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di Pamela Morasca, Direttore Unindustria Frosinone, e Claudio Tucci, Giornalista del Sole 24 Ore

Si discute tanto di nuove fonti energetiche sostitutive da applicare al mondo produttivo.

Prendiamo il caso di Enel, che oggi si trova a dover fronteggiare un veloce processo di transizione energetica guardando a nuove fonti, tra cui l’idrogeno verde che però, pur essendo già oggi usato in diversi settori industriali, non ha ancora realizzato appieno il suo potenziale a sostegno della “rivoluzione green” anche a causa degli elevati costi di produzione. La possibile soluzione l’ha trovata grazie al mondo della ricerca, in particolare con 1s1 Energy, una start-up che sviluppa elettrolizzatori per produrre idrogeno verde a basso costo: grazie al programma NextHy Booster, Enel convaliderà questa tecnologia per rendere l’idrogeno verde più accessibile in settori a elevate emissioni.

Anche in Molise, a Isernia, il gruppo Valerio, tramite la propria società, RES - Recupero Etico Sostenibile, ha messo in piedi un progetto industriale di produzione di materie prime seconde e di idrogeno verde attraverso il riciclo dei rifiuti, ai nastri di partenza. Sono stati stipulati accordi universitari di ricerca con l’università del Molise e la Federico II di Napoli, facendo così diventare “Ricerca” e “Sviluppo” parole chiave di questa “rivoluzione green”. Sempre sull’idrogeno verde, a Patrica (FR), la collaborazione tra imprese del settore, l’Università di Cassino, il consorzio industriale darà vita allo sviluppo di tecnologie per la prima Hydrogen Valley dell’area.

In un’epoca come la nostra, piena di profonde trasformazioni, le aziende, per ora le più grandi, stanno investendo molto nelle relazioni con il mondo della formazione e della ricerca. Questo approccio, che possiamo definire di open innovation, prendendo in prestito la definizione coniata da Henry Chesbrourgh nel 2003, prevede un atteggiamento più aperto nei confronti degli stimoli provenienti da soggetti esterni alla singola azienda. Spesso si tratta di giovani e brillanti startupper oppure di importanti istituzioni universitarie, istituti di ricerca, fornitori, sviluppatori, programmatori e consulenti, che mettono a disposizione il proprio capitale di conoscenze e metodologie per avviare un dialogo costruttivo con le aziende, con risultati win-win per tutti. Ma per tutti il minimo comune denominatore è dato dalla rivoluzione culturale che guida il processo.

Un altro esempio concreto di questi legami è la Muner, la Motorvehicle University dell’Emilia Romagna, nata nel 2017, che mette assieme 15 aziende della Motor Valley, del calibro di Dallara, Ducati, Ferrari, Lamborghini, Bosch, Pirelli, solo per citarne alcune, e quattro atenei della regione. Qui si formano gli ingegneri del futuro, per la transizione dell’auto, un’altra grande sfida legata all’Industria 5.0. Decine di talenti che poi vengono assunti dalle aziende, che quindi diventano più competitive risolvendo il problema di trovare manodopera specializzata. Ma a beneficiarne è anche il mondo accademico, con la possibilità di conoscere e approfondire le tecnologie più all’avanguardia, che, come noto, vedono prima la luce nelle aziende.

Sempre dall’Emilia-Romagna arriva la storia di open innovation che ci racconta di quanto accaduto all’interno del Reparto Montaggio e Collaudo di Casappa, multinazionale produttrice di componenti oleodinamici con sede a Lemignano di Collecchio, in provincia di Parma. Qui l’impresa non riusciva a creare un dialogo tra la generazione di lavoratori già presenti da lungo tempo in azienda e i tanti nuovi assunti, creando non solo problemi di inserimento ma anche una perdita di know-how che Casappa non riusciva a colmare fino a quando non ha trovato una soluzione, attraverso l’approccio design thinking e il coinvolgimento del personale portati da Amploom. Nasce così “Officina del Cambiamento”, il progetto che ha permesso di dare vita a nuovi strumenti di collaborazione che hanno facilitato un dialogo strutturato tra figure aziendali a tratti distanti, favorendo il coinvolgimento attivo degli operatori.

Secondo uno studio Sopra Steria, con Ipsos e l’Insead Business School (Open Innovation Report 2023), quasi 3 imprese europee su 4 (72%) stanno conducendo progetti di collaborazione con start-up e due terzi (67%) considerano tale collaborazione con le start-up importante o essenziale per la strategia della loro organizzazione. Il fenomeno è al top anche in Italia, con l’80,4% delle imprese che collabora con le start-up innovative (in Francia siamo al 70%, in Spagna al 75%, in Germania al 57%). Questi legami sono tangibili, solidi, non occasionali, e tutto il mondo delle start-up è in movimento. L’ultimo rapporto del Cotec 2024 evidenzia come il numero di start-up innovative, registrate alla camera di commercio, è salito a quota 13.402. Guardando ai codici Ateco, “Servizi di informazione e comunicazione”, “Attività professionali, scientifiche e tecniche” e “Attività manifatturiere” rappresentano l’88,6% di tutte le start-up censite. Oltre 5.500 start-up innovative operano nel digitale; quasi 2mila svolgono attività di R&S, altre 2mila circa sono classificate tra quelle “ad alto valore tecnologico in ambito energetico”. Proprio a confermare le traiettorie esistenti di sviluppo e di collaborazione tra imprese, formazione e ricerca per dare concretezza alle rivoluzioni in atto.

