Appello di Legambiente Rinnovabili Obiettivo 2030 «Ora acceleriamo» a pag.12 Rinnovabili Obiettivo 2030 «È arrivata l'ora di accelerare» L'appello di Ciafani, Legambiente, a Regioni e ministero della Cultura: «Non temete gli impianti: solo eliminando fonti fossili si abbassa la bolletta» Ambiente Ilreport di Francesca Ferri on si tratta più solo di rispetto per l'ambiente, come è stato fino a qualche decennio fa. 1 L'adozione di fonti rinnovabili di energia è ormai questione che spazia dalla geopolitica internazionale, alla quotidianità di cittadini e imprenditori, alle prese con bollette ormai incontrollabili. E quello che un tempo era solo rispetto per l'ambiente, oggi è un intervento salvavita per il Pianeta. In questo scenario l'Italia è il fanalino di coda dell'Europa, con solo 17 Gigawatt installati, il 22% dell'obiettivo per il 2030, e 62 da realizzare nei prossimi sei anni. Di questo passo, però, di anni ne occorreranno otto in più. La fotografia l'ha scattata Legambiente che, nei giorni scorsi, ha presentato a Rimini il suo report "Scacco matto alle rinnovabili 2025" all fiera Key. Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente: perché questo ritardo? «Il nostro è un Paese strabico. Con un occhio guarda agli obiettivi di decarbonizzazione, perché è nel centro Mediterraneo, uno degli hotspot della crisi climatica, con eventi estremi disastrosi; pensiamo all'Emilia Romagna, quattro volte sott'acqua in un anno e mezzo, o alla Toscana, con alluvioni nella piana fiorentina. Però lo scorso anno ha installato 7,5 Gigawatt di nuovi impianti, quando l'anno prima erano stati sei, nel 2022 tre, nel 2021 1,5 e nel 2020 uno. Insomma, l'anno scorso c'è stato un record per il Paese: i141% di elettricità prodotta da fonti rinnovabili e il 42% da fonti fossili. Quest'anno siamo già al 25% e, se seguiamo l'occhio giusto, sarà l'anno del sorpasso». C'è però l'occhio "strabico". Cosa ci distrae dall'obiettivo rinnovabili? «L'occhio strabico è condizionato da politiche governative che sì, vogliono puntare sulle rinnovabili, però poi investono sul gas o, come è stato deciso nei giorni scorsi, succede che il governo Meloni vara il disegno di legge per farsi delegare dal parlamento e approvare la normativa per riaprire la stagione nucleare in Italia. Politiche governative assolutamente contraddittorie». Colpa solo del governo? «No. Le istituzioni nazionali viaggiano a regimi disallineati. La commissione Via (valutazione di impatto ambientale, ndr) del ministero dell'Ambiente lo scorso anno ha dato pareri per 19 Gigawatt di nuovi impianti, 1'80% dei quali positivi. Dall'altra parte c'è il ministero della Cultura che nel 99% dei pareri dice sempre e solo "no". Ma non solo». Cos'altro? «Il terzo elemento di disallineamento è relativo alle Regioni. Tutte dicono che vogliono governare lo sviluppo delle rinnovabili. Ma alcune fanno le cose per bene, ad esempio la Campania, che è subissata da centinaia di progetti e riesce a valutarli e autorizzarli nei tempi. Altre, invece, come la Sicilia, la Sardegna e la Puglia, dove i progetti approvati dai ministeri poi non ricevono l'autorizzazione regionale». C'è poi la questione delle aree idonee alla costruzione di impianti. «Un decreto pilatesco perché ha totalmente delegato la decisione alle Regioni. E, di nuovo, ci sono zone come la Sardegna, che a dicembre ha varato una legge che vieta le rinnovabili nel 99% del territorio, o la Toscana, dove la giunta ha approvato un disegno di legge, ora in discussione al consiglio regionale, che si vanta di aver aumentato la percentuale di terreno inidoneo dal 30% al 70%. Una situazione paradossale: dobbiamo liberarci dalla dipendenza energetica da altri Paesi, combattere la crisi climatica e abbassare le bollette, e, nonostante l'accelerazione degli ultimi anni, rischiamo di interrompere questo percorso perché il governo punta al nucleare, cosa che non si farà mai, facendo perdere tempo, i ministeri lavorano in maniera disorganica e le Regioni giocano un ruolo negativo». A proposito di