Nonostante il complesso contesto sociale e geo-politico internazionale, nell’incertezza di un quadro normativo e regolamentare in continua evoluzione, la sostenibilità resta un elemento strategico e di competitività per le aziende. La crescente attenzione ai fattori ESG (Environmental, Social e Governance) rende evidente l’importanza di comunicare i dati sulle performance di sostenibilità, per consolidare la fiducia dei diversi portatori di interesse e anticipare le richieste del mercato, incluso quello dei capitali e della finanza. Questo vale da un lato per i business B2C, considerate le esigenze delle persone appartenenti a GenZ e Gen Alfa, che rappresentano i consumatori del futuro, ma anche in ambito B2B, in cui i grandi committenti devono adempiere alle richieste normative in ambito di controllo della sostenibilità “at large” nella propria catena del valore.
La capacità di un’azienda di creare valore non è più, infatti, determinata dalla sola capacità di creare profitto, ma piuttosto dall’abilità di generare impatti positivi per gli stakeholder di riferimento, mitigando quelli negativi e impegnandosi per operare in una catena del valore sostenibile.
In questo contesto, è essenziale oggi misurare e comunicare gli impatti generati tramite la cultura, sia nel caso di aziende che scelgono di supportare organizzazioni culturali terze, sia nel caso della gestione diretta di beni o iniziative culturali. La rilevanza di tale approccio risulta particolarmente marcata nel nostro Paese.
Emerge, ad esempio, una “specializzazione nazionale” nella gestione delle Corporate Art Collection, come evidenziato dallo Studio European Art Assets Observatory[1], che ha esaminato 128 organizzazioni culturali a livello europeo, di cui 60 italiane (47%). In particolare, le aziende italiane mostrano una propensione sopra la media a comunicare in modo strutturato i propri risultati: il 56,7% utilizza siti web dedicati per divulgare le proprie iniziative artistiche (Germania 32,6 %; Francia 72,7 %) e la stessa quota inserisce KPI nei report di sostenibilità o in altri documenti non finanziari. Possiamo quindi affermare che l’ecosistema culturale italiano mostra una crescente attenzione alla misurazione e alla trasparenza degli impatti sociali determinati da iniziative culturali.
L’importanza di rendere visibile il valore generato tramite la cultura, nell’ambito delle tematiche Social del mondo ESG, trova riconoscimento nel nuovo impianto normativo europeo sulla rendicontazione di sostenibilità, che rafforza la centralità strategica della misurazione dell’impatto.
La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) è stata adottata dall’Unione Europea nel dicembre 2022[2], con l’obiettivo di rafforzare la trasparenza e l’informativa non finanziaria fornita dalle aziende a beneficio di investitori, stakeholder e comunità, ed è entrata in vigore nel 2024 per le aziende già soggette a precedenti obblighi di informativa non finanziaria, prevalentemente quotate di grandi dimensioni. La CSRD, la cui portata informativa è oggi in riesame da parte del legislatore europeo con il Pacchetto OMNIBUS, nel seguito analizzato, conferma l’attenzione dell’Europa in materia di sostenibilità, collocandosi tuttavia in un trend più ampio, di respiro internazionale: la SEC negli Stati Uniti e l’ISSB a livello globale stanno avanzando proposte simili, pur mantenendo un focus più limitato sui rischi finanziari dei temi di sostenibilità, con particolare riferimento a quelli ambientali. Ciò conferma che, sebbene l’Europa sia in anticipo e più ambiziosa, e nonostante il contesto geopolitico internazionale, il percorso verso una rendicontazione ESG che si aggiunge a quella finanziaria, in ottica integrata, è ormai globale[3].
Restringendo nuovamente il perimetro all’Europa, la CSRD[4] segna infatti un passaggio epocale, determinando la necessità per le aziende di impostare un sistema di reporting in grado di integrare elementi finanziari e di sostenibilità, abbracciando non più soltanto il perimetro aziendale, ma anche l’intera catena del valore aziendale. Il Sustainability Statement redatto secondo la CSRD, in linea con l’intenzione di equiparare informativa finanziaria e di sostenibilità, deve essere incluso nella relazione sulla gestione. Sono richieste informazioni quantitative e qualitative riguardanti le tematiche ESG più rilevanti (o “materiali”) per l’azienda, da raccogliere e comunicare secondo nuovi standard di riferimento, gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) elaborati dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG)[5]. A questi Standard si affiancano gli Standard che EFRAG ha pubblicato a fine 2024 a favore delle micro, piccole e medie imprese, i VSME[6], perché tutte le aziende possano adottare volontariamente un sistema di reporting di sostenibilità allineato alle best practice europee, con metriche condivisibili con quelle delle banche e dei capi filiera e a cui potrebbero ispirarsi i legislatori comunitari e nazionali nell’aggiornare l’impianto normativo in tema di reporting di sostenibilità. I VSME sono quindi standard volontari, più snelli e accessibili e per questo più adatti alle PMI, in grado di ridurre gli oneri amministrativi, consentendo una transizione graduale verso una rendicontazione più strutturata. Il VSME va quindi pensato come una sorta di strumento preparatorio, allineato agli ESRS per facilitare una futura transizione qualora l’impresa dovesse in futuro rientrare nell’obbligo di rendicontazione secondo ESRS.
