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di Valentina Montalto, UNESCO – Culture

Forme di lavoro atipiche, lavori secondari, competenze difficilmente ascrivibili a una singola categoria: il lavoro culturale e creativo è sempre più complesso da imbrigliare in definizioni rigide e classificazioni statistiche. Sebbene sia difficile quantificare l’errore, gran parte di questi professionisti certamente sfugge alle indagini campionarie della forza lavoro, lo strumento di riferimento per studiare il mercato del lavoro e sue evoluzioni.

I tanto ambiti big data non sembrano necessariamente risolvere il problema, come mostrano tentativi recenti di studio di professioni e competenze emergenti.

Il nostro appuntamento annuale sul tema della misurazione della cultura guarda alle ultime tendenze e sperimentazioni in atto, quest’anno con specifico riferimento alle modalità di rilevazione di (nuove) professioni e competenze e dei lavoratori autonomi.

Se lo studio pioniere condotto, ormai diversi anni fa, da Nesta sui videogiochi, che combinava dati web su piccole imprese e statistiche ufficiali, sebbene apprezzato, non sembra avere stimolato ulteriori applicazioni[1], l’uso dei dati sugli annunci sembra invece ormai essersi in qualche modo istituzionalizzato, considerato il crescente uso che ne fanno organizzazioni come l’OECDOrganisation for Economic Cooperation and Development (OECD)[2] o l’European Centre for the Development of Vocational Training (CEDEFOP)[3] per uno studio tempestivo del mercato del lavoro.

Lo strumento Skills Intelligence Emilia-Romagna”, realizzato da ART-ER Attrattività Ricerca Territorio (società consortile dell’Emilia Romagna) con la collaborazione dell’Agenzia regionale per il Lavoro, Unioncamere Emilia-Romagna, Associazione Clust-ER, Associazione Big Data, si inserisce in questo quadro quale valido esempio di applicazione regionale di questo approccio. Lo strumento mostra, in modalità interattiva, i dati su competenze e profili professionali ricercati dalle imprese dell’Emilia-Romagna. Nello specifico, prediligendo un approccio settoriale coerente con la strategia regionale di specializzazione intelligente, lo strumento include un focus specifico sulle competenze e i profili professionali ricercati (anche) dalle imprese culturali e creative, essendo appunto cultura e creatività uno degli ambiti di investimento identificati come prioritari dalla Regione.

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Tuttavia, un’analisi preliminare dei dati disponibili rivela risultati (potenzialmente) attendibili per la sola componente creativa del comparto, per motivi legati alle specificità del mercato del lavoro culturale, “poco privato” e “digitalizzato”. In altre parole, non solo gli annunci online coprono in maniera quasi esclusiva il settore privato, con la conseguente scarsa copertura delle macrofiliere che dipendono fortemente dal pubblico - come quella dei beni culturali e dello spettacolo - ma il livello di sviluppo del mercato degli annunci online è fortemente disomogeneo tra macrofiliere e probabilmente del tutto assente per alcune professioni, che si muovono tramite canali professionali dedicati (e.g. agenzie di spettacolo).

Rispetto ai metodi basati esclusivamente sugli annunci, però, lo strumento permette di incrociare e completare questi dati con quelli provenienti da altre fonti. Oltre ai dati riferiti agli annunci di lavoro online offerti in Emilia-Romagna negli ultimi 12 mesi, lo strumento permette, infatti, la consultazione di altre due tipologie di dati: quelli relativi alle assunzioni di tipo subordinato, estratti dal SILER - Sistema Informativo Lavoro della Regione Emilia-Romagna, in collaborazione con Agenzia regionale per il lavoro; e quelli riferiti alle entrate programmate dichiarate dalle imprese in Emilia-Romagna, estratti dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere. La combinazione di dati e fonti differenti è particolarmente promettente per la componente culturale, come le prime analisi sembrano confermare. Concretamente, la domanda di profili artistici, per esempio - quasi del tutto assente negli annunci - rappresenta una componente tutt’altro che indifferente delle assunzioni di tipo subordinato.

Purtroppo i lavoratori autonomi continuano ad essere “il grande assente” di nuovi studi e strumenti, elemento paradossale per un comparto che conta una quota di autonomi doppia rispetto a quella dell’economia generale, a livello europeo (32% vs. 14%[4]).

Se i tanto agognati big data non si sono finora rivelati all’altezza della sfida, sperimentazioni metodologiche più recenti sembrano suggerire un necessario “ritorno alla fonte”, ossia a chi quei dati effettivamente li produce e li possiede, in base alle raccomandazioni fornite dalle organizzazioni internazionali come l’International Labour Organisation (ILO)[5].

Il progetto di punta in questo ambito è senz’altro quello portato avanti dall’Open Music Observatory, sviluppato nell’ambito del progetto europeo Open Music Europe, che mette insieme attori dell'industria musicale e ricercatori provenienti da 10 Paesi dell'UE e dall'Ucraina.

