L'occupazione media annua delle strutture ricettive in Sardegna. Ultimo posto in Italia Un'era si è chiusa con la famiglia Moratti che ha venduto proprio quest'anno, al colosso olandese Vitol, la Saras, una delle raffinerie più grandi d'Europa, affacciata sul golfo di Cagliari, ed è il segnale che la Sardegna volta pagina, si lascia alle spalle le macerie della stagione della petrolchimica, segnata da nomi e sigle del secolo scorso - la Sir di Rovelli, l'Eni e la Montedison di Cefis e Girotti, la Saras, appunto - e cerca altre strade. «Soprattutto ammodernamento tecnologico e innovazione» suggerisce il 310 Rapporto Crenos (il Centro ricerche economiche nord sud, curato dalle università di Cagliari e Sassari), che individua anche i settori su cui puntare: turismo, investimenti pubblici in infrastrutture e transizione ecologica. Crenos evidenzia anche le criticità: sanità, trasporti, debolezza strutturale delle imprese, export (ben l'8o per cento è petrolio della Saras!). La Sardegna è al 178 ° posto su 242 regioni europee. Come risalire e con quali risorse? «Fra fondi del Pnrr, statali e regionali per gli investimenti sono disponibili più di 9 miliardi di euro. La Sardegna non ne ha mai avuto tanti. Se manca una visione complessiva possono disperdersi in mille rivoli. Occorrerebbe una sorta di Piano Marshall, per infrastrutture di cui l'isola è fortemente carente» osserva Giacomo Spissu, presidente della Fondazione di Sardegna, seconda azionista di Banca Bper, vicepresidente dell'Acri (l'Associazione delle fondazioni di origine bancaria e delle Casse di risparmio) con delega per il Mezzogiorno, già sindaco di Sassari e presidente del consiglio regionale. Spissu fa due esempi: «La siccità incombe, ma il 5o per cento dell'acqua dei bacini fuoriesce dalle reti di distribuzione. Le ferrovie poi sono in gran parte a binario unico e non elettrificate». Per andare in treno da Cagliari a Sassari ci vogliono 3 ore (175 chilometri) e da Cagliari a Olbia (192 chilometri) quasi 4. «Non certo ultima - conclude Spissu - e straordinariamente attuale c'è la transizione ecologica». La quasi totalità dell'energia viene prodotta nell'isola da fonti fossili altamente inquinanti. Andare avanti così non si può, su questo sono tutti d'accordo. Assai meno accordo si trova al momento del fare: se, come e dove installare impianti fotovoltaici ed eolici. La Regione Sardegna ha dato l'alt a nuovi impianti e prepara una «mappa» dei siti utilizzabili (aree industriali o ambientalmente già compromesse), ma è contestata da decine di comitati spontanei che chiedono il blocco totale e hanno predisposto una proposta di legge di iniziativa popolare raccogliendo ben 210 mila firme. Una partecipazione importante, che vale più dei voti sommati dai due maggiori partiti alle recenti elezioni regionali. «Già ora, quasi la metà della nostra energia finisce nella Penisola - protesta il sindaco di Orgosolo, Pasquale Mereu, che ha promosso la legge Pratobello 2024, in ricordo della rivolta popolare che nel 1969 impedì l'installazione a Orgo solo di una base militare -. A noi sardi sarebbero sufficienti 2 Giga, il governo ce ne ha assegnati 6, ma le richieste delle multinazionali sono lo volte maggiori. Tutta speculazione. Con il rischio concreto di deturpare coste, siti archeologici e naturali. Li fermeremo». Da una parte il governo, dall'altra i comitati, nel mezzo la giunta regionale di Alessandra Todde, decisa anche a contestare la disparità di risorse: «Un esempio: all'isola appena 3 miliardi dai fondi di sviluppo e coesione; il Veneto ne ha avuti 12 per la sola Pedemontana (la nuova autostrada che collega Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, con Spresiano, a nord di Treviso, ndr)». La transizione ecologica è un punto centrale e il turismo, che punta su natura e ambiente, pagherebbe un prezzo elevato: campi marini di pale eoliche alte anche 300 metri potrebbero essere innalzati a pochi chilometri dalla Costa Smeralda, da Vìllasimius a Pula, fra Alghero e Bosa. Proprio quando i dati - 15/16 milioni di presenze - confermano che si è ritornati ai livelli pre Covid. «La Sardegna è percepita come una regione turistica, ma nella realtà il Pil dell'industria delle vacanze - asserisce Franco Cuccureddu, assessore regionale - è appenal'8 per cento. La media nazionale è il 12. In Italia siamo all'ultimo posto per utilizzo delle strutture ricettive, 7/8 settimane l'anno. Non si può continuare a costruire seconde case, dobbiamo puntare sulla qualità, prolungare la stagione. Lo facciamo anche promuovendo il turismo lento, culturale, sportivo». Abbandonata ormai la tentazione di guardare al modello Baleari. L'ondata di vacanzieri d'agosto ha diffuso un allarme overtourism: strade intasate, spiagge stracolme e, nelle più famose, numero chiuso e ticket. Piuttosto: nicchie, utilizzo appropriato delle potenzialità generate dal notevole patrimonio di risorse naturali, storiche, culturali. Una scelta che comincia ad avere il supporto dei numeri: 27 mila sardi, 5 su ioo occupati, lavorano in contesti culturali e creativi, per un fatturato - dati Fondazione Symbola, Centro studi Tagliacarne/ Unioncamere - vicino al miliardo e mezzo. Scenari originali, ai margini dei quali fra utopia e preveggenza si muovono imprenditori come la cagliaritana Daniela Ducato, pioniera dell'economia circolare e già nel 2013 premiata con l'Euwiin International Award come miglior innovatrice d'Europa nell'edilizia verde: dagli scarti di materie prime, agricole e animali, ha creato centinaia di prodotti ecosostenibili. Ora la Ducato guarda all'Agenda Onu 2030, all'obiettivo delle comunità solidali e avvia un progetto nazionale, Clima Dentro, con Confcommercio e altre associazioni di categoria, che parte proprio dalla Sardegna: «Ascolto, inclusione, ricerca interiore del benessere che può diventare collettivo e diffuso nelle aziende. Il futuro è l'economia dello scambio e della relazione».