Come abitudine anche l’edizione 2025 di GreenItaly dedica un capitolo all’industria tessile e della moda, settore che contribuisce fortemente a caratterizzare il made in Italy in termini di eccellenza e creatività, ma anche da alcuni anni oggetto di particolari attenzioni per l’impatto ambientale e le documentate criticità sociali della catena di fornitura. La crescente consapevolezza tra consumatori e stakeholders in merito alla necessità di trasformare il comparto in un sistema produttivo ecocompatibile ha fornito le basi per lo sviluppo di un nuovo e articolato quadro legislativo europeo e nazionale che attraverso regolamenti, direttive e decreti sta accelerando la transizione verso una moda più sostenibile ed un consumo informato e responsabile. Il capitolo evidenzia quindi, attraverso il racconto di iniziative svolte da imprese e enti di ricerca, quali siano in questa fase i principali driver di innovazione. Tre i macro temi che emergono dall’analisi delle strategie aziendali analizzate: l’assunzione del principio della responsabilità estesa del produttore (EPR), l’adozione di logiche progettuali ispirate all’ecodesign, il controllo della filiera di approvvigionamento. Le aziende e le iniziative citate, pur non rappresentando in modo esaustivo tutto il settore, forniscono una fotografia degli sforzi compiuti, dei risultati e dei limiti riscontrati.
Il 2024 è stato un anno difficile per l’industria tessile e moda che ha registrato un calo del 5% del fatturato sull’anno precedente² a causa di condizioni geopolitiche preoccupanti dai dazi USA alle contrazioni dei consumi interni di abbigliamento. In questo contesto le politiche con cui la UE traduce gli obiettivi del Green Deal in strategie concrete a sostegno della transizione del comparto verso modelli più circolari e sostenibili, possono rappresentare un ulteriore aggravio per le imprese. È bene però considerare che quello che la UE chiede è in realtà la messa a regime di una serie di approcci che il settore ha in parte già adottato ‘volontariamente’ in relazione soprattutto ai temi della sicurezza chimica, esperienza che negli ultimi anni ha consentito alle imprese di sviluppare buone pratiche di controllo e di miglioramento continuo della propria catena di fornitura.
La politica UE per la transizione della moda verso modelli di responsabilità ambientale e sociale, trova quindi un terreno culturale non insensibile agli obiettivi posti dalla UE nel 2023 con la Risoluzione del Parlamento europeo sulla strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari³ e con i successivi strumenti legislativi, per quanto non manchi nelle imprese una diffusa preoccupazione in relazione alla propria capacità di far fronte alle nuove richieste e alla possibilità di ottenere effettivi risultati in termini di competitività dall’adozione delle politiche green. Mai come in questo momento si avverte infatti la pressione delle politiche commerciali dei grandi players della moda asiatica, Shein e Temu in particolare.
Per quanto riguarda le politiche europee preoccupano in particolare la mancata chiarezza legislativa su temi non secondari come l’End of Waste, la quantificazione dell’ecocontributo previsto dall’applicazione dell’EPR – Responsabilità estesa del produttore, o le specifiche modalità di applicazione della Direttiva Ecodesign e delle corrette modalità di comunicazione dei claims ambientali, per quanto proprio la direttiva di riferimento sia stata al momento sospesa.
