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di Carlo De Iorio Frisari e Roberta Ghilardi, Deloitte Private Italia

Negli ultimi anni, si rileva crescente interesse per la sostenibilità, da un punto di vista ambientale, sociale e di governance, come ben riassunto dall’acronimo ESG: Environmental, Social e Governance. In questo contesto, l’ONU ha definito l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità che si compone di 17 obiettivi, declinati in ulteriori 169 target o traguardi. A livello europeo, questo ha portato all’introduzione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) in materia di reporting di sostenibilità, che si pone l’obiettivo di realizzare un sistema economico-finanziario sempre più sostenibile. La CSRD, che amplia il perimetro di applicazione della precedente Direttiva europea in materia di reporting non finanziario, migliora l’informativa di sostenibilità a disposizione della collettività, della comunità finanziaria e degli altri stakeholder. Fine ultimo è quello di orientare meglio i processi decisionali, con uno sguardo che vada oltre ai meri aspetti economici e finanziari, per contribuire a indirizzare le risorse su attività sostenibili e premiare operatori consapevoli del loro ruolo nella società. Uno dei temi chiave della CSRD è il valore restituito alle comunità locali e, in questo contesto, le imprese che integrano il sostegno alla cultura nelle loro strategie di sostenibilità hanno l’opportunità di raccontarlo e valorizzarlo agli occhi degli stakeholder.

Misurare gli impatti delle attività culturali, o del supporto delle imprese alle stesse, non è tuttavia semplice. Per misurare e comunicare gli impatti ESG dalla cultura esistono diverse metodologie potenzialmente applicabili, che si concentrano spesso soltanto su alcuni degli aspetti inclusi nelle tematiche ESG, dimostrando che è necessario integrare metodologie diverse per favorire analisi di maggiore efficacia. Nel seguito si presentano alcune delle metodologie più note, di evidenziando i principali punti di forza e di debolezza.

Tra le più note metodologie per la misurazione dell’impatto culturale è possibile citare la metodologia Social Return On Investment (SROI), che permette di misurare l’impatto, assegnando un valore monetario. È un metodo per la valutazione e la rendicontazione di un concetto di valore più ampio di quello meramente economico, che integra nell’analisi i costi e i benefici sociali, economici ed ambientali[1]. Per fare questo, il cambiamento, che si sostanzia negli “effetti”, o outcome, delle attività oggetto d’analisi, vengono valorizzati attraverso specifiche proxy finanziarie, al fine di calcolare un ratio tra benefici e costi e valutare quanto valore sociale venga generato per ogni euro investito[2]. La metodologia SROI può essere applicata con fine valutativo, ossia ex-post, basandosi su outcome reali già raggiunti; o con fine previsionale, per prevedere quanto valore sociale sarà creato se le attività raggiungono gli outcome attesi. In entrambi i casi, l’analisi SROI prevede sei fasi, partendo da quella che richiede di stabilire il campo d’analisi e identificare i principali stakeholder dell’attività o organizzazione in perimetro, nonché di chi sarà coinvolto nel processo di analisi e come. In seguito, risulta necessario mappare gli outcome, che rappresentano il cambiamento generato dalle attività oggetto d’analisi, da identificarsi coinvolgendo gli stakeholder. Per arrivare alla mappatura degli outcome, è fondamentale identificare tutte le risorse utilizzate per la realizzazione delle attività (input) e i risultati ottenuti (output), mettendo tali elementi in relazione. La fase successiva, che si differenzia tra SROI valutativo e previsionale, consiste nell’approfondire quali outcome siano stati generati o stimare quanti e quali outcome possano essere generati, per poi valutarli, quindi attribuire loro valore finanziario. Per ultimare la definizione dell’impatto, occorre identificare e “scontare” (ossia sottrarre) gli aspetti del cambiamento che sarebbero comunque avvenuti o che sono il risultato di altri attori, nonché comprendere se le attività beneficiarie delle risorse di input possano avere sottratto ad altre attività risorse che avrebbero generato impatti sociali positivi. Dopo questi passaggi è possibile calcolare lo SROI, che si sostanzia nella somma di tutti i benefici generati sugli stakeholder, la sottrazione dei valori negativi e il rapporto tra risultato e investimento. La Guida SROI dello SROI Network sottolinea l’importanza di un ultimo passaggio successivo per la conclusione del processo, ovvero la condivisione dei risultati con gli stakeholder, con impegno a rispondere alle loro domande, integrare nel tempo i processi per una valutazione più solida e regolare, nonché garantire la possibilità a terzi di verificare le analisi svolte. Lo SROI presenta diversi punti di forza. In primis, favorisce la pianificazione e allocazione strategica delle risorse, migliora la trasparenza e dimostra con un linguaggio facilmente comprensibile (quello economico) come gli investimenti in determinate attività producano valore sociale. La sinteticità dell’indice SROI può quindi diventare una forte leva di raccolta fondi, nonché di analisi dell’efficacia delle azioni a favore degli stakeholder nel tempo. Esistono tuttavia alcuni limiti a questa metodologia, tra cui: la complessità dello sviluppo dello studio, che prevede anche il coinvolgimento degli stakeholder, e la necessità di investire tempo e risorse, nonché di disporre di persone tecnicamente preparate per la sua realizzazione. Alcuni criticano, inoltre, la presenza di elementi di soggettività nella scelta delle proxy finanziarie con cui valorizzare gli outcome, nonché nella definizione degli “sconti” finali, poiché in molti casi distinguere l'impatto specifico di un'attività da altri fattori esterni può essere complesso.