La CSRD sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2025 anche per le aziende non quotate di grandi dimensioni[7], seguite, negli anni successivi, dalle PMI quotate e dalle società di matrice extra europea, con almeno una controllata in Unione Europea e un fatturato generato in UE maggiore a 150 milioni euro. Questa ambizione, nella pratica, si è tuttavia scontrata con le sfide operative che le aziende stavano incontrando nella implementazione di tali sistemi di reporting, soprattutto per le PMI e le imprese culturalmente meno strutturate su questi temi. Anche per questo, nel febbraio 2025 la Commissione ha presentato il Pacchetto Omnibus[8], una proposta di semplificazione che punta a rendere il quadro più proporzionato e accessibile, innalzando le soglie dimensionali per l’applicazione della Direttiva e posticipandone di due anni l’entrata in vigore in modo da consentire al legislatore di rivedere anche il livello di dettaglio ed ampiezza della informativa di sostenibilità.
Nonostante questa recente evoluzione normativa di re-invio dell’entrata in vigore degli obblighi di reporting, l’informativa non finanziaria continua a costituire un elemento di valutazione chiave da parte degli stakeholder, in particolare finanziari (banche e Private Equity) del valore generato dall’azienda, andando oltre il risultato economico per includere impatti ambientali, sociali, relazionali e culturali. Il linguaggio degli standard ESRS e delle nuove direttive europee diventa così una grammatica comune per narrare la sostenibilità, in modo trasparente, comparabile e verificabile.
Per le aziende che a vario titolo supportano il settore delle arti e della cultura, dotarsi di KPI specifici e metodologie di misurazione affidabili non è più quindi una scelta, ma una necessità per fornire un quadro completo delle esternalità generate dalle attività di business o dalla catena del valore.
In particolare, gli ESRS, in vigore per le aziende rientranti nel perimetro di applicazione della CSRD[9], presentano due standard trasversali e dieci standard che declinano le specificità delle tematiche ambientali, sociali e di governance. Le informazioni richieste spaziano dalla strategia climatica alla gestione della catena di fornitura, dalla protezione della biodiversità all’equità retributiva, ponendo le basi per un racconto aziendale integrato e trasparente.
Tra le tematiche Social, che sono quelle più sentite dai citati stakeholder delle aziende che operano B2B e B2C, in particolare, due standard ESRS risultano adeguati all’integrazione di informazioni sugli impatti generati dalle aziende per tramite della cultura: l’ESRS S3, Affected Communities, richiede di rendicontare gli impatti generati a favore delle comunità locali in cui l’azienda opera; allo stesso modo, l’ESRS S4, Consumer and End-Users, richiede di approfondire le esternalità verso i consumatori e gli utilizzatori finali di prodotti e servizi d’impresa, in cui si includono quelli generati per tramite di entità legali separate esterne dedicate alla gestione di iniziative e beni culturali (es. Corporate Art Collection).
Gli Standards definiti da EFRAG non includono tuttavia KPI specificamente dedicati alla cultura, poiché viene lasciata all’azienda la facoltà di scegliere quali framework utilizzare, pur che siano internazionalmente riconosciuti e orientati alla comprensione di come le attività aziendali contribuiscano al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti dall’ONU nell’ambito dell’Agenda 2030.
In questo contesto, quindi, le aziende interessate ad approfondire e comunicare i propri impatti culturali possono scegliere di adottare il Framework UNESCO Culture | 2030 Indicators (Framework UNESCO)[10], che si pone proprio l’obiettivo di analizzare il contributo della cultura al raggiungimento dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. Sebbene ideato per analisi su scala urbana o nazionale, il Framework UNESCO mostra una significativa adattabilità anche a progetti culturali locali ed è già stato adottato da organizzazioni, culturali e non, interessate ad includere nel reporting di sostenibilità predisposto secondo gli Standard vigenti, dati sugli impatti culturali.
La combinazione tra approcci di reporting diversi rappresenta quindi non solo una sfida tecnica, ma anche una concreta opportunità strategica per rafforzare il dialogo con gli stakeholder, divenendo elemento di possibile ispirazione anche per quelle realtà culturali che devono comunicare i propri impatti verso l’esterno per finalità di trasparenza, fund raising e mantenimento di buoni rapporti con i diversi portatori di interesse. L’adozione, da parte di realtà culturali, di framework utilizzati anche dalle grandi aziende che donano a vario titolo alle realtà culturali, può contribuire a rafforzare la capacità di dialogo, creando un linguaggio comune basato su standard europei riconosciuti. Le aziende possono inoltre beneficiare di report pubblicati dalle organizzazioni culturali da loro sostenute per rafforzare la loro stessa comunicazione degli impatti generati a favore della comunità, seppur indirettamente.
In conclusione, la CSRD e la crescente necessità di misurare e comunicare gli impatti generati attraverso la cultura, chiamano le imprese, culturali e non culturali, profit e non profit, a ripensarsi non solo in termini di efficienza o competitività, ma come attori di trasformazione nel contesto sociale e ambientale in cui operano. Con la CSRD e gli ESRS, l’Europa offre non solo un insieme di regole, ma un orizzonte di senso e di azione. Il prossimo passo è trasformare questi strumenti in leve di cambiamento reale, sempre più diffusi, capaci di raccontare - e valorizzare - ciò che davvero conta.

