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  • Stefania Ercolani - Presidente ALAI Italia

A differenza di altre innovazioni digitali recenti, come gli NFT o il Metaverso, l’attenzione verso l’intelligenza artificiale (in breve AI, dall’inglese Artificial Intelligence”) generativa non è destinata a diminuire. Soprattutto, l’AI è divenuta il campo di confronto e di competizione tra Stati, con rischi di marginalizzazione per i Paesi che non potranno partecipare.

Nel copyright, il rischio appare duplice[1] poiché l’uso libero dei contenuti digitali per l’addestramento dell’AI viene visto da alcuni governi come un modo di attrarre investimenti[2]. L’estrazione di testi e di dati per l’AI (TDM - Text Data Mining) è avvenuto finora, in modo opaco e senza regole condivise, mediante l’ingestione di opere e materiali protetti, mentre l’AI generativa apre prospettive distruttive per la creatività umana e per le industrie basate sul copyright. Per queste ultime, già si intravede qualche ipotesi di riconversione che sfrutta i possibili vantaggi dei modelli AI[3], mentre sono ben scarse le difese di artisti, autori e delle professionalità dell’industria creativa contro la minaccia dell’AI generativa.

Per le sue caratteristiche economiche e funzionali, il diritto d’autore dipende dalle leggi che lo disciplinano; la prima reazione delle industrie e dei singoli è, quindi, quella di riaffermare i diritti per via legale. Negli USA si sono moltiplicate le cause per violazione del copyright, mentre nella UE persistono preoccupazioni e incertezze sugli obblighi dei modelli di AI generativa alla luce dell’AI Act e della direttiva sul copyright del 2019.

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Varie inchieste giornalistiche hanno portato alla luce che imprese come Apple, Anthropic, Meta, Nvidia, OpenAI ecc. si sono servite, per scelta consapevole e deliberata, di archivi editoriali e audiovisivi anche costruiti in violazione del copyright per l’addestramento AI[4], seguendo ancora una volta il motto “move fast and break things[5].

Nelle cause intentate dai titolari dei diritti, le big tech USA invocano il fair use, ovvero l’eccezione che ammette l’uso libero di materiali protetti; sul fair use decideranno caso per caso i tribunali federali USA, visto che i modelli LLM, image generator, music generator, ecc., operano in modo diverso e diverse caratteristiche hanno le opere coinvolte: libri, arti visive, musica, audiovisivi, solo per citare i principali generi bersaglio del web-scraping.

I quattro fattori da valutare per il fair use (Section 107 del Copyright Act USA) riguardano lo scopo e il carattere dell'uso, in particolare l’intento commerciale oppure i fini educativi e l’assenza di scopo di lucro; il tipo di materiale (es. opera scientifica o fiction); la quantità e l'importanza della parte utilizzata e, infine, l'impatto sul mercato potenziale o sul valore dell'opera.

Le cause sull’AI generativa sono ancora in corso. Sono stati delineati, nelle fasi preliminari, solo alcuni principi; ad esempio, i giudici hanno rigettato l'argomentazione secondo cui per il training siano riprodotti solo “dati non protetti da copyright, ed hanno confermato che la riproduzione sotto forma di rappresentazioni algoritmiche o matematiche deve essere esaminata alla luce del copyright. In più, non ci sono precedenti a cui riferirsi poiché l’AI generativa non è assimilabile a innovazioni precedenti.

La prima sentenza che affronta il tema del fair use nel contesto del TDM non riguarda l’AI generativa, ma l’uso indiretto del database Westlaw per addestrare un nuovo motore di ricerca in campo giuridico basato sull'intelligenza artificiale. Il summary judgment nella causa Thomson Reuters v. ROSS Intelligence riconosce che, per il suo inequivocabile carattere commerciale, il prodotto Ross si pone in potenziale concorrenza con il prodotto Westlaw di Thompson Reuters, accennando a un possibile “market for AI training” che dovrebbe crescere grazie a licenze rilasciate nel rispetto del copyright. Risale al 2023, ed è ancora in corso, la causa intentata dal New York Times a OpenAI e Microsoft; dopo le prime schermaglie processuali, il tribunale del Southern District di New York ha riunito questa causa con altre quattro intentate da testate giornalistiche. Una causa distinta è quella degli editori del Wall Street Journal contro Perplexity Inc. Mezzi di informazione, come il Washington Post, Financial Times o Associated Press hanno negoziato licenze con Open AI per l’uso dei contenuti per le ricerche degli utenti e degli archivi per l’addestramento dei sistemi.