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Il progetto affronta un problema ben noto, ossia l’assenza, nelle indagini sulla forza lavoro, di dati sufficientemente rappresentativi e disaggregati per la musica (ma il discorso potrebbe applicarsi ad altri sottosettori culturali e creativi, come lo spettacolo). Nello specifico, il sistema di categorizzazione NACE (ossia il corrispettivo del sistema di classificazione delle attività economiche ATECO, a livello internazionale) non contiene le attività dell'industria musicale, ma solo categorie come “audiovisivo” o “spettacoli artistici” che aggregano i numeri dell'industria musicale con televisione, produzione video o teatri. Lo stesso può essere detto per i lavoratori o professionisti autonomi del comparto musicale. Anche se hanno la possibilità di partecipare a rilevamenti statistici sulla forza lavoro, che richiedono un elenco casualmente selezionato di persone, non ricevono un'etichetta appropriata di “musicista” o “impresa musicale”, perché i codici occupazionali utilizzati a partire dalla classificazione ISCO sono molto “ampi” e aggregano diverse tipologie di professionisti artistici e culturali.

Due sono le azioni proposte per far fronte a queste sfide: primo, lo sviluppo di questionari il più possibile allineati alle indagini sul lavoro ma con una lista molto più dettagliata di professioni musicali, da distribuire alla popolazione di riferimento con l’ausilio di società di gestione collettiva; secondo, e in base ai risultati della prima azione, la creazione di un registro, che abbia le qualità dei registri statistici normalmente utilizzati per la produzione delle statistiche di impresa. In concreto, si tratterebbe di consolidare la collaborazione avviata con le società di gestione collettiva SOZA in Slovacchia, Artisjus in Ungheria e HDS in Croazia (i tre Paesi in cui questi approcci sono in via di sperimentazione), con cui alcuni partner di progetto hanno condotto indagini campionarie tra la popolazione professionale della musica. Queste indagini hanno raggiunto un elevato livello di rappresentatività tra gli autori, pur non basandosi su un registro della popolazione professionale della musica[6]. Nonostante l’anonimato delle risposte, due meccanismi hanno garantito la rappresentatività. Da un lato, le società partner hanno assicurato che l'intera popolazione di riferimento avesse ricevuto l’invito a compilare il questionario. Dall’altro, è stato possibile confrontare le vere statistiche (media, mediana, deviazione standard) dei pagamenti effettivi dei diritti d'autore con gli importi segnalati in modo anonimo. Sono state raccolte risposte fino a quando le statistiche del campione anonimo non sono risultate convergenti con i valori statistici conosciuti. L’approccio sembra validare l’idea di un registro statistico, almeno per un settore, come quello musicale, che presenta un buon livello di strutturazione.

In Italia, la creazione del registro delle imprese culturali e creative potrebbe essere un primo passo per la produzione di statistiche più precise ed esaustive di settore, a patto che venga sviluppato secondo criteri di qualità statistica. Non è chiaro, però, se e come questo registro potrebbe colmare il gap conoscitivo relativo alle imprese individuali. La buona pratica proposta racconta soltanto una minima parte della storia, quella dell’industria musicale, e non risolve in toto la questione. Anzi, la creazione di registri settoriali rischia forse di continuare a beneficiare settori già più strutturati e sostenuti. Abbiamo dunque bisogno di registri settoriali? O (anche) di registri e politiche culturali cross-settoriali e flessibili, da svilupparsi in cooperazione con il terzo settore? L’approccio trasversale è senz’altro complesso ma potrebbe avere un impatto più significativo sulla rilevazione e la qualità del lavoro autonomo che, in fin dei conti, è l’ambizione più grande che un Paese possa avere per contribuire alla sostenibilità economica e sociale del lavoro culturale e creativo.

Se la questione non è di facile risoluzione, per l’Italia diventa imperativo avviare un’attività costante di mappatura e scambio di conoscenze e buone pratiche, che possano informare e facilitare i processi decisionali in materia.

[1] Bakhshi, H. & Mateos-Garcia, J., A Map of the UK Games Industry, Nesta 2014.
[2] Vedi, per esempio, OECD, Big Data Intelligence on Skills Demand and Training in Umbria, 2023.
[3] Vedi in particolare le guide sviluppate sul tema, come CEDEFOP, Understanding technological change and skill needs: big data and artificial intelligence methods, 2021.
[4] Fonte: Eurostat 2022.
[5] L'ILO e l'OCSE (seguendo il FMI) hanno suggerito di utilizzare sondaggi misti tra imprese e famiglie, o personali, per catturare l'occupazione e il reddito creati nell'economia informale.
[6] Idealmente, per svolgere una indagine campionaria rappresentativa, occorrerebbe conoscere la popolazione di riferimento, da cui la necessità di avere un registro. In questo caso hanno operato senza registro, ma sono riusciti comunque ad ottenere un buon livello di rappresentatività (ovviamente assumendo che gli iscritti alle società di gestione coprissero l’intera popolazione). Hanno prima inviato a tutti il questionario, raccolto le risposte e poi confrontato alcune risposte con i dati già disponibili, per confermare la bontà del campione.

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