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di Cluster Spring e Re Soil Foundation

Immaginate di poter coltivare piante su terreni aridi o contaminati da metalli pesanti e poterle trasformare in materie prime per prodotti innovativi e a basso impatto ambientale. Oppure di essere un agricoltore e poter far crescere le coltivazioni, proteggendole dalle erbe infestanti grazie a pellicole realizzate anch’esse da materie prime vegetali che poi, a loro volta, si degradano rilasciando sostanze nutritive in quegli stessi terreni. O ancora, di gestire un’azienda vitivinicola e poter convertire gli scarti di produzione del vino in alcool etilico per l’industria cosmetica. O, perché no, trasformare gli alimenti non consumati e, insieme a loro, gli imballaggi delle confezioni che li contenevano, in fertilizzanti naturali sfruttando l’azione di miliardi di batteri, riducendo i rifiuti da mandare in discarica o termovalorizzazione e, anzi, creando ritorno economico mentre diminuiamo la nostra impronta ecologica. Tutti questi esempi appartengono già al nostro presente. A renderli possibili è la bioeconomia e, al suo interno, la chimica bio-based. Settori produttivi trasversali che stimolano il rinnovamento del panorama industriale italiano creando sinergie tra settori diversi e valore aggiunto per il sistema Paese.

Una strada obbligata (e virtuosa) per il settore chimico

Neutralità climatica, rigenerazione dei suoli e della biodiversità, valorizzazione della frazione organica dei rifiuti, transizione verso prodotti a base biologica, sostituzione della plastica. La strada verso questi traguardi non può prescindere dal valorizzare lo sviluppo dei settori industriali capaci di dare risposte concrete. A partire dalla bioeconomia circolare e, al suo interno, dalla chimica bio-based.

La bioeconomia permette infatti di utilizzare risorse biologiche rinnovabili, provenienti dal mare e dalla terra, come input per la produzione industriale, alimentare ed energetica. Allo stesso tempo, la chimica bio-based[2] rappresenta un valore aggiunto per molti comparti produttivi che hanno  l’opportunità di ridurre e valorizzare i propri scarti, trasformandoli in nuova materia prima, con benefici economici e sulla competitività.

La crescita della chimica bio-based è il primo tassello per lo sviluppo e il consolidamento di molti altri comparti: biopolimeri, biocarburanti, biolubrificanti, bioerbicidi, biocosmetici. Uno dei meriti principali della chimica bio-based è infatti quello di stimolare interconnessioni tra filiere diverse e donare un nuovo valore al mondo agricolo. Quest’ultimo è il primo protagonista nell’applicazione di pratiche rigenerative in grado di curare e custodire il suolo ma è anche fruitore dei prodotti ottenuti attraverso la valorizzazione delle biomasse e, al tempo stesso, partner di innovazione: proprio sui terreni agricoli si sperimenta l’applicazione dei prodotti chimici bio-based.

Il nuovo approccio fornisce un importante contributo alla rigenerazione territoriale, mediante un modello basato sulla riconversione di siti dismessi, che creano vuoti urbani spesso problematici, in termini di sicurezza pubblica, di degrado sociale e ambientale.

Nel 2022, i dati mostrano la rilevanza del meta-settore della bioeconomia circolare: l’insieme delle attività bioeconomiche in Italia - agricoltura, silvicoltura, sistema moda, bioprodotti, legno-carta, rifiuti organici, bioenergia e, ovviamente, la chimica bio-based - hanno generato un valore della produzione pari a 415,3 miliardi di euro (+15,9% sul 2021), l’11% del totale nazionale, occupando due milioni di persone. Più nello specifico, per la chimica bio-based si stima per il 2022 un valore della produzione di 5,5 miliardi di euro (circa un miliardo in più rispetto al 2021) con un'incidenza dell’1,7% sul totale della bioeconomia circolare italiana. In termini occupazionali, il numero di addetti è stimato in 9mila unità.
A questi numeri si aggiungono quelli del comparto gomma e plastica bio-based, le cui stime prevedono una crescita del valore della produzione di circa il 15%, con un output di 1,6 miliardi di euro e 5mila addetti. [3]  Altrettanto interessanti sono i numeri fatti segnare da uno dei settori centrali nell’applicazione della chimica bio-based: quello delle bioplastiche. La domanda europea è passata dalle 210mila tonnellate del 2019 alle 320mila del 2021. Più nel dettaglio: la domanda delle plastiche bio-based in Europa è raddoppiata (da 50 a 100mila tonnellate) mentre quella delle plastiche compostabili[4] è cresciuta dalle 160mila tonnellate del 2019 alle 220mila del 2021).[5]

[1] Il capitolo è realizzato in collaborazione con Cluster Spring e Re Soil Foundation.

[2] Nota anche come “chimica verde”, racchiude le applicazioni che utilizzano materie prime rinnovabili per realizzare prodotti innovativi in grado di aiutare a risolvere problemi ambientali, utilizzando biomassa in maniera sostenibile. In quest’ambito, si va rafforzando l’utilizzo di input non solo di origine agricola ma anche derivanti da fanghi o dalla frazione organica dei rifiuti.

[3]  Intesa Sanpaolo (2023), La Bioeconomia in Europa - 9° Rapporto annuale.

[4] Le plastiche bio-based sono realizzate con polimeri aventi proprietà analoghe a quelli tradizionali ma interamente o parzialmente ricavati da biomassa vegetale. Anche le plastiche biodegradabili e compostabili sono derivanti, parzialmente o interamente, da contenuto rinnovabile ma sono inoltre ideati per poter essere avviate, nel loro fine vita, a riciclo organico. Più avanti nel capitolo, un focus dedicato. 

[5] Indagine sviluppata da Plastic Consult per Assobioplastiche nel settembre 2022.

 

Continua a leggere su GreenItaly 2023 | p.370

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