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di Luca Corsolini

Ai tempi del suo primo mandato, a chi gli chiedeva perché avesse nominato proprio quella persona come ministro dell’educazione, Obama rispondeva: “E’ la persona più svelta a capire il gioco di squadra tra gli amici con cui gioco a basket, dunque è perfetto per un ruolo così importante“. Era l’affermazione di una passione di Barack, che si fece costruire un campo da basket pure alla Casa Bianca, ma era anche e soprattutto l’affermazione di un metodo: il gioco di squadra è uno dei valori più alti nello sport, anche nelle discipline individuali, un esempio che può benissimo essere trascinato nella società civile.

La squadra è anche una delle misure, forse la più efficace, per misurare lo stato di salute, sportiva e non solo, di un Paese. Il campione del mondo attuale di salto in alto è un atleta del Qatar, ma non basta lui per trasformare il suo Paese in una potenza mondiale dello sport, anche sei i Mondiali di calcio del 2022 saranno proprio là. E così la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali di calcio in una stagione in cui non abbiamo ottenuto grandi risultati nemmeno nel basket, nella pallavolo (almeno per quanto riguarda gli Europei), nella pallanuoto, dice che non siamo in salute.
Da questo punto, gli Stati Generali dello sport che il Coni organizza a Roma il 20 e il 21 novembre arrivano dunque con perfetto tempismo, a segnare una svolta, forse pure a sognare una svolta. Oltre tutto, per intuizione geniale di Danilo Di Tommaso, responsabile comunicazione del Coni, i due giorni di lavoro sono stati divisi in cinque sezioni, ognuna delle quali rappresenta un cerchio olimpico e il suo colore, dal blu Europa che rappresenta lo sport che unisce, al verde che introduce lo sport dovunque e lo sport comunque. Manca, e non è certo colpa di Di Tommaso, che magari si è fermato per discrezione, un approfondimento sulla comunicazione che oggi dello sport è la materia principale. Ma è un appuntamento ricco, oltre tutto lanciato da tanti segnali diversI: il dramma, si fa per dire, diciamo pure il melodramma nazionale per quanto successo all’Italia del calcio, e pure una conferenza al Ministero della Salute in cui è stato distribuito un numero preciso. “Le stime basate sulle persone affette da patologie cardiovascolari, diabete e tumori consentono di affermare che un aumento dell’attività fisica determinerebbe un minor costo per il Servizio Sanitario Nazionale pari a 2.331.669.947 euro in termini di prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, trattamenti ospedalieri e terapie farmacologiche”.

Abituato a ragionare sui numeri, lo sport è ben felice di vedere che il suo valore non è solo un risultato. Ovvio che ci sia anche un’altra faccia della medaglia: la non partecipazione ai Mondiali di calcio svuota di significato immediati ad esempio l’annuncio del Governo che dovremo avere tutti nuovi modelli di tv per adeguarci a nuovi standard di ricezione del segnale.

È strano dunque che in un contesto così significativo lo sport si sia dimenticato di ricordarsi e di ricordarsi di essere anche un motore in perenne attività a beneficio del Pil del Paese. Quando si parlerà di sport come leva di crescita economica saranno sul palco gli amministratori delegato di Toyota e Samsung, le cui aziende sono meritoriamente sponsor tanto del Comitato Olimpico Internazionale quanto del Coni, Marco Balich che è un vanto nazionale per la firma che riesce a mettere su eventi come le cerimonie legati ai grandi eventi che sono vetrine straordinarie per i Paesi ospitanti e per le aziende di tutto il mondo che contribuiscono allo show. Poi, basta. Ci si è appunto fermati alla vetrina, dimenticando la base.

Un esempio: ai Mondiali di calcio, l’Italia, l’Italia che produce ci va. La GDE Bertoni realizza da anni la Coppa del Mondo, letteralmente un gioiello del Made in Italy; Erreà è lo sponsor tecnico dell’Islanda che già agli Europei di Francia 2016 vinse il titolo di squadra piu’ simpatica, che si tradusse in lavoro extra per l’azienda per soddisfare ordini che arrivavano da tutto il mondo per avere la maglia dei giocatori in campo e degli spettatori in tribuna, tutti insieme in quella cerimonia collettiva, di squadra guarda caso, che è il Geyser Sound.

In un momento in cui siamo comunque in marcia verso grandi eventi che saranno in Italia, Mondiali di Volley nel 2018, Europei Under 21 nel 2019, Mondiali di sci nel 2012, Ryder Cup nel 2022, non si parlerà della ricchezza che lo sport è per il territorio (se ne sono ricordati invece a Fico, il parco agroalimentare appena aperto a Bologna: ci sono un campo da beach volley, un campo da paddle e un campo da minigolf volutamente nell’area riservata ai dolci, per insegnare ai più piccoli il valore dell’attività fisica sia per completare la dieta mediterranea che per bilanciare l’assunzione non sempre corretta di certi alimenti, e in tutto il parco si può girare in bicicletta).

È una impostazione che già si era vista non vincente, e dunque nemmeno convincente, per lo sviluppo della candidatura di Roma 2024. Non si può pensare solo al vertice, bisogna essere capace di coinvolgere la base, di unire il tutto oggi che si può tranquillamente parlare di Csr come Corporate Sport Responsibility, ovvero di sport elemento decisivo nella declinazione di ogni tipo di attività, da quella agonistico-professionistica a quella evocata dal Ministero della Salute. Oltre tutto, un esempio era già venuto dallo sport, singolarmente dal calcio che adesso è dietro la lavagna: la Figc è stata la prima federazione al mondo ad organizzare un hackathon, a invitare al gioco di squadra gli hacker riconoscendo che non basta dire di non voler essere più autorefenziali, bisogna esserlo veramente, anche affidandosi per ripartire a chi ha una maglia diversa dalla tua, segue regole diverse.

C’è ancora qualche giorno di tempo prima che si debba rispondere alla convocazione degli Stati Generali. Forse al momento dell’appello scopriremo che la classe dei presenti è stata allargata. Non sarebbe un errore.

Luca Corsolini - Symbola

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