Anche la causa della Authors Guild contro OpenAI per l’uso delle trascrizioni di sceneggiature ed altri testi d’autore intentata dal sindacato degli autori è stata riunita ad altre aventi oggetto simile (Alter c. OpenAI e Basbanes & Ngagoyeanes c. Microsoft e OpenAI); tra i ricorrenti ci sono, tra gli altri, autori come John Grisham, Scott Turow, Jonathan Franzen, David Baldacci. La prima class action, tra le varie ancora sub judice, è stata J.L. contro Google Deepmind/Google & Alphabet Inc. presso il Tribunale del Northern District di California. Anche in questo caso, le società imputate sono accusate di aver utilizzato, senza autorizzazione, dati personali e materiali protetti da copyright per addestrare i loro sistemi di AI (tra cui Bard e Gemini); la principale querelante e capofila della class action è una giornalista investigativa del New York Times e autrice di best-seller. Per le arti visive, la causa più nota è Getty Images (US), Inc. contro Stability AI al tribunale del Delaware, in parallelo con un’analoga causa in Gran Bretagna.

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Mentre i tribunali USA non si sono ancora pronunciati sull’applicazione del fair use alla TDM nelle diverse cause in corso[6], ha fatto notizia in tutto il mondo il lancio di DeepSeek, il modello AI low cost cinese, competitivo con la tecnologia ChatGPT sviluppata da OpenAI, tanto che le preoccupazioni circa il primato USA nell’AI sono arrivate anche ai vertici politici[7]. Un altro effetto, piuttosto paradossale, è stato che ChatGPT, dopo aver addestrato il suo LLM grazie alla “metabolizzazione” di archivi e banche dati disponibili in rete, senza curarsi né delle norme sui dati personali e sensibili, né delle regole legali su proprietà intellettuale, diritti della personalità, sicurezza etc., si è accorta delle norme sul copyright e le ha invocate contro DeepSeek!

È infine recentissimo lo studio del Copyright Office[8] secondo il quale, quando l’output dell’AI generativa incide sul mercato dei contenuti usati, ben difficilmente può trattarsi di fair use. Per un’interessante coincidenza, entro 48 ore dalla pubblicazione il governo USA ha licenziato in tronco la direttrice del Copyright Office Shira Perlmutter.

Nell’Unione Europea sono state sollevate serie riserve sull’applicabilità dell’eccezione per TDM commerciale ai modelli di AI generativa, ignorati dalla direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale del 2019. L’elaborazione del code of practice per l’applicazione dell’AI Act segna un progressivo allontanarsi dagli obiettivi di trasparenza dell’articolo 52 del Regolamento EU riguardante i modelli AI per finalità generali, al quale non sono estranee le pressioni USA. A oggi, in materia di copyright, ma anche di fake news, disinformazione e privacy, emergono non poche criticità, mentre il code of practice mitiga gli obblighi sull’accesso legale e l’uso dei dati per l’addestramento AI, sul rispetto delle riserve sui diritti (opt-out[9]), e sul trattamento dei reclami.

In Italia, è passato in discussione alla Camera il disegno di legge Butti che integra il Regolamento europeo sull’AI e precisa le norme sulla TDM (articoli 70-ter e 70-quater della legge sul diritto d’autore), proponendo un nuovo controverso articolo 70-septies a favore dell’AI generativa. In modo ridondante, il ddl modifica l’art. 1 della stessa legge enunciando che le opere protette possono essere create anche “con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale, purché costituenti il risultato del lavoro intellettuale dell’autore”, con una formula non esente da dubbi interpretativi.

Sul fronte dell’output AI, l’allarme continua a crescere per la manipolazione e la generazione di fake video, audio e immagini, che abbattono il confine tra creatività e inganno, plasmando una finta realtà in forme sorprendenti, preoccupanti e, talvolta, criminali, a supporto di frodi vere e proprie.  Con un post su Instagram Vasco Rossi è sceso direttamente in campo contro i deepfake che sfruttano la sua notorietà per vendere prodotti contraffatti o promuovere falsi investimenti, puntando il dito contro i social media che non contrastano questi usi fraudolenti.

Le lesioni sul piano economico e reputazionale spaziano da disinformazione e pornografia deep-fake, alle false performance e allo sfruttamento abusivo dei diritti, tanto che ad esempio in Sud Corea[10] è stato creato Artist Rights Violation Report Center al quale i fan degli artisti possono fornire informazioni sulle repliche digitali non autorizzate presenti in rete.