Un’altra metodologia nota consente, invece, di determinare il valore economico e sociale di un bene culturale anche in assenza di riferimenti di mercato, attraverso una valutazione econometrica basata sui metodi utilizzati per la valutazione degli asset ai fini contabili. Deloitte, per esempio, ha adottato questa metodologia per stimare il valore del Colosseo, che contribuisce per 1,4 miliardi di euro all'anno all'economia italiana (in termini di contributo al PIL) come attrazione turistico-culturale e ha un valore sociale pari a circa 77 miliardi di euro. Questa metodologia parte dall’analisi del valore economico[3] dei beni culturali calcolato in termini di contributo al PIL, legato alla loro fruizione diretta da parte del pubblico.  La valutazione considera le attività operative, ovvero il valore aggiunto generato dai ricavi derivanti dagli ingressi e dai servizi aggiuntivi, e il valore aggiunto derivante dalla spesa turistica indotta. Quest’ultimo dato può essere stimato grazie all’utilizzo di un modello di regressione basato sui dati di indagini relative alla spesa dei turisti su diverse categorie di spesa, integrati eventualmente dai risultati di survey ad-hoc. Inoltre, i beni culturali generano un valore d’uso indiretto, ovvero un valore intangibile connesso al piacere della sola vicinanza e vista di un bene di questa tipologia, il cosiddetto valore edonico. Per stimarlo può essere definito un modello econometrico di regressione dei prezzi edonici, utilizzando i dati delle transazioni osservate nel mercato immobiliare. Di conseguenza, il valore d’uso indiretto è frutto dell’extra-valore attribuibile alla vicinanza al bene culturale moltiplicato per le abitazioni ubicate nell’area circostante al sito. L’ultimo tassello della metodologia è legato al Social Asset Value, cioè il valore del bene culturale come asset sociale, stimato come somma del Transaction Value, connesso alla spesa dei visitatori durante l’esperienza della visita, e al valore che viene riconosciuto alla sua esistenza, ossia l’Existence Value, stimato a partire dalla disponibilità individuale a pagare (Willingness To Pay)[4]. Anche in questo caso, seppur i risultati possano essere semplici da comprendere, si rilevano limiti applicativi attribuibili alla complessità dello sviluppo dello studio, la necessità di investire tempo e risorse, nonché di disporre di persone tecnicamente preparate per la sua realizzazione. Si rilevano inoltre possibili difficoltà nel reperire dati da fonti attendibili e aggiornate e di incrociarli in modo accurato e la soggettività nella scelta delle proxy finanziarie può influenzare l'affidabilità delle stime.

Le metodologie fin qui esposte si concentrano soprattutto su impatti economici ed occupazionali, ma esistono nuovi framework che sono volti a comprendere come la cultura generi impatti a favore dello sviluppo sostenibile. Si tratta in particolare del Framework Culture | 2030 Indicators dell’UNESCO, un framework di indicatori tematici definiti con l’obiettivo di misurare e monitorare il contributo della cultura agli obiettivi dell’Agenda2030 dell’ONU, considerando la cultura sia come settore di attività che come elemento trasversale degli SDGs. Il framework comprende indicatori raggruppati in 4 dimensioni tematiche che riguardano i 3 pilastri dello sviluppo sostenibile (economico e di governance, sociale e ambientale), cui si aggiunge la quarta dimensione relativa all’istruzione, alle conoscenze e alle competenze in ambito culturale. Il Framework è nato nella consapevolezza che il monitoraggio e la misurazione degli impatti generati dalla cultura siano necessari, per sostenere e rafforzare il ruolo della cultura stessa nell’attuazione dell’Agenda 2030 e raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Il Framework è tuttavia prevalentemente rivolto ad enti della Pubblica Amministrazione, limitandone di fatto la possibilità di applicazione “letterale”, e a questo si aggiunge il fatto che la complessità del Framework richiede competenze specifiche e un impegno costante da parte degli Stati membri per mantenere aggiornati i dati e le analisi, il che può rappresentare una sfida per alcune Nazioni con risorse limitate. Si tratta tuttavia di un framework molto più completo, con indicatori che riguardano tutti i fattori ESG e consentono di fornire una panoramica più efficace degli effetti della cultura (capacità di coinvolgere spettatori o utenti di diversi paesi, etnie, religioni, generi, attitudini e gusti, benessere mentale percepito, dimostrando come l’evento influisca sulla inclusione e appianamento delle diversità).

