Serve un piano comune per incoraggiare le imprese che si stanno dando obiettivi concreti e precisi nella transizione ecologica a utilizzare i nuovi strumenti messi a disposizione dalla finanza d'impatto hanno penetrato le strategie aziendali delle nostre imprese e negli obiettivi dell'economia circolare siamo un incontrastato punto di eccellenza. Qualche dato: siamo i primi in classifica con il più alto tasso di riciclo sul totale dei rifiuti speciali e urbani prodotti (91,6%), un valore superiore alla media europea (57,9%) e a quello di Germania (75,3%), Francia (79,9%) e Spagna (73,4%) (dati del 2023). Per quello che riguarda il tasso di utilizzo circolare di materia, cioè il rapporto tra l'uso di materie prime seconde generate col riciclo e il consumo complessivo di materiali, l'Italia conferma la sua leadership, con un valore pari al 18,7% (all'il% la media Ue). Alcune eccellenze di settore: nel 2023 abbiamo risparmiato oltre 81 milioni di euro sulle importazioni di materie prime grazie all'attività di Ecopneus sugli pneumatici fuori uso, e sempre nel 2023, 10,5 milioni di tonnellate di rifiuti da imballaggio sono stati riciclati dal sistema Conai (Consorzio nazionale di imballaggi), confermando l'Italia al vertice in Europa nel riciclo dei rifiuti di imballaggio. Da questo scenario viene fuori un Paese attento, laborioso, organizzato in consorzi virtuosi, che ha compreso pienamente la razionalità dell'economia circolare. Lo dimostra un'indagine realizzata dal Circular Economy Network con Cna su 800 piccoli imprenditori: il 65% dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare. E per il 61% di essi le misure di economia circolare generano evidenti benefici economici. Tutto bene allora? Cosa serve adesso? Anzitutto, non deragliare dalle priorità delle transizioni social-green generando asimmetrie nel mercato (per esempio sui tempi e l'ampiezza della Csrd) e incorporare finalmente i principi dell'economia circolare all'interno del mercato unico europeo. Si tratta di principi ampiamente adottati, ma incorporarli strutturalmente aiuterebbe a realizzare l'atteso piano d'azione europea per l'economia circolare. Ecco, usiamo la leadership conquistata per far fare all'Europa questo salto. Serve un piano comune e serve che queste imprese anti-Fetonte che si stanno dando obiettivi concreti n mito bellissimo spiega bene il nichilismo e i tanti errori che l'umanità ha compiuto nella storia: è il mito greco di Fetonte, il ragazzo che scopre di essere figlio di Elio, re del Sole, e mosso da sconfinata ambizione ed orgoglio insiste con il padre affinché gli faccia guidare il suo carro infuocato, che ovviamente non riesce a controllare, rischiando così di distruggere nel fuoco la Terra stessa. Ecco, l'anti-Fetonte di oggi è proprio colui o colei che, consapevole degli effetti delle proprie azioni, non le ignora e anzi le riorganizza e le ridirige coscientemente. Un'economia che riprende il controllo degli impatti che genera sul pianeta e le persone; l'anti-mito di un capitalismo consapevole dell'impatto e anche degli sprechi che vuole ridurre o dell'innovazione sociale che può introdurre. In Italia e in Europa questo capitalismo esiste già ed è diffuso più di quanto si possa immaginare. Sono imprenditori anti-Fetonte, cioè uomini e donne che non giocano con il fuoco e che invece giorno dopo giorno costruiscono imprese sostenibili e circolari. Ne siamo consapevoli e abbastanza orgogliosi di questo modello economico? Ne dubito. L'Italia è leader nell'economia circolare. Lo ha ribadito un recentissimo studio di Confidustria, uscito il 10 marzo: «L'Italia, tra i leader europei e mondiali nell'adozione di pratiche circolari, ha avviato una serie di iniziative per ridurre la dipendenza dalle materie prime vergini e promuovere l'uso efficiente delle risorse. Un aspetto fondamentale riguarda il ruolo dell'economia circolare nel migliorare la resilienza economica, soprattutto in tempi di crisi». E lo ricordano almeno tre rapporti: quello di Symbola (Fondazione per le qualità italiane), il Green Italy (promosso da Union Camere, Symbola stessa, e il Centro studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, con Conai, Enel, Ecopneus e Novamont) e il rapporto curato dal Circular Economy Network, in collaborazione con Enea. Tre studi che convergono su un punto: la competitività europea passa anche per una transizione green concreta, pragmatica e innovativa (anche se ahimè il rumore ideologico e negazionista sembra prevalere nel dibattito pubblico). Partiamo dai fatti: l'economia circolare nel nostro Paese è affermata e incontrastata. In totale controtendenza rispetto a un dibattito pubblico che ignora i fatti che invece parlano chiaro. Gli obiettivi di transizione verde e precisi, siano incoraggiate a utilizzare i nuovi strumenti della finanza d'impatto. Mi chiedo: la leadership italiana nel riciclo ha incontrato strutturalmente il mondo e gli strumenti di questa nuova finanza che accosta strutturalmente gli obiettivi di impatto (in questo caso riciclo e mercato unico dei rifiuti) alla riduzione dei rischi e alle aspettative di rendimenti? Ho l'impressione che questo incontro non sia ancora avvenuto e mi fa piacere che A&F dedichi martedì 18 marzo un panel proprio a questo. E se la prepotenza e l'aggressività di Fetonte vi ricorda qualcuno di questi tempi, allora è chiaro che l'Europa dell'economia sostenibile e circolare sia esattamente sulla strada contraria.