nucleare, lei dice che "non si farà mai". Ma pochi giorni fa il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato che nel 2030 si accenderà la prima centrale nucleare. «Mi sembra la sceneggiatura di un film di Cinecittà. La Francia, Paese nuclearizzato dagli Anni 60, per costruire la centrale di Flamanville ci ha messo 12 anni, con tempi tre volte la stima iniziale e costi quadruplicati. Facciamo fatica a realizzare un banalissimo impianto fotovoltaico a terra in aree degradate e davvero pensiamo di costruire una centrale nucleare? Nessuna Regione si prenderà la briga di far fare una centrale nucleare nel suo territorio». Nemmeno i nuovi piccoli reattori nucleari? «Le aree industriali si trovano dentro i comuni, non in mezzo al mare. Si scateneranno proteste in tutta Italia. E poi ad oggi gli Smr, small modular reactors, non sono ancora sul mercato. Ci sono solo brevetti e due prototipi. Secondo i titolari dei brevetti arriveranno non prima del 2032 e 2035. E comunque nemmeno gli industriali li vogliono, primo, perché il loro problema è abbassare la bolletta del prossimo mese, non fra dieci anni. Secondo, perché non vogliono diventare un problema per il loro territorio». Chiariamo che cosa sono le rinnovabili. «Sole, vento, biomas se, calore dal sottosuolo e movimento dell'acqua. Che abbiamo nel nostro Paese e che ci libererebbero dalla dipendenza del gas di Paesi come Algeria, Libia, Qatar, Stati Uniti. Se lo facciamo, abbassiamo le bollette e ci rendiamo indipendenti». Spesso però le stesse associazioni ambientaliste fanno muro. Perché Legambiente no? «Il mondo ambientalista è spaccato in due: le grandi associazioni, Legambiente, Wwf e Greenpeace, spingono sulle rinnovabiliper ridurre l'uso di fonti fossili ed evitare il ritorno al nucleare. Poi ci sono altre associazioni, meno significative nei numeri, che hanno una posizione che noi non comprendiamo. Di fronte alla scienza che indica la luna, loro guardano il dito. Noi guardiamo la luna e lavoriamo perché si facciano impianti che non inquinano il pianeta con gas serra, come quelli che bruciano gas, carbone o petrolio. In Italia si contano 50mila morti premature per Pm2,5 su 250mila in Europa». La burocrazia per installare gli impianti spesso non aiuta. «Noi con il governo Draghi riuscimmo ad avere una norma, nel 2022, che faceva rientrare i pannelli fotovoltaici tra i semplici interventi a edilizia libera. Ma il governo Meloni a dicembre ha approvato il Testo unico sulle semplificazioni delle rinnovabili che, su questo punto, ha complicato la norma precedente. Stiamo chiedendo al governo di tornare al regime precedente». Nel vostro report parlate anche di occasioni di sviluppo per i territori. «La prima occasione di sviluppo che le rinnovabili farebbero cogliere anche nelle aree interne è quella occupazionale: in Italia ci sono 3,1 milioni di posti di lavoro legati all'economia verde, secondo dati della Fondazione Symbola e di Unioncamere, e il 13% degli occupati in Italia ha a che fare con le filiere della transizione ecologica. C' ampio margine di miglioramento. E non è solo una fissazione degli ambientalisti: è un pezzo dell'economia di questo Paese. Faccio notare poi che questo è l'ultimo anno in cui la bolletta viene calcolata con il Pun, prezzo unico nazionale. Dal 2026 l'Italia sarà divisa in 7 zone: nord, centro nord, centro sud, sud, Calabria, Sicilia e Sardegna, e in quelle con più impianti di rinnovabili si abbasserà la bolletta». Cosa bisogna fare nel concreto per accelerare sulle rinnovabili? «Sul fronte delle aree idonee, è ovvio che se le Regioni emanano norme restrittive, il percorso si rallenta. A livello centrale, il ministero della Cultura deve cambiare approccio, perché la devastazione paesaggistica più importante sarà quella provocata dalla crisi climatica e sarà permanente: non avremo più ghiacciai sulle Alpi, scompariranno le aree umide, avremo zone desertificate. Servono impianti integrati paesaggisticamente. E se i progetti sono sbagliati, si deve lavorare per migliorarli».