Per questo, è opportuna l’integrazione del Framework UNESCO con ulteriori standard di reporting, con l’obiettivo di rendere tali indicatori applicabili anche dalle imprese (profit, noprofit, culturali o meno). E’ ad esempio possibile utilizzare i GRI Standards, pubblicati dal Global Reporting Initiative, che rappresentano gli standard più utilizzati per la redazione dei Bilanci di Sostenibilità e documenti di informativa non finanziaria in Europa. La metodologia di applicazione dei GRI Standards richiede un’analisi accurata delle esigenze e aspettative degli stakeholder e una valutazione dettagliata degli impatti sociali, economici e ambientali, con l’obiettivo di identificare i temi maggiormente rilevanti (o “temi materiali”) di cui fornire informativa all’esterno. Una volta stabiliti i “temi materiali”, è infatti possibile identificare gli indicatori GRI Standards applicabili, utili per misurare le performance dell’organizzazione del tempo. Gli indicatori GRI enfatizzano l’importanza della trasparenza e dell’accountability dell’informativa non finanziaria, incoraggiando le organizzazioni a divulgare le informazioni in modo completo e accurato, permettendo così agli stakeholder di fare valutazioni informate. In sintesi, i GRI Standards forniscono un quadro robusto e flessibile per la misurazione e la comunicazione degli impatti sociali, economici e ambientali. Attraverso l’applicazione di questi standard, le organizzazioni possono dimostrare il loro impegno verso la sostenibilità e rispondere in modo efficace alle aspettative degli stakeholder. Tuttavia, essendo standard applicabili spesso da imprese appartenenti a diversi settori, la loro applicazione isolata può non essere efficace per il mondo della cultura e tutte le sue complesse sfaccettature ma se integrati dal Framework UNESCO diventerebbero Cultural Sector Specific.

In conclusione, la misurazione e il reporting degli impatti rispondono alla crescente esigenza di informazioni in ambito ESG da parte di diversi stakeholder, incluso il legislatore, favorendo la comprensione degli impatti generati e delle modalità con cui si possa, nel tempo, migliorare l’efficacia delle attività realizzate. Quanto finora esposto ha tuttavia evidenziato la complessità dell’analisi e della comunicazione degli impatti culturali, portando alla luce la possibilità di integrare diverse metodologie per perseguire un approccio maggiormente olistico alla misurazione e rendicontazione degli impatti. La comunicazione di informazioni relative agli impatti generati che vada oltre la “semplice” lente degli effetti economici ed occupazionali può inoltre favorire il rafforzamento dell’immagine in un contesto internazionale sempre più attento alla sostenibilità, nonché una maggiore consapevolezza del ritorno degli investimenti effettuati, contribuendo al miglioramento delle strategie e azioni implementate.

[1] The SROI Network, Human Foundation, Guida SROI - Guida al Ritorno Sociale sull’Investimento, 2012.
[2] L’attenzione è focalizzata al valore, il denaro viene utilizzato solo come unità di misura universale.
[3] Sono da considerare gli impatti economici diretti che vengono stimati come valore aggiunto direttamente riconducibile all’operatività del bene culturale, che si suddivide in ricavi e costi. Mentre gli impatti economici indiretti e indotti sono generati dalle attività operative e dal contributo diretto, indiretto e indotto generato dalla spesa turistica indotta. Quest’ultimo è stimato seguendo un approccio metodologico basato sul modello di input-output (IO), cioè un modello che consente di valutare l’impatto economico totale associato ad un’attività sulla base di dati statistici relativi alle relazioni inter-settoriali.
[4] La metodologia impiegata segue la migliore prassi comunemente riconosciuta in letteratura (si veda ad es. lo studio di Bateman et al. 2002).

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