E a proposito di start-up, un esempio di innovazione win-win tra imprese e ricerca ci viene offerto da una recente novità nata proprio in uno dei settori a maggior fermento, il biotech. SolidWorld, gruppo quotato in borsa, per superare i competitor in campo tecnologico biomedicale e realizzare una biostampante rivoluzionaria, ha trovato le competenze giuste all’interno dell’Università di Pisa, che vanta un’esperienza di oltre 20 anni nella bioingegneria: da un lato l’Università ha dato a SolidWorld la conoscenza per creare strumenti di 3D bioprinting di nuova generazione, dall’altro l’azienda ha sostenuto il progetto e creato insieme all’Università di Pisa una start-up dedicata al settore biomedicale, la Bio3DPrinting, di proprietà condivisa. L’investimento di SolidWorld è stato ripagato dall’innovazione rappresentata da Electrospider, una biostampante in grado di produrre campioni di tessuto umano con cellule viventi, dalla pelle fino a organi umani più complessi. Quando SolidWorld ha annunciato di essere in grado di produrre la Electrospider, ha visto subito il valore delle sue azioni raddoppiare.

Insomma, l’approccio di open innovation permette di essere più competitivi unendo le forze nella ricerca e accelerando la nascita di nuove tecnologie o innovazioni. Certo il fenomeno resta per ora limitato principalmente alle grandi realtà, ma non ci può essere un alibi dimensionale a questo processo (Networks, 2021). Va inoltre evidenziato come, anche in questo caso, la morfologia del tessuto imprenditoriale italiano fatto prevalentemente da PMI che instaurano una robusta collaborazione con grandi realtà, sia valore aggiunto. La combinazione dell’agilità e della creatività tipica delle aziende di piccole dimensioni da un lato, e la capacità finanziaria dei grandi gruppi imprenditoriali dall’altro, viene riconosciuta come un’ottima base per il raggiungimento del successo in ambito innovativo. Tramite uno studio incentrato sui network inter-aziendali, Buckley e Prashantham (2016) hanno appunto rilevato che le differenze tra le caratteristiche delle piccole imprese e delle multinazionali hanno il potenziale di essere una significativa fonte di valore. Questo potenziale si realizza attraverso la dipendenza reciproca, date le competenze spesso complementari delle piccole e grandi imprese, vero importante punto di forza del sistema imprenditoriale italiano.

Nello sviluppo di questo complesso “ecosistema di innovazione”, un elemento chiave è rivestito dal capitale umano. Qui c’è un nodo che sta pesando molto, anche considerando il frutto amaro della denatalità, che ormai da qualche tempo fa sparire dai banchi 100/110mila studenti l’anno. Si chiama “mismatch”, e, stando agli ultimi dati Unioncamere-Anpal, attraverso il sistema informativo Excelsior, interessa una assunzione su due, in crescita esponenziale negli ultimi anni (nel 2019 il mismatch era di poco superiore al 20% delle entrate programmate). L’assenza di candidati e la preparazione spesso non in linea con le esigenze imprenditoriali è costata alle imprese, nel 2023, circa 44 miliardi di perdita di valore aggiunto. Praticamente un gap pari a 2,5 punti di Pil.

Di qui la tendenza, da parte delle imprese, di rilanciare, su ampia scala, la formazione tecnica, e in particolare gli ITS Academy, il canale di formazione terziaria professionalizzante, che ha un tasso di occupazione dell’87%, e addirittura nel 93,8% dei casi l’impiego è coerente con il percorso svolto. Il tratto distintivo degli ITS Academy è proprio lo stretto legame con le imprese, che rappresentano (monitoraggio Indire del 2024) la metà dei partner di queste Fondazioni. Gli esempi di legami win-win, e ormai duraturi, sono molteplici. Come l’ITS Meccatronico di Frosinone: qui il progetto, partito da un ristretto gruppo di aziende del settore della meccatronica e meccanica avanzata che necessitavano di figure altamente specializzate, ambisce a raggiungere i 100 soci in un futuro a breve. Ogni anno l’ITS Meccatronico registra il tutto esaurito in termini di diplomati assunti e che stanno producendo un risultato positivo per le imprese andando incontro ai loro processi di rinnovamento e adeguamento. Nella Parma capitale del food l’ITS Tech&Food (cui Fondazione vede l’associazione di importanti player di settore del territorio come Barilla, GrissinBon, Mutti, Parmigiano Reggiano e altri) forma tecnici superiori nel settore del controllo qualità e certificazione, per seguire la tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva, che anche qui vanno a ruba. Osserviamo che si sta ricucendo un legame tra scuola e lavoro.

La strada che spinge a partnership win-win tra imprese e mondo della formazione e della ricerca è tracciata. Una spinta ulteriore può arrivare dal PNRR che investe una decina di miliardi di euro nel progetto “Dalla ricerca all’impresa”. Si spazia dai progetti, condivisi tra imprese e università e centri di ricerca, di rilevante interesse nazionale ai partenariati estesi. Si rilanciano (ed è un bene) anche i dottorati innovativi, qualche migliaio per legare ancora di più aziende e accademia.

La pianificazione strategica dell’innovazione, asset necessario non solo per la crescita ma oggi anche per la sopravvivenza di un sistema economico solido, passa dunque attraverso una consolidata collaborazione tra mondo dell’impresa e mondo della formazione e della ricerca, seguendo un percorso che non si può più fermare solo ad una richiesta di “commesse occasionali” tra le parti ma diventa un vero e proprio modello culturale dove la contaminazione continua risulta chiave per la costruzione di un ecosistema d’innovazione stabile e costante.

 

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