Il settore della chimica sta diventando sempre più sostenibile, grazie al contributo della chimica bio-based, che impiega biomasse – materie prime agricole o scarti organici come quelli agroalimentari, forestali o del legno – per avere soluzioni a basso impatto ambientale, che contribuiscono alla decarbonizzazione, creando filiere integrate e radicate nei territori. I campi di applicazione sono numerosi: biopolimeri, biocarburanti, biocombustibili, biolubrificanti, prodotti fitosanitari e biocosmetici.
Questo settore rappresenta un’occasione strategica per l’Italia, una nazione con una forte tradizione agricola e una filiera agroalimentare sviluppata che offrono materie prime diversificate e, per di più, innovative. L’Italia è il Paese europeo con le migliori performance nella raccolta del rifiuto alimentare: nel 2022 ha intercettato circa 5,5 milioni di tonnellate, pari al 72% del potenziale nazionale. A livello europeo la media si ferma al 26%, e l’Italia da sola rappresenta il 36% del totale di food waste raccolto nell’Unione Europea.
Il settore bio-based è strumento essenziale per raggiungere questo traguardo (si pensi al ruolo chiave delle bioplastiche compostabili nella raccolta dell’umido) e al contempo per valorizzare il rifiuto umido, sia in campo agricolo (tramite l’utilizzo di compost per restituire fertilità ai suoli) che attraverso processi innovativi per la produzione di prodotti ad alto valore aggiunto. I prodotti biodegradabili e compostabili rappresentano allo stesso tempo una soluzione per la protezione degli ecosistemi, in quanto, come dimostrato dall’inserimento dei teli per pacciamatura biodegradabili nel regolamento fertilizzanti, assolvono le funzioni per le quali sono stati sviluppati, come la protezione delle colture nel caso dei teli, senza rilasciare microplastiche persistenti nell’ambiente.
La crescita di un’industria chimica più sostenibile che porti sviluppo e occupazione nei territori, oltre ad attrarre investimenti e stimolare ricerca e innovazione, ha un ulteriore punto di forza: non solo contribuisce a ridurre gli impatti del comparto chimico, ma aiuta anche altri settori a diventare più sostenibili. Ha la caratteristica di essere trasversale e integrarsi con l’agricoltura, la cosmesi, il packaging e il tessile, dove le fibre possono nascere da residui vegetali. Trova spazio anche nel legno-arredo, nelle resine, nelle vernici, nella concia e persino nell’automotive, dove alcune parti delle automobili sono già realizzate in plastica bio-based.
Per questo monitorarne l’evoluzione è un buon indicatore del grado di transizione ecologica di un Paese. Tuttavia, si sta assistendo a un fenomeno preoccupante: sebbene l’agricoltura regga, altri settori stanno rallentando il percorso di crescita. Comprendere quali siano le cause diventa fondamentale: dalla startup che non riescono a passare a un’economia di scala, a un sistema che non supporta adeguatamente i prodotti bio-based, ad esempio imponendo un contenuto minimo bio-based per certe categorie di prodotti o attraverso un sostegno adeguato con finanziamenti alle startup, fino a incertezze e barriere normative per quanto riguarda la normativa end of waste, sono tanti gli ostacoli che attualmente rallentano la corsa di un settore altamente strategico per l’Italia