Per quanto riguarda la tutela degli artisti, cantanti, attori ma anche giornalisti ed autori famosi, la diversità delle legislazioni vigenti è estrema. Limitando l’analisi al copyright, la maggior parte delle leggi europee tutela, come avviene in Italia, un diritto all’identità personale che può comprendere il diritto all’immagine, alla voce (incluso lo stile, qualora sia riconoscibile come elemento della personalità) e al suo sfruttamento commerciale; per le prestazioni artistiche, la legge assicura il diritto morale in funzione della reputazione artistica. Rimangono, tuttavia, in una zona grigia i fenomeni come la cosiddetta Ghiblizzazione, la replica AI dello stile dello Studio Ghibli di Hayao Miyazaki, esponente dell’animazione giapponese più conosciuto all’estero.

Negli USA, dopo un primo tentativo fallito nel 2024, una proposta di legge bipartisan contro i deepfake ha trovato, oltre al sostegno dei settori creativi, anche quello di imprese come Adobe, Amazon, Google, IBM, and OpenAI. Si tratta del cosiddetto NO FAKES Act[11], che crea per la prima volta un publicity right a livello federale, riconoscendo agli individui la facoltà di controllare l'uso della propria immagine e voce; in cambio, le piattaforme UGC (User Generated Content)[12] sono esenti da responsabilità se rimuovono rapidamente i deepfake e le repliche digitali non autorizzate. YouTube ha colto l’occasione per lanciare un programma pilota di gestione dell’identità personale, sviluppato in partnership con Creative Artists Agency (CAA), che rappresenta celebrities come artisti, attori e anche atleti delle principali leghe sportive (NBA e NFL), con l’appoggio della Recording Industry Association of America (RIAA) eMotion Picture Association (MPA), per intercettare i contenuti AI che presentano abusivamente tratti e caratteristiche personali.

Nella ricerca di un compromesso accettabile, più di un contratto collettivo negoziato dal sindacato statunitense Screen Actors Guild - American Federation of Television and Radio Artists (SAG-AFTRA)[13] prevede regole specifiche e compensi applicabili all’uso di repliche digitali e di AI nella produzione di vari prodotti audiovisivi.

Nel frattempo, si è aperta anche una riflessione sull’uso dell’AI come strumento nelle mani degli autori per l’espressione della loro creatività. Un po’ come è accaduto alla fine del XIX secolo, la fotografia sembra essere la frontiera per testare l’interazione tra creatività e tecnologia.

In linea di principio, l’output puramente automatico dell’AI non è coperto da copyright, come riconosciuto dalla sentenza del 19 marzo 2025 nella causa Feng v. Dongshan Company, dal tribunale di Zhangjiagang su una foto prodotta da Midjourney[14], ma è anche possibile mettere in atto un processo creativo nel quale il sistema AI arrivi a riflettere la personalità dell’autore. Artisti come Boris Elgadsen, divenuto noto per il mancato premio al Sony World Photography Award 2023, teorizzano i processi AI come nuovo linguaggio visivo applicato a prodotti digitali, con il superamento della tecnica fotografica[15].

Nella musica in streaming crescono i brani generati da AI che, a inizio 2025, il music provider francese Deezer ha quantificato nel 18% delle canzoni offerte dalla piattaforma. Nel 2024 Spotify ha lanciato la versione beta di AI Playlist, che permette di creare playlist in risposta ai prompt testuali degli ascoltatori ed è ora disponibile in più di 40 Paesi in Europa, Africa, Asia. La piattaforma cinese Tencent ha integrato Deeplink nel suo servizio streaming, in modo che canzoni generate o manipolate dall’AI possano essere messe a disposizione del pubblico[16] senza problemi di trasferimento. Anche in assenza di copyright, le canzoni AI fanno concorrenza alle composizioni “umane” nelle playlist offerte dalle piattaforme.

Nell’audiovisivo, l’approccio all’AI è variabile. Ad esempio, Andrea Gatopoulos, regista indipendente italiano del documentario The Eggregores’ Theory, realizzato mediante Midjourney e candidato ai David di Donatello 2025, sostiene che l’uso dell’AI è un modo per reagire alle difficoltà di accesso alla professione dovute alle barriere all’ingresso e al costo di una produzione.

