la svolta, dal nucleare alle rinnovabili. Entro il 2022. Eppure, circa il 37-38% dell’energia tedesca arriva ancora dal carbone e dalla lignite, di cui sono piene le foreste del Nord Europa. E poi ci sono le pale eoliche del mare del Nord. Molta di quella energia pulita finora è andata sprecata, persa, perché non c’era un cavo per poterla trasportare. Ora nel progetto “German corridor”, tra le altre, è stata coinvolta un’azienda italiana, Prysmian che realizzerà una parte rilevante dei 1.150 chilometri di strada di quella energia. Ecco, l’Italia che su tanti fronti gioca una partita di mantenimento, per evitare di arretrare, su questo, l’economia sostenibile-circolare-rigenerativa può aspirare a qualcosa di più. Molto di più. Quando venne introdotta, dall’allora ministro Edo Ronchi, la raccolta differenziata attraverso i consorzi, per il riciclo di plastica, alluminio, carta, vetro, molte aziende protestarono per i costi iniziali. Mancò un po’ di visione: oggi l’Italia è (dati Eurostat, elaborazione Ong Kyoto club) il Paese leader nel riciclo, con circa il 77% mentre la media europea non arriva al 40% e la Francia viaggia al 54%. Certo, questo dato non è uniforme, ma è un buon punto di partenza. Il consumo di carbone in Italia è pari al 12%, meno di un terzo di quello tedesco. Numeri che raccontano di una possibile leadership a cui l’Italia potrebbe tendere. Renzo Rosso, ma non soltanto lui, lo ripete da tempo: ” Per quanto il Covid continui ad essere una preoccupazione crescente nel mondo, per quanto la crisi economica che stiamo attraversando sia pesante, dobbiamo considerare questa congiuntura come un momento di cambiamento unico che non possiamo mancare. Il nostro Paese è ricco di una bellezza naturale, architettonica e storica uniche. Abbiamo spiagge, monti, monumenti e città d’arte, un patrimonio culturale e gastronomico dei più ampi. Se tutto ciò venisse gestito in maniera sostenibile, potremmo diventare il Paese-icona a cui tutti aspirano”, ha detto di recente al Sole24 ore. Un Paese-icona. Nel quale, secondo il rapporto Symbola negli ultimi cinque anni 432 mila imprese hanno investito in sostenibilità, creando oltre 3 milioni di posti di lavoro, i cosiddetti green jobs. Le aziende quotate, prima vivevano il Rendiconto non finanziario poco più di una perdita di tempo, anche costosa, adesso è il loro biglietto da visita per convincere gli investitori, non solo Blackrock, a comprare le loro azioni. Sarebbe stato impensabile quando Milton Friedman sosteneva che l’unica responsabilità sociale delle imprese fosse produrre utili, profitti. Anche nella produzione dei rifiuti (parola che l’economia rigenerativa e sostenibile sta cercando di ridurre la minimo indispensabile, proprio solo quello che non si può recuperare) siamo tra i primi della classe: 43,2 tonnellate per milione di euro prodotto, contro una media Ue di 89 milioni e le 67 tonnellate della Germania. E poi un pezzo della nostra economia troppe volte sottovalutato: l’agricoltura. Siamo, scrive Symbola, i primi al mondo per la coltivazione di aree a biologico, con circa il 15,5 per cento della superfice totale. Ci sono società che in questo momento stanno studiando con l’intelligenza artificiale come individuare gli insetti dannosi direttamente sul campo e poi adottare le contromisure a minore impatto ambientale. Agricoltura hi tech sostenibile. L’Italia è diventato un laboratorio avanzato di futuro in questo campo, quasi senza rendersene conto. Ma non bisogna sedersi.