Alla mancanza di un quadro legislativo e attuativo chiaro si aggiungono altri fattori che rischiano di rallentare il processo in atto nel settore⁴ ed in particolare:
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la complessità e la frammentazione della filiera in molteplici step produttivi affidati a soggetti diversi (spesso internazionali) le cui azioni non sono sempre documentate in modo trasparente e affidabile;
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la dimensione aziendale e le competenze disponibili. Le imprese della filiera sono in larga misura PMI e micro imprese (oltre il 90% del totale); inoltre molte di queste lavorano conto terzi, cioè su commessa di imprese più strutturate e/o brand della moda. La maggior parte delle aziende non dispone quindi di managers e addetti preparati a gestire e documentare processi tecnologici e gestionali coerenti con gli obiettivi di sostenibilità, per quanto si registri l’intensificarsi di iniziative formative sugli aspetti applicativi della transizione green,
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l’ancora limitata diffusione di sistemi di gestione integrata dei flussi produttivi e distributivi che, anche avvalendosi delle potenzialità delle tecnologie digitali e dell’IA, garantiscano il monitoraggio costante dei flussi di dati e materiali lungo i vari step di filiera, per quanto crescano iniziative da parte di brand di gaming, sfilate e store virtuali.
Questo mix di fattori può ritardare la transizione dell’industria della moda verso modelli più sostenibili e accrescere il rischio che in risposta ai nuovi obblighi normativi, prevalga un approccio burocratico volto a rispondere alle richieste in modo formale anziché individuare gli interventi concreti per ridurre emissioni e sprechi di risorse nel lungo periodo e monitorarne l’efficacia.
In questo contesto assumono un importante significato le forme di collaborazione tra le imprese sia verticali – dal committente alla propria supply chain – che orizzontali – tra soggetti diversi potenzialmente anche in competizione – intorno a progetti e iniziative specifiche: una sorta di rilancio del concetto di rete d’impresa. Ad assicurare l’efficacia di questo approccio, è l’esperienza svolta dalle imprese negli ultimi 15 anni durante i quali, come è stato documentato nei precedenti rapporti GreenItaly, le imprese hanno imparato a orientarsi nel complicato mondo delle certificazioni, hanno investito in tecnologie guardando meno alla resa produttiva e più alla versatilità delle macchine e ai risparmi energetici e idrici, hanno applicato tecnologie informatiche per monitorare la propria catena del valore e, in numerosi casi, rendicontare i risultati ottenuti dalle politiche di riduzione dei GHG, cioè delle emissioni ad effetto serra.
Questo cambio di passo trova conferma nella recente storia del sistema moda: dall’impegno per la sicurezza chimica di prodotti e processi (andando ben oltre le richieste del regolamento Reach⁵), all’adozione di scelte strategiche per realizzare prodotti a ridotto impatto e coerenti con gli impegni di decarbonizzazione dichiarati nei bilanci di sostenibilità di marchi ed imprese manifatturiere. In questa nuova fase è soprattutto intorno alla gestione circolare delle risorse che si sta focalizzando la capacità di connessione e collaborazione tra i molteplici soggetti del sistema tessile-moda.
Una vetrina importante come la fiera Milano Unica (Rho Fiera Milano) – che con le tendenze moda della stagione successiva presenta i trend dell’innovazione sostenibile adottati dagli espositori – consente di fotografare i comportamenti prevalenti in fatto di politiche green aziendali e di prodotto. Un primo risultato importante riguarda il fatto che nell’edizione di luglio 2025 sia stato toccato un record sia per il numero di campioni (3.367) che di espositori (400) ammessi alla sezione Tendenze Sostenibilità sulla base dei criteri stabiliti dalla Commissione Tecnica della Fiera. Un dato interessante riguarda il fatto che 1 espositore su 4 disponga di un sistema di gestione aziendale della sostenibilità, per quanto ancora risulti poco diffuso invece l’uso di metodologie di misurazione dell’impronta ambientale del prodotto come LCA e PEF. Supera invece il 90% la percentuale dei campioni per la cui produzione sono stati adottati principi dell’economia circolare, quali ad esempio l’uso di materiali provenienti da riciclo, il recupero degli scarti di produzione o l’adozione di logiche di ecodesign per facilitare riuso e riciclabilità del prodotto a fine vita. Il 59% degli espositori ha presentato campioni che per le loro caratteristiche hanno una ridotta emissione di gas a effetto serra (GHG) contribuendo a combattere il fenomeno dei cambiamenti climatici.