Dal 2026, possono concorrere ai premi Oscar anche opere realizzate con l’AI. Non sono ancora disponibili informazioni precise, ma si avverte che l’industria cinematografica vede l’opportunità di ridurre i costi e le risorse professionali ed artistiche necessarie per la produzione. L’ammissione agli Oscar porta in primo piano la problematica distinzione tra output AI e opera protetta dal diritto d’autore, che il Copyright Office USA ha affrontato in diversi rapporti e nella Copyright Registration Guidance del 2023, come pure nella causa Thaler c. Perlmutter conclusasi il 18 marzo 2025[17], considerando non proteggibili le opere o i contributi o le parti prodotte dall’AI. Questa policy è confermata anche dalla registrazione del copyright limitatamente a “creative selection, coordination, and arrangement”, al montaggio o modifiche creative di sequenze di immagini generate dall’AI.

Siamo solo all’inizio di un nuovo capovolgimento digitale. Il convitato di pietra è il pubblico che si troverà presto di fronte un’offerta di prodotti “artificiali” tendenzialmente a basso costo; resta da vedere se il pubblico potrà davvero immedesimarsi in personaggi artificiali o emozionarsi per interpreti che nessuno mai incontrerà nel mondo reale.

 

[1] Per gli aspetti a monte e a valle della filiera AI si rinvia a Stefania Ercolani, Incontri e scontri tra copyright umano e AI antropocentrica, Fondazione Symbola – Unioncamere – Deloitte, io sono Cultura - Rapporto 2024.
[2] Tony Blair Institute for Global Change, Rebooting Copyright: How the UK Can Be a Global Leader in the Arts and AI, 2 Aprile 2025.
[3] Winston Cho, OpenAI Is Ready for Hollywood to Accept Its Vision, The Hollywood Reporter, 25 Marzo 2025.
[4] Un esempio è l’uso da parte di Meta del data base pirata Library Genesis (libgen.io o libgen.org), come emerso nei documenti della causa Kendrey et al. c. Meta Platforms di fronte alla Corte distrettuale del Northern District of California.
[5] Jonathan Taplin, Move fast and Break Things, How Facebook, Google and Amazon Have Cornered Culture and Undermined Democracy, 2017. “Muoviti velocemente e rompi le cose”, motto reso celebre da Mark Zuckerberg e Facebook, esprime una filosofia tipica della Silicon Valley e delle startup tecnologiche: privilegiare la velocità e l’innovazione rispetto alla stabilità e alle regole tradizionali, accettando che, nel processo di sperimentazione rapida, si possano commettere errori o “rompere” ciò che esiste.
[7] Deepseek Unmasked: Exposing the CCP's Latest Tool For Spying, Stealing, and Subverting U.S. Export Control Restrictions, Rapporto del Select Committee on the Chinese Communist Party del Congresso USA, 16 Aprile 2025.
[8]Copyright and Artificial Intelligence Part 3: Generative AI Training, Report of the Register of Copyrights, 9.5.2025.
[9] Grazie all’opt-out, un autore o titolare di diritti può impedire che le proprie opere vengano utilizzate per attività di TDM che vanno oltre l’eccezione prevista per la ricerca scientifica, esercitando così un controllo sull’uso commerciale o più ampio delle sue opere senza consenso preventivo.
[10] Hong Yoo, Rising tide of deepfake pornography targets K-pop stars, The Korean Herald, 11 settembre 2024.
[11] Nurture Originals, Foster Art, and Keep Entertainment Safe Act.
[12] Si tratta di siti o servizi digitali che permettono agli utenti di creare, caricare e condividere contenuti generati da loro stessi, come testi, foto, video, recensioni o commenti.
[13] Sindacato che rappresenta lavoratori del settore dei media e dello spettacolo, tra cui attori, giornalisti, ballerini, musicisti, stuntmen, doppiatori e altri professionisti dei media.
[14]Seagull Song, Chinese Court Found AI-Generated Pictures Not Copyrightable — Convergence with the U.S. Standard? - KWM - Seagull Song, King & Wood Mallesons, 27 Aprile 2025.
[15] Moritz Neumüller in conversation with Boris Eldagsen, 3 Revue, 1 Marzo 2023 e https://www.eldagsen.com/sony-world-photography-awards-2023/.
[16] Murray Stassen, 23 Aprile 2025. Tencent Music lets musicians generate AI tracks and send them directly to streaming app QQ Music, Music Business Worldwide.
[17] Matt Blaszczyk, Thaler v. Perlmutter: Human Authors at the Center of Copyright?, Kluwer Copyright Blog, 8 Aprile 2025.

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